lunedì 30 ottobre 2017

La ragazza nella nebbia

"La ragazza nella nebbia" di Donato Carrisi. Con Toni Servillo, Alessio Boni, Galatea Ranzi, Antonio Gerardi, Lorenzo Richelmy, Michela Cescon, Lucrezia Guidone, Jean Reno, Thierry Toscan, Greta Scacchi, Daniela Piazza. Italia, Francia, Germania 2017 ★★★★½
Pur essendo da sempre lettore di noir, con predilezione per quelli sudamericani, come usa sottolineare qualcuno di mia conoscenza, fino a quando qualche mese fa non ho letto una lunga, doviziosa e spiritosa intervista a Donato Carrisi, ero convinto che si trattasse di un italo-americano, e non dell'autore di thriller italiano, pugliese di Martina Franca, più letto al mondo, tradotto in 24 lingue; non avendone mai letto uno ero nelle condizioni migliori per gustarmi senza pregiudizi il suo esordio dietro la macchina da presa, che ha del miracoloso se si pensa che si dichiara sì appassionato di cinema da sempre (e autore di sceneggiature, anche per la TV: lo si nota anche dalle citazioni, puntuali ma mai eccessive) e di esservisi ispirato per elaborare le trame dei suoi libri, ma senza esperienza specifica. Intanto per come è riuscito a mettere insieme un cast di prim'ordine convincendo gli attori della bontà dell'idea e facendolo funzionare come un'orologio di precisione; poi per come ha girato il film, coi tempi e le inquadrature, ambientazioni giuste e una fotografia ineccepibile: la tensione rimane alta fino all'ultimo fotogramma e la vicenda, nonostante la sua complessità e i colpi di scena, raccontata con linearità nonostante alcuni balzi temporali avanti e indietro, risulta perfettamente comprensibile. Siamo all'altezza dei migliori prodotti statunitensi e dei registi più celebrati: di primo acchito mi sono venuti in mente i fratelli Coen. La trama ruota attorno alla sparizione di Anna Lou, una ragazzina sedicenne dai capelli rossi, la sera di un nebbioso 23 dicembre davanti alla porta di casa: l'ambiente famigliare è cattolico tradizionalista e ruota attorno a una confraternita che ha tratti di setta; quello fisico Achevot, un paese montano di fantasia collocato in una valle senza sbocco, un tempo florido centro turistico ora decaduto. A condurre le indagini l'esperto ispettore Vogel, già al centro del caso del "Mutilatore" (il richiamo esplicito è a Unabomber e alla relativa montatura mediatica), tanto abile quanto propenso a suscitare l'attenzione di stampa e TV per coprire le lacune della polizia facendo capire che potrebbe trattarsi di un rapimento da parte di un maniaco e individuando in un insegnante di letteratura del liceo locale, Loris Martini, privo di alibi per quel giorno, il mostro da dare indirettamente in pasto alle belve dell'informazione-spettacolo. Oltre a questi due personaggi vi sono un anziano psichiatra, Flores, chiamato a interrogare l'ispettore ricapitato sul luogo qualche tempo dopo i fatti, ritrovato in stato catatonico dopo un incidente in auto e con cui ricostruisce gli avvenimenti del Caso Anna Lou in flash back; Stella, una giornalista televisiva cinica e spregiudicata quanto Vogel; un avvocato che conosce alla perfezione il gioco che si sta giocando; tutti ambigui, vanesi, inquietanti, cinici: a nessuno di essi interessano davvero la verità e la giustizia né sapere chi sia stato realmente il responsabile della sparizione della ragazza, tranne che all'ispettore Vogel, ma solo perché ormai caduto in disgrazia e per ripicca personale, non per consegnarlo alla giustizia. Detto altrimenti, come nella realtà, nessuno che controlli il controllore e creazione sistematica del caso mediatico con relativo circo che vi ruota attorno e sicura fonte di guadagno per tutti, oltre che di distrazione per le masse da rincoglionire: il messaggio di Carrisi è chiarissimo e ce n'è per tutti senza che la denuncia prenda il sopravvento sul racconto e senza che questo si trasformi in un cervellotico esercizio intellettualoide e in una masturbazione ideologica. Complimenti vivissimi a lui, a tutti indistintamente gli interpreti e a chi ha lavorato e prodotto questo anomalo thriller di impianto sostanzialmente teatrale e di rara efficacia. Da non perdere

