venerdì 24 maggio 2019

Dolor y gloria

"Dolor y gloria" di Pedro Almodóvar. Con Antonio Banderas, Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Nora Navas, Asier Flores, Penélope Cruz, Julieta Serrano, César Vicente, Raúl Arévalo. Spagna 2019 ★★★★★
Regista controverso fin dai suoi esordi, Pedro Almodóvar piace o non piace, non ci sono vie di mezzo: io lo considero un maestro, spesso geniale, e mi piacciono il suo modo di fare cinema, i suoi colori, le sue invenzioni, il suo cocktail di tragico e grottesco capace però di esprimere lo stato d'animo, le contraddizioni e le nevrosi di un'intera generazione, che è poi quella a cui appartengo, e che nel suo Paese ha segnato la fine del franchismo e che ha dato vita alla movida madrilena e all'orgia creativa che l'ha caratterizzata: nonostante ciò, e pur rimanendo invariabilmente spagnoli, i suoi film ne hanno travalicato i confini parlando anche al resto d'Europa e, ovviamente, all'America Latina (quella settentrionale non la considero nemmeno, ché vive in un'altra dimensione mentale). Ho letto di auto-fiction, ma a prescindere dalla componente autobiografica, che in Almodóvar non manca mai e qui è particolarmente evidente nella storia del suo alter ego Salvador Mallo (all almodovar è l'anagramma), come del resto in nessun autore del suo livello, Pedro el manchego ha confezionato ancora una volta un film che da un lato è una dichiarazione d'amore per il cinema (e il teatro) e dall'altro parla dritto al cuore e alle persone. Perché la storia di Salvador, regista di successo in preda a crisi di ispirazione, ma anche e soprattutto con il decadimento fisico in conseguenza malanni, in parte veri e in parte dovuti alla sua ipocondria, periodicamente in preda a depressione, è quella degli alti e bassi di ciascuno di noi, che prima o poi ripercorre il proprio passato e non vi ci si riappacifica finché non ci ha fatto i conti: solo così potrà giungere a un nuovo equilibrio e, forse, ritrovare l'ispirazione. E' quel che succede a Salvador (un Antonio Banderas raramente così in palla), ormai quasi autorecluso nella sua casa-museo dove colleziona quadri e oggetti di pregio (e gusto discutibile), i cui contatti con l'esterno sono filtrati dalla fida agente Mercedes, il quale viene invitato a presenziare alla riedizione del suo primo film di grandissimo successo, Sabor, successivamente rinnegato, restaurato per l'occasione ma ora rivalutato da lui stesso; per Salvador è un pretesto per incontrare, a distanza di 32 anni, Alberto, l'attore che lo aveva interpretato e con cui aveva rotto burrascosamente i rapporti da allora, a cui propone di accompagnarlo all'evento. Questi non ha smesso di fumarsi eroina, che però tiene sotto controllo, e tornando a frequentarlo Salvador acquista una nuova dipendenza. Nel frattempo ripercorre le vicende della sua infanzia di povertà, nella provincia di Valencia, i rapporti con la madre, la cui scomparsa due anni prima non ha ancora superato, la precoce vocazione artistica, gli studi al seminario, le prime manifestazioni inconsce di tendenze omosessuali. Gli screzi tra Salvador e Alberto non mancano nemmeno ora, ma per riparare ai torti passati il regista concede all'attore un testo, Dipendenza per l'appunto, da presentare in un teatro della scena off della capitale a patto che Alberto non riveli chi ne sia l'autore, e che oltre a essere apprezzato dal pubblico lo è in particolare da uno spettatore giunto da Buenos Aires, Federico (Leonardo Sbaraglia), di passaggio a Madrid, con cui aveva avuto una difficile relazione anni prima e a cui è di fatto dedicato il testo. I due protagonisti di un amore impossibile da gestire trovano il modo di incontrarsi a chiarire le ragioni del loro distacco e, tra un rinnovato contatto col mondo esterno e il riesame di quello interiore, Salvador riuscirà a trovare, con un nuovo equilibrio psico-fisico, anche l'ispirazione per tornare a girare, perché il cinema, per lui, è anche salvezza. Uscendo dalla sala, ieri sera, mi son detto: Almodóvar è e rimane un genio. Qui è stato essenziale, diretto, senza veli. Eppure lieve e ironico, mai melodrammatico e autoindulgente. Stilisticamente perfetto, commento musicale all'altezza (Mina, soprattutto), bravissimi gli interpreti: Bentornato Pedro!

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