sabato 31 dicembre 2016

Paterson

"Paterson" di Jim Jarmusch. Con Adam Driver, Golshifteh Farahani, Kara Hayward, Sterling Jerins, Jared Gilman, Luis Da Silva JR, Frank Harts, Rizwan Manji, Jorge Vega, William Jackson Harper, Masatoshi Nagase. USA 2016 ★★★★★
"Io non so cos'è la poesia ma la riconosco quando la sento", è una celebre citazione da Alfred E. Housman che fa altresì da cappello a "ParoleNote", un progetto di Maurizio Rossato che unisce musica, poesia e prosa diventato anche una fortunata trasmissione che va in onda su Radio Capital alla mezzanotte di mercoledì e in replica alle 23 di domenica: è una frase che calza a pennello per questo bellissimo film di Jim Jarmusch, che parla in modo originale quanto con semplicità e garbo di poesia ed è di per sé un piccolo, grande poema. Il regista racconta una settimana qualunque in questo caso d'un soleggiato ottobre, nella vita di Paterson, questo il nome del protagonista, un guidatore di autobus (non a caso interpretato da un attore che di nome fa Adam Driver) della città di Paterson, New Jersey (uno dei primi centri dell'industrializzazione negli USA: vi visse e lavorò, come tessitore, l'anarchico Gaetano Bresci), sposato con la dolce Laura, una sognante giovane d'origine persiana con aspirazioni probabilmente velleitarie, prontamente assecondate da lui che, invece, pur avendo i piedi per terra è appassionato di poesia e vi si produce lui stesso, col fedele taccuino sempre a portata di mano, lasciandosi ispirare da ciò che vede e da ciò che sente, che si tratti dei discorsi fatti dai passeggeri sull'automezzo o dei sogni che, al risveglio, gli racconta la moglie. La vita del nucleo famigliare, completato dal cane Marvin, un estroso bulldog inglese geloso della padrona che si diverte a fare dispetti a quello che considera un intruso, Paterson, che pure è quello che lo porta a passeggio ogni sera nella sua routine con birra al bar dell'angolo, scorre binari di una normalità fatta di poche e semplici cose e soprattutto di quotidianità, che lasciano però ampio spazio alla fantasia e alla capacità sia d'osservazione sia di immedesimazione nel prossimo da parte di tutti i personaggi, non solo i due sposi ma anche l'anziano padrone del bar, memoria storica di Paterson con le sue dispute coniugali, un'altra giovane aspirante coppia di colore, i "Romeo e Giulietta" della situazione, e altre piccole perle sistemate qui e là per finire nell'incontro casuale di Paterson con un giapponese anche lui amante della poesia, e in particolare della gloria locale William Carlos Williams e di Allen Ginsberg, pure lui abitante per un periodo a Paterson, con uno scambio di idee illuminante: inevitabile che mi sia venuto in mente Murakami Haruki, uno scrittore che racconta e fa vivere i suoi personaggi esattamente come Jarmusch li traduce in  immagine e movimento; a sua volta il film, nel suo apparente minimalismo, mi ha ricordato un altro capolavoro, Smoke, di Wayne Wang, scritto e codiretto da Paul Auster. Inutile aggiungere altro: Paterson è un gioello, il miglior regalo per le feste che potete fare e farvi. Che questo film sia d'auspicio per un 2017 cinematografico, e non solo, migliore. 

giovedì 29 dicembre 2016

Adiós, Comandante Andrea!