sabato 28 ottobre 2017

República Española

També hi havia Catalunya


Ossia: la Catalogna c'era già allora, alla fondazione della Seconda Repubblica Spagnola, proclamata il 14 aprile del 1931 e abbattuta con la vittoria di Francisco Franco il 1° di aprile del 1939. Non ho altro da aggiungere in merito a questa pagliacciata, l'ennesima arma di distrazione di massa scoppiata questa volta in mano agli Stranamore di turno, uno a Barcellona e l'altro a Madrid.

venerdì 27 ottobre 2017

Brutti e cattivi

"Brutti e cattivi" di Cosimo Gomez. Con Claudio Santamaria, Marco D'Amore, Sara Serraiocco, Simoncino Martucci, Narcisse Mame, Aline Belibi, Giorgio Colangeli, Filippo Dini. Italia 2017 ★★★½
Non siamo ancora alle vette di Lo chiamavano Jeeg Robot o del recente Ammore e malavita ma, trattandosi del film d'esordio del fin qui scenografo Cosimo Gomez, avviati su una strada molto promettente. Tor di Nona, Roma Est, zona d'azione del Papero, la metà di una coppia di gemelli siamesi senza gambe separati in gioventù (l'altro, il Pollo, è stato adottato da una famiglia-bene e fa il dirigente di banca a Zurigo), che vive di accattonaggio davanti alla chiesa del quartiere assistito dal Merda, un rasta perennemente fumato che lo scarrozza in giro su una vecchia Panda scassata. Grazie alla soffiata della bellissima moglie, Ballerina, a sua volta senza braccia, laureata in lingue orientali che lavora per la polizia, viene a sapere che la mafia cinese deposita milioni di euro in contante nella filiale della banca del quartiere e così, con l'aiuto di Plissé, un rapper nano cattivissimo però un maestro nello scassinare casseforti, organizza una rapina dove lo scopo apparente è quello di farsi consegnare il contante in cassa, per cui si fanno condannare a una pena di pochi mesi restituendo il maltolto, ma quello vero impossessarsi di quello non dichiarato e non reclamabile dei cinesi e, nel frattempo, depositato in una cassetta di sicurezza in Svizzera. Come da copione in un noir di genere, al momento della spartizione si scatena il tutti contro tutti e i malviventi si eliminano a vicenda, a cominciare proprio dal capobanda, in una serie di tradimenti e crudeltà reciproci. Per non togliere il gusto della sorpresa, ovviamente non svelo altro, salvo dire che non c'è un personaggio positivo in tutto il film, né tra i disabili, né tra i "normali"(i cinesi, il parroco nero dei "diversi", i magnaccia dell'Est) tranne uno che compare nella seconda parte e accompagna la vicenda a un lieto fine beffardo, che però nulla toglie alla scorrettezza del film. Che, per quanto greve e volutamente volgare, non dileggia mai nemmeno per sbaglio i disabili, celebrando anzi la loro uguaglianza nella diversità e individualità, esattamente il contrario di quel che fanno il buonismo omologante e l'insopportabile "politicamente corretto", che sono il vero bersaglio del film, insieme all'ipocrisia della chiesa, delle banche, delle "autorità" e del sentire comune. Come in un film di Tarantino a un certo punto la pellicola si riavvolge e ne vediamo scorrere un'altra che svela quanto successo parallelamente alla vicenda già raccontata, il tutto montato fluidamente,  con ottimo ritmo, con un tocco surreale che non guasta, a smontare quelli più trucidi e caricaturali, che pure non mancano. Un complimento ai truccatori e ai maghi del computer, ma anche agli interpreti, due dei quali, Santamaria e D'Amore, qui al contrario del loro cliché di belli e astuti. Un film meravigliosamente trash-demenziale, scorretto al punto giusto, che consiglio a chi ama il genere: peccato essere stato costretto a vederlo in una squallida e omogeienzzata sala di uno di quegli orridi Space o UCI Cinemas, nei pressi d un centro commerciale,  con tanto di  mezz'ora di pubblicità e intervallo inclusi, invece che in una normale prima che uscisse di programmazione.

