giovedì 21 dicembre 2017

Suburbicon

"Suburbicon" di George Clooney. Con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Glen Fleshler, Oscar Isaac, Gary Basaraba, Jack Conley, Megan Ferguson, Karimah Westbrook e altri. USA 2017 ★★★-
Ammetto che mi aspettavo di più sia da George Clooney, che già aveva dato prove più che convincenti da regista, sia da una sceneggiatura firmata, anni fa e solo ora adattata al grande schermo, dei fratelli Coen, ma in considerazione del penoso livello medio delle proposte nel periodo natalizio, tradizionalmente il momento più basso dell'intera stagione, anche questo film non del tutto riuscito è tutto grasso che cola. Siamo e fine anni Quaranta e Suburbicon è il classico sobborgo residenziale omogeneizzato e plastificato, una specie di "gated community" ante litteram pubblicizzata dagli immobiliaristi come una sorta di paradiso, il cui rassicurante tran tran viene turbato dall'arrivo di una famiglia afroamericana, i Meyers. Dapprima stupore, incredulità da parte della comunità di Suburbicon, poi monta la protesta prima in consiglio comunale e poi direttamente di fronte alla villetta abitata dalla famigliola di colore, con innalzamento di palizzate, lancio di oggetti, in un crescendo rossiniano. Su un livello parallelo, il film racconta le vicende della famiglia di Gardner Lodge, funzionario di una finanziaria, che vive nella villetta a fianco dei Meyers (Matt Dillon, ottimo) con la moglie Rose, rimasta paralizzata dopo un incidente automobilistico (guidava lui e lei non glielo perdona) e la cognata e gemella di Rose Margaret, che accudisce lei e il figlioletto Nicky (entrambe interpretate da una bravissima Julianne Moore), che viene visitata una sera da una coppia di inquietanti personaggi che anestetizza col cloroformio tutti i suoi componenti per motivi che inizialmente risultano misteriosi. Quando si risvegliano in ospedale, Rose risulterà morta e Margaret prenderà il suo posto anche nel letto di Gardner. Ma le cose non sono così semplici e poco alla volta si scatena il consueto svelamento degli altarini e della perversione che si nasconde dietro al perbenismo americano alla maniera dissacrante e farsesca dei Coen, e nella seconda parte la pellicola prende un ritmo sincopato che si addice alla vicenda, che è sì una commedia di umore nero ma anche un film politico con una sua morale, come ci ha abituato il regista, che affida la sua visione agli sguardi inorriditi  di Nicky e alla sua amicizia, indifferente al colore della pelle come ai rancori e ai vaneggiamenti degli adulti, con il figlio dei Meyers. Una prima parte un po' sfasata, al ralenti, la seconda a ritmi più confacenti, ma manca la scintilla.

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