sabato 16 febbraio 2019

Il primo re

"Il primo re" di Matteo Rovere. Con Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Tania Garribba, Massimiliano Rossi, Vincenzo Pirrotta, Michael Schermi, Max Malatesta, Vincenzo Crea e altri. Italia, Belgio 2019 ★★★★
Devo ammettere che i trailer de Il primo re non mi avevano granché invogliato ad andare a vederlo: pensavo che, come Sin City o 300, riadattati da dei fumetti, fosse prodotto come questi con una tecnica ibrida, senza raggiungerne le vette, impiegando ampiamente la digitalizzazione per ritoccare le interpretazioni dei vari personaggi e ricreare artificialmente uno sfondo naturale e invece, senza ricorrere a particolari trucchi, si tratta di un film con riprese dal vero, che si svolgono in un ambiente rurale e silvestre che ricrea le condizioni in cui si dovettero trovare le popolazioni che, nell'8° secolo A.C., vivevano sulle sponde o nelle vicinanze del Tevere: in seguito a una violenta alluvione del fiume, due fratelli si ritrovano senza le loro greggi e il resto della loro tribù spiaggiati nel territorio delle nemica e potente Alba Longa; catturati, resi schiavi e costretti a combattere tra di loro: con un'astuzia, prendono in ostaggio Sitnei, la sacerdotessa che custodisce il fuoco sacro della dea Vesta, liberano i loro compagni di prigionia sabini e con essi decidono di scappare attraverso una temibile foresta percorsa da animali feroci e pattuglie nemiche che lo sono altrettanto se non di più e che si sono gettate al loro inseguimento: si tratta di Romolo e Remo, corre l'anno 753 e la vicenda rievoca, attraverso il racconto della loro rocambolesca fuga, i prodromi della vicenda che portò alla fondazione di Roma, il 21 del mese di aprile cementificando l'unione di un serie di tribù schiavizzate dagli albesi che scelsero il loro re in Romolo. Che uccise sì Remo, come profetizzato da Sitnei: dei due sarebbe rimasto uno, ma che a Remo doveva la vita, non solo per averlo amorevolmente assistito quando era rimasto ferito dagli albesi, ma soprattutto difeso dai compagni di fuga che avrebbero voluto sacrificarlo e che lo consideravano un peso morto; a differenza di Romolo, però, Remo non era timoroso degli dei e, anzi, rivendicava una società che ne fosse priva e lo considerasse il suo re, ossia lui stesso, come una sorte di divinità, e quindi non esitò a sfidare le profezie della vestale. Sappiamo come andò a finire, almeno secondo la leggenda. Ebbene: la pellicola è avvincente, un vero film d'avventura e d'azione, che ci riporta di peso e ci immerge in un contesto che viene reso con grande verosimiglianza, e molto lo si deve alla superba fotografia e ai giochi di luce, completamente naturali, creati da Daniele Ciprì ma anche alla credibilità degli interpreti e alle loro espressioni; ad accrescere l'atmosfera avvolta da un'aurea di magìa e di superstizione il parlato in proto latino, di cui si riesce a cogliere più di un'eco nell'italiano odierno, anche se ovviamente non si capirebbe nulla se il film non fosse sottotitolato. Una bella sorpresa, felice di essere stato smentito!

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