domenica 24 maggio 2015

La cattiva memoria sul 24 maggio


Quando negli anni Sessanta andavo alle elementari, immancabilmente durante l'ora di musica, che nei miei ricordi veniva impersonificata dalla figura matronale di una pingue maestra di piano fervente nazionalista che aveva la stessa voce chioccia imitata da Edoardo Bennato in "In fila per tre", ci veniva imposto di intonare la grottesca, nonché manipolatoria, Canzone del Piave, quella secondo cui il fiume, ora un rigagnolo,  "mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio", i primi di oltre seicentomila disgraziati mandati al massacro in una vera e propria guerra d'aggressione contro l'Impero Austro Ungarico, cui l'Italia aveva dichiarato guerra il giorno prima. Rammento che fino al 1914 l'Italia faceva parte, e da 32 anni, della Triplice Alleanza con l'Austria-Ungheria e la Germania, salvo dichiararsi neutrale dopo lo scoppio della Grande Guerra il 28 giugno del 1914 però aspettare fino al 4 maggio dell'anno successivo per effettuare la comunicazione ufficiale del totale disimpegno dall'alleanza dopo aver siglato, segretamente e dunque aggirando il Parlamento (contrario nella sua grande maggioranza all'entrata in guerra), il Patto di Londra il 26 aprile 1915 che sanciva la Triplice Intesa (con Francia, Gran Bretagna e Russia). Tralascio ogni commento sulle macchinazioni, gli intrighi, l'opportunismo, i tradimenti che sono una costante dei nostri governi, tanto da trasferire su tutta la popolazione la fama mondiale di inaffidabili voltagabbana, e mi limito a ricordare che l'asserzione "non passa lo straniero" è riferita sì al "fiume sacro alla patria", ma nel senso di Linea del Piave, l'ultima di difesa dopo la rotta di Caporetto, avvenuta il 24 ottobre del 1917, e nulla ha a che vedere con l'entrata in guerra. Mi è sembrata doverosa una rapida ricorstruzione di come andarono le cose, esattamente un secolo fa, proprio nel momento in cui la consueta, smemorata canea nazionalista se la prende con i presidenti della province autonome di Bolzano e Trento, e col sindaco bolzanino, che si rifiutano di celebrare l'anniversario, limitandosi a disporre l'esposizione del tricolore italiano a mezz'asta, in segno di lutto contro tutte le guerre, sugli edifici pubblici perché ritengono, giustamente, che non ci sia niente da celebrare nella ricorrenza dell'inizio della partecipazione a un macello su scala mondiale che avrebbe avuto, tra i suoi frutti, oltre al fascismo da noi, il nazismo in Germania, una seconda Guerra planetaria e la conseguente consegna dell'intera Europa nelle mani dell'Impero Americano. Peccato che all'iniziativa non abbia aderito Roberto Cosolini, sindaco di Trieste, altra città "irredenta", così felice di essere diventata italiana che ancora oggi la maggioranza della popolazione è più devota a Sissi e a Cecco Beppe che a Roma e dove, se si tenesse un referendum al riguardo, il ritorno all'Austria avrebbe la vittoria assicurata. Per "commemorare" in maniera alternativa la data odierna, non trovo di meglio che riproporre questa meritoria intervista di Elisabetta Reguitti a un altro triestino, lo scrittore di lingua slovena Boris Pahor, uscita sul Fatto Quotidiano di ieri, che dall'alto dei suoi 101 anni racconta il suo punto di vista su una guerra di cui fu lontano testimone. 