lunedì 23 ottobre 2017

Una donna fantastica

"Una donna fantastica" (Una mujer fantástica) di Sebastián Lelio. Con Daniela Vega, Francisco Reyes, Luis Gnecco, Aline Küppenheim, Amparo Noguera e altri. Cile, Germania 2017 ★★★½
Un buon film, anzi: molto buono, che conferma in pieno le qualità di Sebastián Lelio, di cui in Italia era già stato distribuito Gloria e, come questo, premiato all'ultima Berlinale, questa volta per la sceneggiatura. Prodotto da Pablo Larraín, l'altro e più conosciuto esponente della cinematografia cilena contemporanea, con la cui produzione ha molti punti in comune sia per i temi trattati sia per la forma, tanto che verrebbe la tentazione di parlare di una vera e propria corrente estetica, ma non ne raggiunge la complessità, visionarietà e forza espressiva. Anche in questo film Lelio si avvale della prestazione straordinaria dell'interprete principale, Daniela Vega, nei panni di Marina, ventisettenne cameriera e aspirante cantante lirica, una transessuale la cui relazione d'amore con Orlando, un imprenditore tessile di mezza età, viene troncata dall'improvvisa morte del compagno dopo un malore notturno alla vigilia di un viaggio alle cascate di Iguazu, regalo di compleanno di Orlando a Marina. La quale, già all'ospedale, dove lo porta ormai privo di coscienza, comincia a subire le angherie del poliziotto che ne pretende il documento d'identità (e che riporta ancora iil nome di nascita, Daniel) e del medico di guardia che intuisce la relazione innaturale con l'uomo e che non hanno nessuna comprensione per il sincero dolore che la sconvolge, mentre già il giorno successivo la ex moglie di Orlando ne pretende la restituzione della macchina e lo sgombero al più presto dell'appartamento e il figlio le sottrae perfino il cane che possedeva col convivente, ma soprattutto viene avvertita di non farsi vedere alla veglia funebre e meno che mai al funerale. Nei giorni seguenti Marina tiene duro, con caparbietà prosegue la sua vita, tra gli impegni di lavoro, lo sgombero della casa aiutata dalla sorella e dal cognato, due "alternativi", e le tocca anche subire una umiliante visita medica su richiesta di una dirigente di polizia che si occupa di reati sessuali per accertare che non abbia subito abusi da parte di Orlando, poco propensa a credere che le lesioni trovate sul corpo di lui siano dovute a una caduta accidentale, ma piuttosto a vedere il torbido in una relazione che invece era serena e lineare. Marina capisce anche che la famiglia di Orlando non riesca ad inquadrarla, a definire la loro relazione se non come una chimera, ma non riesce a resistere al bisogno che sente di dare l'ultimo saluto alla persona amata, venendo cacciata dalla veglia funebre e poi perfino inseguita, insultata, caricata in macchina e impacchetatta con cerotti e abbandonata in una strada secondaria dal figlio e dai suoi amici: l'unico ad accettarla per quel che è a capire il suo dolore, ma impotente davanti all'incomprensione e alla mancanza di umanità degli altri, è il fratello del defunto. L'ambientazione è ancora una volta nella Santiago benestante dei quartieri settentrionali, con qualche timida escursione nella bohème ma comunque a distanza siderale da quella popolare e periferica: nessuno stupore che le questioni di genere siano appannaggio degli strati sociali superiori, cui del resto appartengono sia Lelio sia Larraín, con la differenza che, rispetto ai colleghi europei e soprattutto nordamericani che dell'esaltazione delle lotte per i diritti LGBT hanno ormai fatto un filone cinematografico e di serie TV a sé stante ormai stucchevolmente ripetitivo, affrontano i temi della sessualità e anche dell'identità con storie esemplari e senza gridare e dare giudizi, ma ponendo domande alla coscienza comune; e lo fanno in modo ovattato, lasciando spazio al non detto, all'ambiguità, non rinunciando a un'atmosfera a tratti sospesa e a volte ipnotica. Sceneggiatura pulita e montaggio con tempi giusti, interpretazione superlativa di una transessuale autentica, attrice e cantante lirica anche nella realtà, una grande Daniela Vega.