La sberla è arrivata, inaspettata, lunedì sera, mentre preparavo la tradizionale cena postnatalizia tra amici e parenti a base di gulasch, via SMS da Giuàn, mio brat milanese, "E' morto Andrea Bellini". Aveva 65, sei in più di quanti ne avesse suo fratello minore Gianfranco, scomparso nel 2012. Non un incidente, non un ictus: l'ha consumato un maledetto cancro, avrei appreso qualche ora dopo. Difficile immaginarlo malato: alto, imponente, gli occhi azzurri vivissimi, qualche filo biondo tra i capelli ormai radi e la barba che si era fatto crescere, curatissima. Non l'avevo più visto nelle mie ultime e sempre più rare escursioni milanesi; l'ultima volta, come sempre, circa un anno fa a pranzo da "Rattazzo", al Ticinese, luogo d'incontro di reduci di una Milano ormai scomparsa sopravvissuto alla gentifricasiùn della globalisasiùn che ha devastato il tessuto umano di tutti i quartieri popolari della città espellendone gli abitanti e immiserendola. Voce stentorea, accento marcatamente meneghino quando non parlava direttamente in dialetto, una rarità assoluta, ormai, aveva sempre il piglio del ganassa, come si dice appunto in milanese, del guascone, ma era fondamentalmente un buono, affettuoso, generoso, sincero e leale con gli amici. Una figura controversa negli anni Settanta, conosciuto da chiunque li avesse vissuti politicamente e detestato da molti: non solo dai fascisti ma anche da certo "compagnume", picciisti ed ex Statalinisti in testa, in particolare era odiato dai katanga, il servizio dì'ordine (si fa per dire) del Movimento Studentesco che aveva la sua base all'Università Statale di Via Festa del Perdono. L'avevo visto la prima volta lì, nel tardo pomeriggio del 12 dicembre del 1970, in occasione della manifestazione nel primo anniversario della strage di Piazza Fontana, quando lo spezzone anarchico venne caricato in Via Torino e inseguito fino in Via Pantano e dintorni e respinto dai "katanghesi" e quindi preso in mezzo e massacrato: fu in occasione degli scontri successivi che perse la vita Saverio Saltarelli, e quelli del MS non mancarono di far notare canagliescamente che la responsabilità era di coloro che avevano portato celerini e carabinieri sul "sacro suolo" che circonda la Cà Granda, e quindi nostra: Andrea fu tra quelli che ci salvarono dalla furia dei poliziotti. Il resto, fa parte della storia, la nostra piccola grande storia, una sorta di mito: quello degli sconfitti. Per me era come un fratello e mi mancherà tanto. Ciao Andrea: non abbiamo più fatto in tempo ad andare a trovare il nostro amico Amid in Riviera e a guardare il mare da sopra Sanremo bevendo rossese, però abbiamo visto la nostra Beneamata vincere di nuovo la Coppa dei Campioni (per noi si chiama ancora così) nell'anno del Triplete. Leveremo un calice in tuo ricordo. A pugno chiuso.

I funerali oggi alle 14,.30 al Crematorio del Cimitero di Lambrate a Milano in Piazza dei Caduti e dispersi in Russia.

Andrea Bellini, ovvero l’epopea degli anni Settanta

Al centro, Andrea bellini, alla sua destra, Marco Philopat, autore del libro "La banda Bellini"

Ricordo di Andrea Bellini e della sua Banda e del Casoretto, della Milano degli anni Settanta. “Cinque file da dieci, volto coperto, “Stalin” in mano, chiave inglese in tasca”


di Claudio Taccioli

Il Casoretto è un quartiere della periferia orientale di Milano.
Popolare per sua natura, abitato com’era, negli anni Sessanta, dagli operai dell’“Innocenti” e delle altre fabbriche milanesi.
Un popolo cresciuto nel mito dell’Unione Sovietica e della Resistenza antifascista. Tenuto saldo nella disciplina del lavoro e delle fedeltà al Sindacato e al Partito.
Un quartiere “comunista” senza tentennamenti.
Crescono nelle narrazioni dell’epica resistente e delle gloriose imprese dell’”Armata Rossa torrente d’acciaio”, anche, Andrea e gli altri ragazzi del quartiere.
L’antifascismo e il comunismo sono il pane e il sogno quotidiani.
Nessun dubbio, solo certezze sulla strada maestra da seguire. Quella della lotta di classe eterodiretta e del lavoro subalterno. Delle campagne elettorali, di quelle del  tesseramento e delle feste popolari per finanziare la burocrazia dirigente.
Cose fatte dai padri e stabilite, come norma comportamentale data, dalle riunioni di circolo e dalla vulgata popolare.

