sabato 4 novembre 2017

Finché c'è prosecco c'è speranza

"Finché c'è prosecco c'è speranza" di Antonio Padovan. Con Giuseppe Battiston, Teco Celio, Roberto Citran, Silvia D'Amico, Rade Serbedzija, Liz Solari, Vitaliano Trevisan e altri. Italia 2017 ★★★+
Il conte Desiderio Anzillotto è un uomo intelligente, colto, raffinato e allo stesso tempo alla mano e di saldi principi: a una vita mondana e al jet set internazionale ha preferito la fedeltà alle sue radici che affondano nelle colline attorno a Valdobbiadene, come quelle delle viti di prosecco, che coltiva con passione e competenza e senza additivi, al naturale, come pochi ancora fanno. Il suo plateale suicidio, nel cimitero adiacente alla sua magnifica villa e a suoi vigneti, è il primo caso che capita al neopromosso ispettore Stucky della questura di Treviso, mezzo veneziano e mezzo persiano, all'apparenza risolto in partenza perché il nobiluomo ha ingerito un'intera scatola di barbiturici bevendoci sopra una della sue bottiglie scrivendo sull'etichetta di sua mano "bevuta nell'ultimo giorno di battaglia". Di quale battaglia si trattasse, e quale legato testamentario il conte avesse assegnato ad alcune persone di sua massima fiducia, lo scoprirà il pacioso, impacciato, un po' trasandato e apparentemente timido poliziotto a cui dà vita e corpo (in tutti i sensi) e un'anima complessa Giuseppe Battiston, indagando con pazienza e acume quando nello stesso paese viene assassinato prima il titolare di un cementificio altamente inquinante costruito proprio di fronte alla villa di Anzillotto e contro cui quest'ultimo aveva combattuto dalla sua entrata in attività, e poi il tecnico che aveva firmato una relazione rivelatasi falsa sull'innocuità dei residui del combustibile utilizzato per la produzione: raggiunge lo scopo perché riesce, con pazienza, ad entrare in sintonia con gli abitanti del luogo, diffidenti verso i foresti e con una concezione parziale ma in definitiva sana di ciò che è giusto, muovendosi felpatamente tra luoghi, persone, sentimenti, storie personali comprese le sue che lo tormentano. Lungometraggio d'esordio di un giovane cineasta di Conegliano trasferitosi da dieci anni a New York per lavoro e tratto dall'omonimo romanzo di Fulvio Ervas, che lo ha sceneggiato, è un noir (o giallo) a tinte tenui, garbato, senza dettagli scabrosi e la frenesia di quelli metropolitani come Gomorra o Suburra, che pure hanno un loro perché, molto veneto e anzi molto trevigiano, morbido come il paesaggio collinare della Marca Gioiosa dove i patrizi veneziani andavano a godersi i frutti dei loro commerci e a riposarsi dai continui conflitti che li vedevano coinvolti. Per la serie: non si uccide solo a Roma, a Napoli o a Milano, ma anche nella paciosa provincia veneta, e per un motivo ben preciso. C'è chi ha definito il film troppo simile a una puntata di una serie televisiva; io l'ho trovato godibile, lieve, ironico e, pur con qualche ingenuità, aderente allo spirito dei luoghi, che mi sono molto famigliari. 

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