domenica 2 dicembre 2007

Il Sud: l'altro Brasile

SÃO PAULO - A conclusione di questo mio percorso nel Brasile meridionale, il Paese che non ti aspetti, esemplificato dalla piacevole, verde, efficiente e vivibile città di Curitiba, che ho lasciato quasi con dispiacere, vorrei avanzare alcune ipotesi sulla diversità di queste regioni rispetto alle altre e sulla loro tradizionale impronta progressista, a differenza di quelle del Nord più povero ed arretrato. Una prima ragione sta nella imigrazione europea e nella mancanza di latifondi. Vero che il resto del Paese era stato colonizzato dai portoghesi, ma lo sfruttamento delle risorse era, appunto, di tipo coloniale. Burocrazia statale da un lato e grandi proprietari terrieri dall'altro, i "colonnelli" di cui parlava Jorge Amado nei suoi primi romanzi come Il paese del carnevale, Cacao, Sudore, Jubiabá, Terre del finimondo. Con le fasi delle monoculture, prima il cacao, poi il cotone, poi la canna da zucchero, poi il caffé, che hanno avuto effetti disastrosi sia sulla fertilità dei terreni sia sui prezzi delle materie prime, a tutto danno dei Paesi produttori, in più grazie al ricorso al lavoro degli schiavi (il viavai delle navi negriere da e verso il Brasile è stato superiore a qualsiasi altra rotta al mondo). Al contrario, gli spopolati Stati del Sud, Rio Grande, Santa Catarina e Paraná, ma in buona parte anche San Paolo e Minas, hanno avuto una immigrazione quasi esclusivamente europea, italiana e tedesca in particolare ma anche dall'Euoropa dell'Est, Polonia e Ucraina soprattutto. Che ha portato tecniche di produzione e attrezzature qui sconosciute, permesso la creazione di un tessuto di piccole aziende agricole (e poi artigianali, e quindi industriali) a conduzione famigliare, con l'utilizzo del lavoro salariato al posto degli schiavi (già vi ho accennato rispetto alla costruzione della ferrovia Curitiba-Paranaguá). Ma soprattutto, a mio parere, può aver giocato un ruolo decisivo anche lo spirito pionieristico di questi immigrati rispetto a quello burocratico e redditiero del Nord e poi di Rio stessa, quando divenne capitale al posto di Salvador (aspetto che ai carioca viene rimproverata ancora oggi dagli industriosi paulistanos). Le condizioni per un rapido sviluppo e poi industializzazione di questi Stati, San Paolo in testa, erano dunque ideali, considerando anche che qui c'è tutto: da clima e terreno, che consentono ogni tipo di coltivazione e allevamento, al fabbisogno energetico. Anche la distribuzione del reddito è sempre stata molto più equilibrata nel Sud che non nel resto del Paese, il che ha permesso negli ultimi decenni di ottenere i tassi maggiori di decremento della povertà di tutto il Paese (a cui fanno riscontro quelli di alfabetizzazione pressoché completa e standard sanitari elevati). Non va dimenticato il ruolo-guida svolto dagli Stati e dalle strutture pubbliche, qui realmente sotto controllo democratico, anche nel micromiracolo economico in corso dagli anni 90 che, favorendo con incentivi e micro crediti lo sviluppo di piccolissime imprese famigliari, soprattutto nel campo della trasformazione (piccoli allevamenti, uova, marmellate, salse) e dell'artigianato (mobili, oggettistica in genere), il loro consorzio in cooperative e la loro collaborazione nella distribuzione, nonché gli investimenti in infrastrutture, hanno consentito l'uscita di interi strati di popolazione da un'economia di pura sussistenza. Un esempio non così facile da seguire in altre zone del Paese che hanno una storia e una struttura ben più refrattarie a uno sviluppo equilibrato e a favore di tutti e non solo di pochi. 

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