domenica 24 settembre 2017

No Filter - No Turbo


Con ieri sono trascorsi esattamente 47 anni e due giorni (2451 settimane e 1 giorno, 17158 giorni) da quando, giovedì 1° ottobre 1970, al Palalido di Milano, vidi per la prima volta dal vivo i Rolling Stones: da allora non ho mai perso almeno una data di una loro tournée sul suolo europeo e ho alle spalle di sicuro più di 25 concerti, probabilmente una trentina. Mi rincresce profondamente doverlo dire, ma quello della tappa lucchese del No Filter Tour è stato di gran lunga il più deludente di tutti: vero che passati i cinquanta gli anni trascorrono sempre più in fretta lasciando tracce sempre più profonde, ma sembrano passate ere non solo da Roma 2014, ma anche dal fantastico concerto tenuto soltanto il 25 marzo dell'anno scorso all'Avana, di cui esiste anche un riscontro cinematografico (Havana Moon). Atmosfera ottima, già dalle prime ore del mattino in città e fin dal pomeriggio di venerdì, quando sono giunte le prime avanguardie (tra cui io), organizzazione inappuntabile e felice, per l'acustica, la scelta del luogo appena all'esterno delle antiche mura cittadine; quel che non ha funzionato è l'alchimia che da sempre rende straordinariamente compatto il suono della band, che si è ricreata a tratti solamente a partire da metà del terzo pezzo in scaletta, Tumbling Dice, quando Keith Richards, dopo una schitarrata catastrofica e col volume impazzito al primo riff di Sympathy for The Devil (un suo cavallo di battaglia) e un'imbarazzante performance in It's Only Rock'n'Roll (il pezzo in assoluto più semplice da suonare che hanno in repertorio) si è ripreso per innestare finalmente il turbo con i due pezzi tratti dal recente album "solo blues" Blue and Lonesome, seguiti da un'appena sufficiente e tirata troppo per le lunghe Let's Spend The Night Together (scelta con votazione in rete dal pubblico su quattro brani proposti) che ha confermato lo sfilacciamento tra le due chitarre: l'impressione è stata che Keith e Ronnie, una coppia che da oltre quarant'anni opera in perfetta sincronia (non soltanto sul palco), andassero ciascuno per conto proprio, in più stando troppo a lungo sulle note. Dopo una sconcertante versione di Paint it Black particolarmente funerea e una discreta di Honky Tonk Woman, Keith è tornato ad avere la situazione pienamente sotto controllo nei due pezzi cantati da lui e che hanno la sua impronta inconfondibile, Happy e Slipping Away. Con Miss You, canzone che detesto e per tradizione ascolto ai cessi o, nel caso di ieri, ad acquistare la prima birra della serata, venuta meglio del solito in una versione quasi jazzata, la magia è tornata con Midnight Rambler, in cui la scelta di andare per sottrazione e "scarnificare" il brano è risultata a mio parere più felice. Finale in ripresa ma senza punte eccelse, con la pecca di una Gimme Shelter in sordina, anche perché Sasha Allen, la voce femminile che ha sostituito Liza Fischer, non è assolutamente all'altezza: invece di cantare, urla. 



Ora: la scelta di andare all'essenziale, confermata dall'impianto scenico pressoché fustigato, senza fronzoli, quasi a riprodurre un'atmosfera da jam session in un club, una sorta di ritorno alle origini e al suono "sporco" che aveva ispirato l'album di cover di blues classici di cui sopra, la condivido in pieno; ma se meno note suoni e più, inversamente, ne sbagli, c'è qualcosa che non quadra (ancora) con i nuovi arrangiamenti, o magari il motore, e Keith Richards (lo dico con l'immensa stima, affetto e gratitudine che provo verso di lui come persona e come musicista) in particolare, deve ancora carburare a dovere e forse ne trarrà vantaggio il pubblico delle tappe successive del No Filter Tour: ieri il concerto lo ha tenuto in piedi con una generosità impressionante ed encomiabile Mick Jagger, in uno stato di forma strepitoso, pressoché da solo, e lo afferma uno che non è mai stato troppo tenero con lui. A prescindere dal fatto che qualsiasi musicista è autorizzato a interpretare come meglio crede un qualsiasi brano, tanto più quando ne è l'autore (ricordo i sedicenti fan "storici" di Bob Dylan che mai gli hanno perdonato le "svolta elettrica", e il fatto che il loro beniamino, quando gli gira, stravolga i propri pezzi al punto da renderli quasi irriconoscibili), il concerto di ieri, come quelli che lo hanno preceduto dall'avvio del No Filter Tour ad Amburgo due settimane fa, è la dimostrazione palese che i Rolling Stones non solo non suonano in playback, come qualche imbecille aveva sostenuto qualche tempo fa, o facendo uso massiccio di basi preregistrate, prerogative che lasciano volentieri a gente come gli U2, ma non fanno mai un concerto uguale all'altro, pur presentando la stessa scaletta. Che, per quanto riguarda la data di Lucca di ieri sera, era la seguente, per un totale di 2 ore e 20': alla faccia dei settant'anni suonati di tutt'e quattro (e di chi ci vuole male, come ha chiosato con accento napoletano il pur sempre grande Keith):


Sympathy for the devil
It's only rock'n'roll (But I like it)
Tumbling dice
Just your fool
Ride 'em on down
Let's spend the night together
Con le mie lacrime/As tears go by
You can't always get what you want
Paint it black
Honky tonk women
Happy
Slipping away
Miss you
Midnight rambler
Street fighting man
Start me up
Brown sugar
(I can't get no) Satisfaction

bis:

Gimme Shelter
Jumpin' Jack flash

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