24 MAGGIO 1915-2015, BORIS PAHOR: “IL MIO SECOLO ‘ORRIDO’ E DIMENTICATO”

Lo scrittore autore di Necropoli, sloveno ma di nazionalità italiana, racconta la sua vita: dal periodo di stenti come deportato nel lager a tutto ciò di cui la civiltà del XXI secolo non ha voluto tenere conto

Boris Pahor, nato a Trieste il 26 agosto 1913, arriva a bordo di un’utilitaria. Lo scrittore autore di Necropoli scende e affronta la duplice rampa di scale che porta al suo studio a Prosecco (la frazione che ha dato il nome al vino) senza tentennamenti. Ci mette un po’ ad aprire la porta che introduce al suo mondo fatto di libri, fotografie, riconoscimenti, sculture e ricordi. Sloveno di nazionalità italiana, inizia il racconto di quello che chiama il secolo “orrido”. Vivace, intelligente e straordinariamente lucido, regala ricordi e aneddoti di una vita lunga e intensa: dal periodo di stenti come deportato nel lager a tutto ciò di cui la civiltà del XXI secolo non ha voluto tenere conto.
Cosa ricorda della Grande Guerra?
I cannoni che si sentivano ovunque. Trieste era disgraziata, non si riusciva a trovare da mangiare. Ricordo l’epidemia di “spagnola” che fece strage fra la popolazione. Io, mia mamma e le mie due sorelline fummo contagiati. Una delle due, Maria di soli 4 anni, ne fu vittima. La vegliammo nel nostro letto, fino al rientro di nostro padre dal lavoro. Era militare a Pola, allora Italia (oggi Croazia ndr) e non fu facile rientrare a Trieste anche se non era un lungo viaggio. Ricordo come fosse ora il suo dolore quando la vide. Era la sua preferita, la chiamava “Mimiza”.
Che immagini le sono rimaste del conflitto?
I colpi di cannone. La guerra la si sentiva nei muri: non proprio un rombo ma piuttosto un’eco. Una carneficina tremenda se si considerano le undici offensive delle truppe italiane contro la montagna. L’Italia fece l’errore di entrare in guerra per di conquistare il territorio sloveno e spingersi nel cuore dell’ Europa. Una strategia che allora non pagò. Solo molti anni più tardi, nel 1941, le truppe italiane, alleate dei tedeschi, riuscirono ad arrivare a Lubiana.
Come definisce il Novecento?
Un secolo del male, orrido. L’umanità, e in particolare i popoli europei, ha sopportato la tragedia di due guerre mondiali. La civiltà del XXI secolo è schifosa, senza memoria, continua a comportarsi in spregio all’etica politica e sociale. II dolore dei bombardamenti, la fame, la negazione dell’uomo nei campi di concentramento: sembra che tutto ciò non sia servito a nulla, tutto rimosso. Oggi, proprio ai vertici dello Stato in Italia, ma anche all’estero, si scassina e si ladroneggia senza alcun riguardo per il bene comune.
Come giudica Matteo Renzi?
È stato molto abile ad andare verso il centro senza pagare di proprio. Ha messo a rischio l’unità del suo partito e continua a farlo, ma di sicuro si muove con capacità e determinazione. Speriamo che non abbia però tendenze politiche univoche…
Papa Francesco?
Mi piace moltissimo anche se è in una posizione disgraziata. Come può pensare di cambiare la chiesa? Si continuano a vedere tutti gli aggeggi dei porporati, paramenti e simboli che ricordano la Chiesa del lusso, non quella dei poveri. Sono tutte posizioni di una casta che difficilmente potrà essere indebolita.
Come trascorre il tempo?
Oggi non mi ritrovo più nelle mie giornate. Fino a poco tempo fa ero abituato a lunghe passeggiate sulle montagne. Quando rientravo iniziavo a scrivere. Adesso continuo ad alzarmi presto, mi preparo la colazione e sono pronto per affrontare la giornata. Quello che è cambiato e che ora non riesco a essere sempre fedele alla macchina da scrivere. Ho appena finito, in sloveno, un diario di 180 pagine dell’anno passato. Di fatto mi sento disoccupato.
Viaggia ancora molto però
Non direi, quest’anno solo cinque viaggi.
Scusi professore ma lei ha 101 anni…
Anche questo è vero… (sorride). Vede però, per me spostarmi da Trieste a Prosecco richiede la stessa energia che partire per Parigi. Anzi, se viaggio in aereo, mi accompagnano in macchina e anche la mia borsa mi viene riconsegnata a destinazione. Non è dunque faticoso per me viaggiare. Io mi sposto solo per motivi culturali, non vado per sport o per piacere da nessuna parte.

da Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2015

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