domenica 8 novembre 2009

Ritorno nella Terra dei cachi. E dei macachi.


MacachiSe avevo lasciato Buenos Aires con delle impressioni non del tutto lusinghiere, e dettate principalmente dall'amore che nutro per quella città e dalla preoccupazione per un momento non facile per il Paese, non avrei mai pensato che mi sarei ricreduto così velocemente, rivalutandola, al primo impatto con la realtà italiota ancor prima di atterrare a Linate, il "City Airport" della Milano edizione Expo 2015. Impatto avvenuto attraverso la forzata convivenza con i passeggeri del volo in partenza da Francoforte, in buona parte connazionali dell'operoso ex Triangolo Industriale in trasferta d'affari, in rientro con l'ultimo volo utile per il fine settimana, e con i titoli dei quotidiani in omaggio: il Corriere e la Ri-pubblica. I primi gesticolanti, vocianti, scalmanati, attaccati al cellulare fino all'ultimo secondo utile prima del decollo a sparare cazzate fregandosene di chi sta intorno: essendo tutti dotati di auricolare incorporato, non si rendono neanche conto del chiasso che fanno, costringendo il personale di bordo a reiterare l'invito a spegnere l'apparecchio come fossero degli infanti alle prese col ciuccio; i secondi, intendo i nostri più "prestigiosi" quotidiani nazionali, con titoli altrettanto urlati ed esagerati sulla solita, eterna fuffa. Una scorsa di cinque minuti mi è bastata per rimpiangere di non essere altrove: Berlusconi che nega di aver mai pensato al Quirinale e di aver avuto relazioni con Noemi Letizia, e il suo impegno per la candidatura di D'Alema a ministro degli Esteri della UE; una pagina sull'uscita del libro di Bruno Vespa, annuale fatica dell'insetto di cui la prima puntata di anticipazioni era già comparsa sui giornali un mese fa quand'ero partito; una pagina di intervista a Don Merdé, il creatore del San Raffaele, già cappellano di corte di Craxi e ora anche confessore del puttaniere del Consiglio in carica; i contagi record, guarda a caso a Napoli, da virus "suino", dopo che per tutta l'estate ci hanno scassato gli zebedei con il vaccino e le misure in vista dell'emergenza imminente; la diffusione, altrettanto record, della cocaina in Italia; il taglio dell'IRAP, di cui si parla a vanvera da oltre un decennio; il via libera del CIPE a 8,7 miliardi di euro di spese per opere infrastrutturali, tra le quali il famigerato ponte sullo Stretto di Messina, con le cosche mafiose e 'ndranghetiste che, sentitamente, ringraziano mentre rimangono esclusi i finanziamenti per la banda larga di internet: e qui mi sovviene che in trenta giorni, tra Argentina e Uruguay (non sto parlando della Scandinavia) in qualsiasi parte mi trovassi, dalle Ande al più sperduto paese sulla costa uruguayana, ho sempre usufruito di una connessione wi-fi ad alta velocità gratuita in qualunque albergo, peraltro di categoria mai superiore a quella di un "tre stelle", e che comunque sarebbe stata presente in un buon numero di bar, ristoranti e luoghi pubblici. A questo punto ho chiuso con la rassegna-stampa e sono tornato a leggere il mio giallo. Svedese. E non ero ancora atterrato. Ieri mattina una mia amica mi ha chiesto com'era stata la prima sensazione di rientro in patria: scoraggiante e, al contempo, una conferma. Che in questo Paese il tempo sembra essersi fermato e non cambia mai niente, se non in peggio, per progressiva decomposizione. La prima impressione è stata di subire un furto: 22 euro da Linate in fondo a Corso Lodi, verso il Corvetto, un quartiere sostanzialmente adiacente, in un orario, le sette di sera, di traffico scarso in direzione centro. Altri 12 da lì in via Castel Morrone. Tre chilometri a dir tanto. Con l'equivalente sarei andato dal centro di Buenos Aires all'aeroporto internazionale di Ezeiza, a 50 chilometri di distanza e tornato indietro, pedaggi autostradali inclusi. La seconda: di viaggiare sulla superficie lunare. Perché se mi ero lamentato dei marciapiedi e delle strade di Buenos Aires dopo tre giorni di acquazzoni quasi tropicali, mi ero scordato dei crateri che ci sono a Milano e di come si riducano le strade dopo una sola mattinata di pioggia, evento nient'affatto straordinario ed emergenziale, dato che si è in pieno autunno, che si era verificato appunto venerdì. Altro che Expo e nuove linee della metropolitana. La terza: di essere capitato in un Paese di zotici. Ricevere un buongiorno o anche soltanto un saluto di risposta, all'entrata come all'uscita da un locale pubblico, in questa città è un evento rarissimo. Come già osservato più volte, il Barista Stronzo è una figura emblematica della Milano da bere (e da cancellare). Quando poi la cafonaggine si abbina alla sciatteria, sufficienza, malmostosità, discompiacenza e antipatia dell'addetta, apparsa dietro il banco dopo quasi cinque minuti e come se non bastasse anche piuttosto sporchetta, il tutto in un noto bar dall'evocativo nome di alba francese e che si picca di essere "alternativo", il desiderio è quello di andarsene da un'altra parte. Invito che peraltro mi rivolgono svariati conoscenti, che se da un lato si lamentano della situazione nazionale e di essere immersi nella cialtronaggine, dall'altra mi accusano immediatamente di essere un trombone, qualunquista e reazionario e di avercela su con tutto e tutti "a prescindere". Poi magari si tratta di quelli stessi che due settimane fa sono andati a versare l'obolo di due euro a cranio a quello che, oggi, 2009, per bocca del suo neosegretario ha il coraggio di proclamarsi partito dell'alternativa, e per dimostrare, inequivocabilmente, che chi vota per il PD è identico ai suoi dirigenti, i quali di conseguenza si merita. Uno si chiede se per raggiungere questo risultato fosse necessario sciogliere prima il PCI, poi il PDS, poi i DS per ritrovarsi ancora con Bersani, D'Alema, Fassino, Violante, Finocchiaro, Reichlin e compagnia bella fra i coglioni. Con Napolitano padre nobile e la benedizione della Binetti. In questa felice atmosfera di rientro, mi giunge dal Cono Sur come uno spiacevole strascico la notizia della degenerazione dello scontro tra il peronista sindacato dei camionisti e i quotidiani Clarín e La Nación di cui avevo parlato nel mio ultimo post argentino, con i primi che hanno mandato i propri automezzi a bloccarne i centri di stampa, senza che la polizia, complice, intervenisse e, il giorno successivo - festa degli edicolanti - i propri energumeni a impedirne la vendita nelle strade oltre che a rubarnee distruggere interi carichi. Nella foto sotto, uno striscione degli autori di queste formidabili imprese, benedette dai Kirchner.  Ai lati, i truculenti volti dei due Moyano, Hugo e Pablo. E' più forte di me, questione di imprinting: quando penso a un sindacato camionisti, una delle categorie più corporative che esistano sulla faccia della Terra sotto qualunque cielo si trovino, mi torna in mente che fu un loro sciopero a oltranza a dare la spallata finale al governo di Salvador Allende nel 1973 in Cile. Questa volta, nel Paese vicino, è quello che fa da puntello a un regime che diventa sempre più arrogante a aggressivo quanto più sta imputridendo. Con la speranza che soccomba in fretta, definitivamente.Camioneros


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