giovedì 2 agosto 2018

Cinema Komunisto

"Cinema Komunisto" di Mila Turajlić. Con testimonianze di Alexandar "Leka" Konstantinović, Veliko Bulajić, Dragisa Djokić, Velimir "Bata Zivojinović,  Veliko Despotović, Stevan Petrović, Vlastimir Gavrik, Dan Tana, Sulejman Begić, Ranko Petrić. Serbia 2010 ★★★★★
Torna a essere proposto in giro in qualche sala d'essai questo documento eccezionale, oltre che gradevole e ricchissimo di filmati d'archivio, su ciò che significò il cinema in un Paese che, purtroppo, morì giovane e non sopravvisse a chi lo guidò durante la resistenza al nazifascismo e, poi, per altri trentacinque dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino alla sua morte nel 1980: Josip Broz Tito, maresciallo di Jugoslavia. Che era un appassionato cinefilo e che, da bravo dittatore quale fu, pur con le migliori intenzioni e alcuni pregi innegabili se solo si fa un paragone con la classe politica con cui hanno a che fare non soltanto i Paesi che ne facevano parte ma di tutto il Continente, per non parlar degli USA, aveva capito l'enorme potenzialità del mezzo sia per creare consenso all'interno sia per promuovere l'immagine del Paese all'esterno, sia, non ultimo, per procurare valuta pregiata alle casse dello Stato: il cinema contribuì non poco al prestigio della RSFJ nel mondo, specie dopo che Tito la sganciò dall'URSS nel 1948 per collocarla, successivamente, alla testa del movimento dei Paesi Non Allineati. La giovane autrice raccoglie testimonianze e aneddoti da parte dei protagonisti del cinema jugoslavo, a cominciare dal proiezionista personale di Tito e di sua moglie Jovanka, Leka Kostantinović, un militare distaccato presso la residenza del compagno presidente a Belgrado (indegnamente e inutilmente sfregiata durante i bombardamenti a cui fu sottoposta la città da parte della NATO e con l'assenso complice del governo D'Alema, giova ricordarlo, nella primavera del 1999) e che rimase al suo posto anche dopo essere andato in pensione, il quale tenne un registro dei film che fece vedere alla coppia: oltre ottomila, quasi uno al giorno; degli sceneggiatori, registi e attori dei colossal jugoslavi nonché, soprattutto, da parte di chi diresse i mitici studi Avala Film, la Cinecittà jugoslava su una collina della capitale, che lavorò anche per grandi produzioni straniere: americane, francesi, italiane e ne raconta la storia e la triste decadenza. Tito supervisionava tutto, incentivando particolarmente film che trattassero il tema della guerra partigiana, da lui capeggiata, annotando di suo pugno le sceneggiature e fornendo suggerimenti da persona competente oltre che interessata. Certamente fu cinema di propaganda ma non solo: nelle sue pieghe chi ci lavorava aveva un certo margine di autonomia sempre, si capisce, sotto l'ombrello protettivo a grazie alla benevolenza che il Grande Capo concedeva volentieri ai "suoi" artisti, e che ospitava spesso e volentieri le star internazionali, da Orson Welles a Richard Burton (che scelse per interpretare sé stesso in Sutjeska - La quinta offensiva) e Liz Taylor a Brioni, dove aveva la sua residenza estiva e da cui dirigeva di fatto il celebre Festival di Pola, l'equivalente di Cannes o Venezia sull'altra sponda dell'Adriatico. Un film-documentario imperdibile non solo per chi è interessato a cose balcaniche o agli affetti da jugonostalgija ma anche e soprattutto a chi ama il cinema in sé stesso e ne vuol capire i meccanismi. 

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