venerdì 25 novembre 2011

Vent'anni dopo

Secondo una visione disincantata e realistica, dall'istante della nostra nascita parte il cronografo che ci accompagna inesorabilmente verso la fine della nostra avventura su questa Terra, e dal momento in cui ne se prende pienamente coscienza scatta anche il momento in cui si rielabora e si rivede con altri occhi, più indulgenti e talvolta velati di malinconia, il proprio passato, o curriculum vitae. A livello sociale, questo coincide con i ricorrenti revival, in occasione di qualche anniversario: lo fu quello del '68 tre anni fa e già pavento il 2018, quando la generazione che ne fu protagonista sarà ancora saldamente avvitata sulle poltrone di quel potere così concretamente immaginato in gioventù; lo è nel campo della moda, con le periodiche rivisitazioni dei "mitici" Cinquanta, degli "irripetibili Sessanta", degli intensi Settanta e dei ruggenti Ottanta e di parte di essi: la Swinging London, il Glam e così via: tutte occasioni per stimolare una nuova ondata di consumi in nome della nostalgia e del giovanilismo, come ben sa la pubblicità che cita sé stessa strizzando l'occhio agli adolescenti di allora. A livello personale, invece, si comincia a procedere a una sorta di ripassi selettivi: si cominciano a rileggere i libri che si erano più apprezzati in passato, trovandoci sempre qualcosa di nuovo e di diverso; così come a rivedere luoghi amati, a riassaporarne odori e sapori associati (ed è sempre sorprendente notare quanto siano potenti,  proposito di memoria, i sensi del gusto e dell'olfatto); inevitabile poi, per chi si è musicalmente cresciuto negli anni Sessanta e Settanta, rimanere ancorati a quell'incredibilmente fertile periodo creativo. E' quel che mi è venuto in mente ieri visitando, a vent'anni esatti di distanza e nella stessa stagione (periodo ottimale, con pochissimi visitatori: non più di un centinaio al giorno rispetto a una media di 4000 nel periodo estivo), le celebri Grotte di Frasassi, nelle Marche, lungo la Statale della Val D'Esino che da Ancona porta in Umbria. Proprio qui, dopo averle viste le prima volta, forse suggestionato dalla loro stupefacente bellezza, avevo avuto la sciagurata idea di proporre il matrimonio alla mia ex moglie: un esperimento fallito miseramente così come purtroppo era abortita l'idea, che non era niente male e aveva precorso i tempi di un decennio buono, di avviare un bed and breakfast sulle colline del Montefeltro dalle parti di Barchi, dove per un quinquennio fui anche comproprietario di un rustico con annesso podere di sette ettari coltivati a olivi e viti. Erano quindici anni che non mi capitava più di ripassare da queste parti, in quella provincia di Pesaro che, almeno nella sua parte più settentrionale, non si distingue dalla Romagna se non per la crescia, che nel proprio impasto contempla le uova a differenza della piadina, e le targhe delle automobili. Ci sono ritornato in questi giorni, su invito di una carissima amica dei tempi del liceo in occasione del suo compleanno, e sono stato contento di rivedere questi posti, riandando al passato senza rimpianti ma anche senza alcun rancore, e ripromettendomi di tornarci non troppo in là col tempo. Quello atmosferico non è stato ottimale per gustarsi gli splendidi paesaggi dell'interno, dolcemente ondulati fino a diventare montagnosi e boscosi, simili ma più sfumati di quelli toscani, così come meno aggressiva la cucina, e più pacata la parlata e l'indole degli abitanti, ma la nebbia e la pioggerellina persistente di questi giorni li hanno resi ugualmente suggestivi sfumandoli e donando loro soffusa indeterminatezza; la presenza del mare la si apprezza per l'aria salubre e profumata, di salmastro oltre che della variegata vegetazione locale, più che per i monotoni spiaggioni che dominano ininterrottamente il versante occidentale dell'Adriatico per quasi un migliaio di chilometri dell'Adriatico a eccezione dei promontori del vicino Conero e del Gargano, in Puglia, fino al Salento. Le orride costruzioni a fronte mare, un osceno ammasso di edilizia "da geometri" (con tutti il rispetto per la categoria, ofelé fa il to mesté, come si dice a Milano), è compensata dalle città e dai borghi dell'interno che, se non sono rimasti intatti, conservano in buona parte le caratteristiche di quando furono costruiti e custodiscono tesori quali, a solo titolo di esempio, il Palazzo Ducale di Urbino. Altro aspetto non trascurabile, l'offerta gastronomica è variegata e invitante ed è a buon livello anche quella enologica, i prezzi sono più che accettabili rispetto ad altri luoghi della Penisola e la gente ospitale, civile e tranquilla, senza troppe fregole. Dopo questa sviolinata in forma di amarcord, un invito a un pranzo tipico da parte dell'ente di promozione turistica mi pare il minimo.

1 commento:

  1. Ho un'amica da quelle parti, a Mondolfo, da sempre mi propongo di andarci, senza mai riuscirVi, pigrizia o miseria o entrambe!

    P.s.
    Ecco perché non rispondi, sempre in giro sei.
    Mandi.
    R.

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