sabato 21 ottobre 2017

Il palazzo del vicerè

"Il palazzo del vicerè" (Viceroy House) di Gurinder Chadha. Con Hugh Bonneville, Gillian Anderson, Manish Dayal, Huma Qureshi, Lily Travers e altri. GB, India 2017 ½
Mah. Sostanzialmente un film in costume, con gran sfoggio di divise colorate, arredi ricercati, cerimoniali sfarzosi, edifici sontuosi dagli interni mirabolanti, il tutto con l'immancabile inserto mélo strappalacrime per venire incontro al pubblico di bocca buona, per uno spot in riabilitazione postuma di Lord Mountbatten, l'ultimo vicerè dell'India, facendolo passare per uno sprovveduto, ma di buon cuore, pur di non attribuirgli la responsabilità di una Partition che causò la spaccatura dell'India e lo sradicamento di 14 milioni di indiani nel momento in cui le fu concessa l'indipendenza. Siamo alla vigilia del giorno fatidico, l'11 agosto del 1947, e il nuovo vicerè, già acclamato liberatore della Birmania, si insedia a Delhi con moglie, figlia e cane con l'incarico di procedere alla transizione. Il tempo è poco, e dopo aver consultato i principali leader delle diverse fazioni, principalmente Nehru per gli indù e Jinnah per i musulmani, con l'intervento super partes ma inascoltato del Mahatma Gandhi, addiviene controvoglia alla decisione di creare un nuovo Stato, il Pakistan a sua volta diviso in due parti separate tra loro da più di duemila chilometri (l'attuale Bangladesh con capitale Dacca). Di tracciare la linea di confine viene incaricato un oscuro legale inglese che mai era stato in India, armato di carte geografiche e statistiche di censimenti che, non raccapezzandocisi più, alla fine viene costretto a fare proprie le indicazioni contenute in un documento segreto sulla sicurezza nazionale stilato dai massimi esperti militari e controfirmato da Churchill dopo la fine della guerra (sostanzialmente un patto fra questi e Jinnah) con lo scopo di frenare eventuali appetiti russi (siamo ancora alle code del famoso Grande Gioco, che produce strascichi ancora oggi in tutta quell'area, a cominciare dall'Afghanistan). Secondo questa tesi, i confini non vennero tirati "a cazzo di cane" con un righello e senza avere idea della composizione etnica delle zone miste (come invece fu in Africa e Medio Oriente),ma secondo una logica ben precisa e fottendosene degli eventuali strascichi, comunque ormai sul groppone di altri. L'unica cosa inopinabile, come recita una didascalia a premessa del film, è che la storia viene scritta dai vincitori; altrettanto incontestabile è che gli inglesi, applicando scientificamente il principio divide et impera, hanno sempre favorito le minoranze, sikh e musulmani innanzitutto; detto questo, il film è smaccatamente filo-indiano nonché tenero fino alla piaggeria nei confronti degli inglesi, presi a esempio per la loro capacità di governare etnie incapaci di farlo da sole (di evidenza palmare proprio la Partition) nonché per la cultura, ad esempio il Dickens letto dal carceriere indiano al prigioniero politico musulmano cieco: e qui subentra l'intreccio bolliwoodiano, ossia la struggente quanto improbabile storia d'amore tra Jeet, ex secondino e ora attendente indù di Mountbatten e Alia, assistente di Lady Mountbatten, la figlia del prigioniero musulmano di cui sopra, che corre parallela alla vicenda storica come interpretata dalla regista (indiana) e dal libro di Narendra Singh Sarila che l'ha ispirata: The Shadow of the Great Game - The Untold Story of India's Partition. Naturalmente trionfa lo happy and, in barba ai due milioni di morti risultato della creazione dal nulla di uno Stato da parte degli inglesi con la benedizione dell'Amico Americano, il vero fruitore finale dell'accordo Churchill-Attle-Jinnah. Tanto colore folkloristico e buonismo a piene mani su sfondi palesemente di cartapesta, si salva la recitazione dei due interpreti principali, Hugh Bonneville nei panni di Lord Mountbatten e Gillian Anderson in quelli della moglie Edwina, fatta passare per una benefattrice socialisteggiante per gli aiuti ai rifugiati dopo la partizione del Paese, mentre prima di giungere a Delhi era famosa per il suo libertinaggio (potendoselo permettere), una specie di puttanone, ma questo il film non lo dice; su quella degli interpreti di Jeet e Alia preferisco sorvolare. Incomprensibile l'indulgenza della critica nei confronti di questo film, che invece non era stata altrettanto generosa con I figli della mezzanotte sullo stesso argomento, probabilmente perché Salman Rushdie (che l'aveva sceneggiato) non è abbastanza politicamente corretto, e che sotto ogni aspetto era di un'altra categoria. 