Bellini e gli altri ragazzi del Casoretto, nel percorso predefinito, si ritrovano all’Istituto Tecnico “Einstein”. Quasi un privilegio nella scuola di classe persistente in quegli anni. Una iniziazione  propedeutica e indispensabile alla fabbrica; con un gradino di partenza poco più alto di quello dei padri. D’altra parte, il capitalismo, nel crescente conflitto globale, ha bisogno di quadri qualificati.
Non lo sanno, ma già soffia un vento diverso che arriva dai Campus americani che rimbalzerà, luccicante, nel maggio francese. Per diffondersi ovunque; perfino nel Casoretto. Viene soffiato dalla musica e dalle mode dei “giovani”. Dalle parole ribelli dei cattivi maestri: Marcuse, Sartre, Don Milani, il Che, fra gli altri.
E il Sessantotto arriva nelle carne, nel sangue, nei sogni nuovi dei ragazzi e delle ragazze.
Prima, fu il sesso liberato dalle convenzioni e dalle paure. Il desiderio, finalmente, soddisfatto senza artifici. Fino alle sperimentazioni più ardite.
Dopo, i viaggi in centro alla metropoli; dove la storia correva nei cortei usciti dalla Statale. A incontrare il volto truce dello Stato. A prendere coscienza diretta della violenza del potere contro ogni umanità subalterna in movimento.
All’inizio solo come gregari, ma, presto, come protagonisti diretti e liberati e autonomi nelle proprie scelte collettive.

Le ragioni della rivolta di Bellini e degli altri ragazzi del Casoretto sono precise e ribelli, anche, nei confronti del discorso di vita dei padri e dei nonni.
“volevamo vivere, stare meglio: mangiare, bere, scopare di più (…) essere liberi più di prima”.
Guardano negli occhi i padri e le madri e i nonni sopravvissuti e dichiarano, con scandalo felice, il loro rifiuto alla vita predestinata. Non attraverso un percorso privato, individuale, egoista; ma nella scelta collettiva resistente e ribelle senza compromessi, dove la lotta libera tutti!
“nessuno voleva la fabbrica di riferimento (…) nessuno voleva entrare all’Innocenti. (…) se il comunismo è andare in fabbrica a lavorare, io non sono comunista!”.

Andrea e Gianfranco Bellini, il Bongo, il Franza,  il Morandi, Castelli il Rosso, Jack, Ettore, Walter, Papo Beccandus, Carletto lo Sponta, Brazz il Matto, Elvezio, la Frinkia, Annarita, la Betty, sono, in realtà, così comunisti che non sopportano le vecchie discipline organizzative. Fatte di capi e di gregari obbedienti. Di punizioni per i disobbedienti e di  privilegi per i mediocri.
Si sentono liberi nelle idee, nell’agire, nei corpi e si battono direttamente senza condizionamenti, comandi, discipline gerarchiche.
La loro ansia è partecipare senza mediazioni e compromessi al cambiamento, alla lotta corpo a corpo con il capitale e il suo Stato.
Cercano e trovano gli spazi dell’organizzazione autonoma. Costruiscono il loro pezzo di corteo strutturato sulla voglia di essere protagonisti in ogni occasione. Capaci di valorizzare e di  dare importanza a ciascuno. Sia collocato nella prima o nella quinta fila dello spezzone “Casoretto” del corteo: “CINQUE FILE DA DIECI. VOLTO COPERTO, STALIN IN MANO, CHIAVE INGLESE IN TASCA”.

Quei cortei che divengono la prosecuzione delle assemblee, delle riunioni, delle letture, delle discussioni, fatte con altri mezzi. Dove i corpi e le coscienze si mettono davvero in gioco; quando arrivano le cariche brutali dei nemici, servi di Stato. Precedute dal buio fitto dei lacrimogeni; sparati ad altezza d’uomo. Come nel primo anniversario della strage di stato: il 12 dicembre 1970. Quando 300 anarchici corrono, fino alla Statale, inseguiti dai carabinieri inferociti.
I “katanga”, dopo una prima resistenza, si chiudono nell’università e i ragazzi del Casoretto restano fuori a dare protezione.
Uno schianto duro e secco e, a pochi metri, cade, col cuore spaccato da un candelotto il giovane Saverio Saltarelli.
La “Banda Bellini” capisce che quello è il tempo degli assassini: non solo della loro giovinezza liberata.
Muoiono gli innocenti nelle stragi fasciste e di Stato; ammazzati lungo i cortei dalla più feroce sbirraglia esistente; colpiti negli agguati dai sicari fascisti allevati alla morte.

