venerdì 14 luglio 2017

Migrazioni e dintorni - Quando i torni non contano

Tito Boeri, Presidente dell'INPS
Avevano suscitato un vespaio, una decina di giorni fa, le parole con cui Tito Boeri aveva illustrato in Parlamento il rapporto annuale dell'INPS, ente di cui è presidente, in particolare il presunto buco di 38 miliardi di € da qui al 2040 causato dai mancati versamenti di contributi previdenziali da parte degli immigrati in caso di chiusura delle frontiere precisando che si riferisce a quelli regolari, prescindendo quindi dalle attuali controversie su sbarchi e accoglienza; il "regalo" che farebbero al sistema quelli di loro che lasciano l'Italia prima di maturare i requisiti per la pensione, dimenticandosi che in questo caso sono vittime di un vero e proprio furto legalizzato da parte dello Stato italiano, un esproprio proletario al revés in cui è il lavoratore a essere rapinato dall'istituzione che dovrebbe proteggerlo dai soprusi; infine l'aumento del numero degli immigrati sotto i 25 anni, 35% dei contribuenti INPS, che è non del tutto casualmente vicino al 37% dei giovani italiani della stessa fascia d'età che risultano in cerca di lavoro, ossia disoccupati. Poi mi capita sott'occhio quest'altro pezzo uscito sul Sole-24Ore, ampiamente corredato da dati e cifre, in buona parte di fonte OCSE, che spiega come attualmente il numero di italiani che emigra all'estero sia pressoché uguale a quello dei primi anni del Dopoguerra o delle migrazioni di fine Ottocento (queste ultime, ci tengo a precisarlo, prevalentemente oltreoceano, in direzione di Paesi come Argentina, USA e Brasile dove era ed è in vigore lo ius soli, come si addice a quelli scarsamente popolati: eppure anche in quelli esistevano ed erano ferrei i controlli degli uffici immigrazione, come il Hotel de Inmigrantes a Buenos Aires ed Ellis Island a New York). Si tratta prevalentemente di giovani, ben più scolarizzati dei protagonisti delle precedenti ondate emigratorie. Se si pensa che formare un semplice diplomato costa allo Stato (e alle famiglie) 90.000 €, 150 mila un laureato e quasi 230 mila un dottore di ricerca, anche stando bassi se ne vanno così in fumo qualcosa come 30 miliardi di euro l'anno investiti nella formazione di persone costrette a trovare lavoro in Paesi come Germania, Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Austria, USA di cui vanno a rimpinguare i sistemi previdenziali oltre che le casse dello Stato. Ma il professor Boeri lancia l'allarme per i 38 miliardi che verranno a mancare all'INPS nei prossimi 23 anni, auspicando la regolarizzazione di un numero di lavoratori stranieri, prevalentemente NON formati, o che verranno istruiti qui in Italia, se necessario, che compensino quelli italiani, in gran parte scolarizzati, emigrati all'estero facendovi circolare denaro e arricchendo le relative economie senza costo aggiuntivi per gli Stati. D'accordo, sono due cifre che esprimono cose diverse, non confrontabili in senso stretto, però il tutto rende l'idea che ci sia qualche incongruenza nel modo in cui viene presentata la cosa, e proposto il rimedio. Ché poi, bontà sua, il Boeri, dopo aver affermato che "abbiamo perciò bisogno di più immigrati", precisa che debbano essere regolari, aggiungendo che "Impedire loro di avere un permesso di soggiorno quando sono in Italia è la strada sbagliata perché li costringe al lavoro nero e li spinge nelle mani della criminalità", dimenticandosi innanzitutto che  a costringerli all'irregolarità è una legge demenziale che prevede il reato di clandestinità, alimentando da un lato una vera e propria tratta di schiavi e dall'altro un mercato che lo Stato non è in grado o non vuole combattere e spinge il costo del lavoro generale verso il basso, rendendo sempre meno appetibili i cosiddetti "lavori che gli italiani rifiutano" e sorvolando sul fatto che la stragrande maggioranza degli sbarchi in Italia è costituita da "migranti economici" e non da profughi (al di là del fatto che sono tutti, indistintamente, migranti "sistemici", ossia prodotti di un sistema economico quantomeno disfunzionale) di cui oggettivamente non si sentirebbe alcun bisogno se solo in questo Paese lo Stato facesse il "minimo sindacale" per potersi definire tale, ossia funzionasse con un minimo di decenza, non fosse sprecone e corrotto, devastatore di risorse, intorpidito da una burocrazia elefantiaca e da ipertrofia normativa, fiscalmente coerente e capace di una redistribuzione delle ricchezze e dei redditi appena decente. E, se ci fosse bisogno, nulla vieta di concedere visti regolari a chi ne fa domanda, compatibilmente con l'offerta; che, mi pare di ricordare, è il principio base che informa tutto l'ambaradàn del Libero Mercato sempre citato come l'Entità Suprema a cui tutto si deve adeguare. Tutto ciò a prescindere dagli interventi umanitari, dal salvare chi sta per annegare, dall'accoglienza vera e propria, doveri morali per chi li reputa tali ma che non vanno gabellati come delle impellenti necessità economiche senza cui un sistema pensionistico già miserabile e ingiusto di suo e che abbandona a sé stessi milioni di cittadini "che non rientrano nei parametri", destinati a crescere in progressione geometrica a forza di contratti precari, voucher e quant'altro, non sarebbe in grado di reggere. E a prescindere anche dal fatto che non si può pretendere di imporre la bontà, il volemose bene, la comprensione e l'immedesimazione col diverso per legge e considerare criminoso ogni atteggiamento non conforme, quando non si fanno rispettare le regole di base a chiunque si accolga oltre a non applicarle a sé stessi. 

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