venerdì 20 ottobre 2017

Una sola folpitudine

Come ogni anno a Noventa Padovana, sulla Riviera del Brenta, da venerdì 20 a martedì 24 ottobre

mercoledì 18 ottobre 2017

L'uomo di neve

"L'uomo di neve" (The Snowman) di Tomas Alfredson. Con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Chloë Sevigny, Val Kilmer. GB 2017 
Se siete masochisti e vi piacciono i thriller scandinavi con trame tanto arzigogolate quanto inverosimili interpretati da attori invariabilmente e adeguatamente basiti, oppure esplorare nei meandri bacati delle psicosi che attanagliano molti degli autori di lassù, specchi lampanti di una società tanto benestante quanto sempre più avviata a essere composta da cyborg, e siete pure disposti a rovinarvi la serata, ecco il film che fa per voi. Tratto da uno dei romanzi del norvegese Jo Nesbø con protagonista il detective Harry (ass) Hole, puntualmente un disperato alla deriva e pesantemente alcolizzato però imbattibile nel risolvere casi che solo una mente pervertita o in preda all'acido può concepire, il film prova a raccontare la caccia a un serial killer che si rifà vivo a ogni prima neve invernale e che lascia come marchio di fabbrica un pupazzo, per l'appunto di neve, come dal titolo, sul luogo del delitto. Le vittime sono sempre donne che hanno avuto relazioni extraconiugali e i cui figli hanno una particolare tara genetica: la mancanza dei capezzoli. Ovviamente il serial killer sfida lo (ass) Hole (uno che perfino nella polizia della più scalcagnata repubblica delle banane sarebbe già stato radiato dal corpo) e altrettanto regolarmente il passato riemerge per tutti i protagonisti e naturalmente l'assassino è molto più vicino al detective di quanto questi riesca a immaginarsi (lo spettatore invece lo sospetta non appena il personaggio in questione entra in scena). A giudicare dalla sfilza di cadaveri che cospargono il filmaccio, ambientato tra Oslo e Bergen, luoghi magari anche suggestivi per il panorama ma in cui nessuna persona appena assennata può essere tentata di trascorrere l'intera esistenza, e men che mai un inverno, in Norvegia devono esserci in percentuale più morti violente che negli USA: per quanto il Paese sia stato in grado di produrre un Anders Breivik, dubito fortemente che sia così. La pellicola non merita altre parole, nemmeno uno spoiler, solo una considerazione sul protagonista principale, Michael Fassbender, la cui stolidità perfora lo schermo: un Monica Bellucci al maschile che non si capisce per quale motivo venga ingaggiato come attore. O forse sì: sembra il prototipo catatonico di un replicante, altro che Blade Runner. Per il resto, il quadro che esce da un film come questo, ma anche da serie TV come The Bridge, Fortitude e perfino il demenziale  Lilyhammer (che però ci azzecca) delle società scandinave è sconcertante e allarmante nella sua desolazione: ma da gente che è disposta a farsi inserire un microchip sottopelle per andare in treno c'è da aspettarsi il peggio. 