La Banda ha ben chiaro quali sono i nemici: fascisti e sbirri vari. Senza dimenticare le varie facce grottesche e feroci dello stalinismo: il partito, il sindacato. I famigerati Katanga “il servizio d’ordine più odioso mai esistito”. Creato, all’inizio, come difesa dei cortei; divenuto, subito, lo strumento di affermazione dell’egemonia del Movimento Studentesco (MS), poi Movimento dei Lavoratori per il Socialismo (MLS), su ogni altra organizzazione della sinistra estrema. Capace di punire, con crudeltà reiterata, chiunque si fosse messo in testa di discutere le sue affermate posizioni di potenza.
BANDA è il nome spregiativo che proprio gli statalini danno a quelli del Casoretto. Come fa sempre il potere per designare e sminuire gli avversari che si azzardano sul territorio proprio. Banditi erano i partigiani e i contadini del Sud in rivolta. Banditi sempre i ribelli e il collettivo del Casoretto porterà con orgoglio questo nome.

La banda Bellini si distinguerà in ogni corpo a corpo durante gli assalti delle forze dell’ordine ai cortei. Senza calcoli di parte, solo per difendere chi cercava salvezza e tregua. Lo farà con coraggio e determinazione in una vera e propria epica di nuova resistenza. Nei confronti, pure, delle chiusure “democratiche” del Sindacato e del Partito della classe operaia.
Fra un orgasmo e una bevuta collettiva e la ricerca di quell’amore indispensabile.

Corrono via i Settanta, duri e meravigliosi, quali furono.
Nel lungo prodigioso Sessantotto italiano, fino all’ultimo disperato giorno che segnò la fine di un ciclo. Quando, pur cosciente della situazione, Andrea accompagnò, per l’ultima volta,  i più giovani del Casoretto nel centro di Milano, il 14 maggio 1977.
La lunga camminata nel tunnel di silenzio della città rinchiusa e impaurita. Le sparatorie in bella mostra e la morte e la rabbia disperata. Per la certezza che tutto stava finendo in quel baratro di sangue senza orizzonti.
“ … ho sentito la puzza di morte. Una lunga e lenta agonia! (…) stavamo diventando la federazione giovanile dei gruppi armati!”

Dopo, solo la paura e il nemico nuovo che si chiamava isolamento, e fuga nell’eroina. Dove morivano i compagni, si bruciavano le speranze.
La galera e la necessità di andare avanti perché la “fine spaventosa” non era arrivata; ma neppure lo “spavento senza fine” si faceva avanti.

Ti abbiamo visto, ancora, Andrea a ricordare e raccontare. A pugno chiuso contro qualche tipo di sopraffazione; nelle strade e nelle piazze disoccupate dai sogni. Da riempire di rabbia.
Ti abbiamo ascoltato e voluto bene fino all’ultimo.

Quello che sei stato, quello che siamo stati. Quello che saremo nelle idee non deluse e caparbie, nessun’altra storia e volontà potrà portarceli via.
La camminata verso Mapache, a cinque file da dieci, non è finita ancora, bastardi!
“let’s go”
“why not?”

ANDREA BELLINI è morto il 26 dicembre, aveva 65 anni!

“BRINDO ALLE DONNE CHE NON HO CONOSCIUTO, ALLE BANCHE CHE NON HO ASSALTATO, AI NIPOTI CHE NON HO MAI AVUTO. BRINDO AI COMPAGNI DI UN TEMPO, E ALLE LORO OSSA CHE BIANCHEGGIANO AL SOLE …”