lunedì 16 ottobre 2017

L'altra metà della storia

"L'altra metà della storia" (The Sense of an Ending) di Ritesh Batra. Con Jim Broadbent, Michelle Dockery, Matthew Goode, Charlotte Rampling, Harriet Walter e altri. GB 2017 ★★★★
Film molto inglese, anzi: londinese, ma quietamente, nulla a cha fare con la Londra swinging o cool in preda al turismo e ai modaioli, eppure girato da un regista indiano che sa il fatto suo e, grazie a un soggetto ben scritto tratto da un romanzo di Julian Barnes, Il senso di una fine (Einaudi, 2012) e a un cast di alta qualità scelto accuratamente, sforna un film perfettamente bilanciato tra passato e futuro capace di stimolare riflessioni proficue partendo dalla semplice constatazione che la nostra vita non appartiene solo a noi e comunque è soltanto la storia che ne abbiamo raccontato: altri, che abbiamo incontrato e conosciuto, ne hanno avuto una visione completamente diversa e delle conseguenze che, nel nostro "raccontarcela", non possiamo nemmeno immaginare. Tony Webb, da giovane aspirante poeta e letterato e oggi pensionato bisbetico e abitudinario, proprietario di un negozietto che vende e ripara vecchie Leica per non cedere alla noia, vedovo di un'avvocatessa di grande intelligenza intelligente e successo, e con una figlia futura madre volutamente single che accompagna alle sedute pre-parto, vede riaffacciarsi il passato quando da uno studio legale gli viene comunicato che ha ricevuto un lascito da parte della madre della sua fidanzata di quando era studente, Veronica, e costituito da una piccola somma in denaro ma soprattutto da un diario, quello del suo più caro amico dei tempi del liceo, il brillante e tormentato Adrian, morto suicida ancora studente, e custodito proprio da Veronica, che per il momento non vuole consegnarglielo. Consigliandosi con l'ex consorte, Tony ricostruisce con una certa reticenza la relazione avuta con Veronica, accorgendosi man mano di quanto l'abbia travisata, a forza di rimozioni, e quando la incontrerà nuovamente, sempre più preso dal tentativo di chiarirsi le idee, ancora una volta cadrà vittima delle apparenze e della sua personale lettura degli avvenimenti, del passato ma anche attuali. Non è un film sulle occasioni mancate, sulle "porte girevoli" e quindi sul rimpianto e meno che mai appartiene al penoso genere da umarel attualmente in voga in cui si è specializzata, per esempio, Diane Keaton, già perfettamente in parte dai tempi dei film con Woody Allen, piuttosto sulla diversa percezione che si ha a seconda dell'età non soltanto del tempo ma anche dello spazio nel senso più ampio, e di sé stessi in rapporto con gli altri: da giovani passando da una "gabbia" piccola a una sempre più grande, cercando a tentoni una propria via e una propria dimensione; da vecchi desiderosi soltanto di non ricevere eccessivi scossoni in un equilibrio faticosamente raggiunto (e mai definitivo), ma sempre in tempo non per pentirsi, ma per rileggere con altri occhi il percorso fatto ed il suo senso, e a comprendere i possibili, inaspettati effetti delle proprie azioni sugli altri; del resto solo se si è disponibili a guardare in sé stessi serenamente si possono comprendere meglio le ragioni del prossimo, e con ciò cambiare anche atteggiamento verso chi e cosa ci circonda. 

sabato 14 ottobre 2017

Un incubo friulano

Natolino e Tavano: sulle strade del Friuli l'incubo quotidiano.
I fine settimana non sono mai abbastanza...

mercoledì 11 ottobre 2017

Blade Runner 2049

"Blade Runner 2049" di Denis Villeneuve. Con Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Robin Wright, Dave Bautista e altri. USA 2017 ★★½
Era una mission impossible, pur affidata alle abili mani di Denis Villeneuve e la produzione dello stesso Ridley Scott, regista dell'originale, essere all'altezza di un film come Blade Runner, uscito nel lontano 1982 ed entrato nel mito, eppure per lunghi tratti più che in un sequel sembrava di essere nello stesso film: la stessa ambientazione in una Los Angeles distopica, piovosa, lugubre, immensa e inquietante, solo all'apparenza riportata all'ordine e alla normalità; identico l'abbigliamento variegato e con tocchi punk dei personaggi, e così gli arredamenti tra il rétro post-atomico e il raffinato e atmosfere cupe; ugualmente angosciante il sottofondo musicale e i rumori elettro-meccanici a sottolineare l'incombenza di qualcosa di incontrollabile, però... manca il quid, probabilmente la novità. Film sul dubbio era (la natura dei replicanti, così come quella degli umani, in fondo) e film sul dubbio rimane (e così la porta aperta a una serie teoricamente infinita di pre-e-sequel, insomma a una saga hollywoodiana a venire) così come per l'appunto il dubbio sulla natura di Deckard, anche qui interpretato da Harrison Ford, che compare dopo quasi due ore di film, quando già si comincia a guardare l'orologio perché in preda a una straniante sensazione di déjà vu. A rintracciarlo è K (Ryan Gosling, perfetto,) un replicante di nuova generazione (senza scadenza e, soprattutto, obbediente) a sua volta un blade runner incaricato di "ritirare" (ossia eliminare) quelli della serie Nexus 6 rimasti ancora in circolazione, il quale in un'operazione si imbatte nei resti sepolti di quella che risulta essere Rachael, la replicante salvata da Deckard trent'anni prima, che risulta morta di parto: una notizia sconvolgente che va tenuta segreta perché confermerebbe che i Nexus siano stati in grado di riprodursi. K, che nel frattempo comincia a essere assalito dal sospetto di essere pure lui un umano, e forse figlio di Rachael e Deckard, viene rimosso dal corpo dei blade runner dal suo superiore (Robin Wright) ma non eliminato: gli viene lasciato il tempo per fuggire nell'extramondo a patto che elimini Deckard, a sua volta cacciato dalla tirapiedi di Wallace, il nuovo produttore di replicanti perfezionati che ha preso il posto di Tyrrell, ma K lo salva conducendola dalla figlia sua e di Rachael e forse morirà in pace (si ritirerà) ma non è detto... Questa la trama, più o meno, per quel che si lascia capire e raccontare, e per ciò che vale in un quello che rimane un suggestivo noir fantascientifico dai toni umanisti. Rispetto all'originale si svolge di più in esterno (in particolare in una zona desertica dove si coltivano proteine in serra e in una Las Vegas post-olocausto: compaiono anche gli ologrammi di Elvis Presley e Frank Sinatra in concerto) dove rifulge la fotografia affidata a un maestro come Roger Deakins (di cui Villeneuve si era già avvalso in Sicario). Non rimarrà nella storia, ma vale comunque ampiamente il prezzo del biglietto. 

lunedì 9 ottobre 2017

Ammore e malavita

"Ammore e malavita" di Antonio e Marco Manetti. Con Carlo Buccirosso, Claudia Gerini, Giampaolo Morelli, Raiz, Serena Rossi, Franco Ricciardi e altri. Italia 2017 ★★★½
Tre anni di attesa e i Manetti Bros, fratelli registi romani che danno il meglio di sé in trasferta armi e bagagli in quel di Napoli, hanno stravinto la scommessa, conquistando la Serie A con un film che è un caleidoscopio di generi di Serie B: il pur ottimo e sorprendente Song 'e Napule che lo ha preceduto è stata la prova generale di una pellicola che una giuria un minimo più spregiudicata e per una volta al passo con il gusto del pubblico e della critica meno conformista ed esterofila di quella del Festival di Venezia avrebbe premiato con un meritatissimo Leone d'Oro. E invece niente, però avrà l'apprezzamento di chi, attraverso il passaparola, si convincerà a recarsi nelle sale per due ore e passa di divertimento garantito, fin dalla prima scena: un tour a Scampia, con visita alle "Vele": The Ultimate Touristic Experience, con scippo incluso, per gruppi di turisti, in questo caso statunitensi, con tanto di balletto (e siccome la realtà supera la fantasia, i tour a Scampia, nella location di Gomorra, vengono organizzati davvero). Ecco, l'unico appunto è la durata forse eccessiva: una sforbiciata di una ventina di minuti avrebbe valso, da parte mia, un punteggio massimo come quello che avevo attribuito a La La Land ma a quelle altezze comunque siamo, con la differenza che, trattandosi di un musical criminale ispirato alla sceneggiata napoletana con riferimenti alla realtà partenopea come viene percepita dagli italiani (perché così proposta, e non solo da Saviano & Co), non è così universalmente comprensibile e dunque esportabile, ma non è detto che non venga apprezzato a dovere anche all'estero. La vicenda ruota attorno alla falsa morte di un capobastone della Camorra, O' re do pesce di Pozzuoli, Vincenzo Strozzalone, a seguito di un attentato fallito, inscenata su ispirazione della moglie Maria (Carlo Buccirosso, strepitoso, e Claudia Gerini all'altezza: una vera donna di spettacolo a tutto tondo) che "risolve problemi" traendo ispirazione dalle trame dei film, in questo caso Si vive solo due volte, per cui ad andarci di mezzo è un povero commesso di un negozio di scarpe che per sua sfortuna somiglia al boss che, in attesa dei funerali e di una fuga all'estero con la gentile consorte, si rifugia nella Panic Room di famiglia. Peccato che testimone della sostituzione di cadavere, all'ospedale, sia un'infermiera avventizia, Fatima (la bravissima Serena Rossi di Un posto al sole) che va eliminata. A darle la caccia la coppia fraterna di feroci sicari di Don Vincenzo, chiamati "Le tigri", Raiz (cfr Almamegretta) e Ciro (lo statuario e glacialmente afasico Ciro (Giampaolo Morelli, già protagonista di Song e' Napule: fenomenale), un Daniel Craig in versione Posillipo, primo e unico amore di Fatima, persa e ritrovata in questa sfortunata occasione. Costretto a tradire il clan per difendere la ragazza, scatenerà una strage con l'inesorabilità di un film dei Coen, citazioni tarantinane e trame internazionali nonché uso di tecnologie e intrecci internazionali da 007. Impossibile non sghignazzare dal primo all'ultimo minuto, oltre a rimanere ammirati per la bravura di tutti gli interpreti, tutti capaci di recitare, cantare e ballare come si deve; la precisione della regia e della fotografia, che spazia volutamente dall'autentico (il Rione Sanità, Posillipo, Pozzuoli, Torre del Greco, Scampia per l'appunto, ma come luogo turistico) al cartolinesco più scontato; una sceneggiatura solida in grado di reggere anche la durata forse eccessiva del film. Un grazie a tutti, e soprattutto alla non ancora premiata ditta Manetti Bros per avere inferto un colpo mortale al gomorrismo, ridicolizzandolo, oltre che sbertucciato come si deve gli americani e demolito una serie di luoghi comuni non indifferente, giocandoci. Da non mancare.

sabato 7 ottobre 2017

Inculatium


Non hanno vergogna né limiti. Davanti all'ultima versione della legge elettorale, il Rosatellum bis, o meglio Merdellum, si resta senza parole, a parte gli insulti più pesanti, per la banda di farabutti e impuniti che sta architettando un nuovo pastrocchio, puntualmente incostituzionale, per favorire inciuci e accordi sottobanco e togliere anche la minima parvenza di rappresentatività a chi sederà nel prossimo parlamento. Con che faccia si abbia ancora il coraggio di strologare di libertà di scelta e di sovranità popolare, oltre a fare la predica a chi si rifiuta di andare ai seggi legittimando una tale sconcezza con argomentazioni tipo "chi non vota ha sempre torto" non si sa, a meno di non averla come il culo. Chi si accinge a dare il proprio voto ai partiti e ai parlamentari che sostengono questa ennesima sopercheria, che sembra una presa per i fondelli e invece sarà la tragica realtà, è ancora più colpevole di questi ultimi, che se non altro hanno un interesse personale alla conservazione della cadrega. Ad maiora...

domenica 1 ottobre 2017

L'eterno ritorno

"Non capisco di cosa vi lamentiate... Vi avevo avvertito che sarei stato Franco con voi..."