lunedì 26 dicembre 2016

Rogue One: A Star Wars Story

"Rogue One: A Star Wars Story" di Gareth Edwards. Con Felicity Jones, Diego Luna, Ben Mendelsohn, Mad Mikkelsen, Riz Ahmed, Donnie Yen, Forest Whitaker e altri. USA 2016 ★★★½
Come risulta esplicitamente dal titolo, Rogue One è una delle storie possibili di Star Wars, che si inserisce nella saga creata da George Lucas e si colloca temporalmente all'incirca nel mezzo, ma assume una dimensione e dignità autonome e risulta più convincente del primo episodio della "Gestione-Disney" (e settimo della serie), Il risveglio della Forza, affidato a J. J. Abrams e uscito l'anno scorso. La trama ruota attorno alla ricerca dei piani di costruzione della Morte Nera, arma capace di polverizzare interi pianeti creata da Galen Erso, uno scienziato ribelle obbligato a lavorare per l'Impero Galattico, in cui il suo creatore ha celato un sistema per sabotarli. Protagonista della vicenda è la figlia, Jyn Erso che, sfuggita alla cattura del padre 15 anni prima e nascosta e protetta da Swi Gerrera, un generale ultraribelle. Tramite un pilota della Galassia disertore, Galen riesce a far giungere alla coalizione dei Ribelli un messaggio sull'esistenza della Morte Nera e al contempo sulla sua vulnerabilità. Gerrera lo riconosce come autentico, ma i ribelli ci mettono un po' a procedere uniti all'attacco degli imperiali uniti seguendo la missione in avanscoperta guidata dal capitano Cassian Andor e al droide riprogrammato K-2SO (in un primo tempo il compito di Andor era quello di aiutare Jyn a rintracciare il padre scienziato solo allo scopo di eliminarlo). Al solito la faccenda è molto più complessa e intrecciata, ma dopo un avvio un po' a rilento, utile però a definire ambientazione e personaggi, la pellicola prende un ritmo sempre più incalzante, si scatenano gli effetti speciali, ottenuti grazie ai miracoli della computer-grafica, ma mai pacchiani, e ci si ritrova inevitabilmente coinvolti a seguire l'avventura spaziale come dall'interno: se questo succede, al di là del quasi inevitabile lieto fine, la missione non facile affidata al regista inglese Gareth Edwards può dirsi pienamente compiuta e si rimane in attesa del prossimo film della serie. Se lo scopo è trascorrere un paio d'ore di sano divertimento evitando cinepanettoni nostrani e d'importazione, fra i film in programmazione in questo periodo è sicuramente tra i più consigliati.

sabato 24 dicembre 2016

Renzi chi?

"Vorrei sparire per un po'" spara il titolo del pezzo che racconta "l'altra vita di Renzi, fra Triathlon e scrittura" sull'edizione on line del CorServa. Speravate di esservelo tolto dai coglioni per qualche tempo, dopo la legnata presa giusto tre settimane fa e invece no: rieccolo che rispunta come un misirizzi, questa volta in dimensione domestica, o meglio provinciale, sulla copertina del prestigioso settimanale Chi a sua volta sponsorizzato dal Corriere della Serva, un tempo il più autorevole giornale italiano, per farci sapere come trascorre le sue giornate lontano da Palazzo Chigi, dove fa la guardia al bidone la sua controfigura in formato sobrio il felpato Paolo Gentiloni, sotto la sorveglianza della fida Mariaele, promossa da ministro delle Riforme costituzionali e dei Rapporti col Parlamento a sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Autrice della marchetta natalizia, l'ineffabile Maria Teresa Meli, la notista politica conosciuta per essere la depositaria dell'interpretazione autentica del pensiero dei segretari del fu PCI-PDS-DS-PD, la traduttrice in lingua corrente dei borborigmi che ode nella sede nazionale del partito, già ventriloqua di fiducia del Leader Massimo (quand'era D'Alema) e ora, con la medesima disinvoltura, di Matteo Renzi. Vi segnalo il suo pezzo perché vale veramente la pena: sobrio, scorrevole, arguto, un'amena lettura che il CorServa regala ai suoi lettori e io, da vecchio corrierista, a voi, che mi seguite su queste pagine. Buona feste!

mercoledì 21 dicembre 2016

Aquarius

"Aquarius" di Kleber Mendonça Filho. Con Sonia Braga, Maeve Jinkings, Humberto Carrão, Irandhir Santos, Barbara Colen, Julia Bernat, Thaia Perez e altri. Brasile 2016 ★½
Pieno di speranze, e pregiudizialmente ben disposto verso ciò che, a dosi sempre troppo scarse, ci arriva dal Continente Desaparecido, benché popolato da milioni di italiani o loro discendenti, sono uscito più deluso che perplesso dalla visione di questo film, che pure ha l'innegabile pregio di denunciare senza mezzi termini sia le attitudini predatorie degli speculatori immobiliari e terrieri, da sempre volano della corruzione dilagante in Brasile, sia il colpevole oblio verso un passato di lotta contro una dittatura ultraventennale e il tradimento delle istanze verso un futuro migliore sempre promesso e mai arrivato a coinvolgere tutto il Paese. Pur avvalendosi di una Sonia Braga in stato di grazia nei panni di un personaggio che sembra tagliato apposta per lei, una donna fascinosa e volitiva che a metà della sessantina, l'età dell'attrice, si ritrova a essere l'unica abitante rimasta a vivere in un condominio, l'Aquarius del titolo, prospiciente la spiaggia più rinomata di Recife, nel Nordeste del Brasile, Stato del Pernanbuco, unico edificio d'epoca (anni Quaranta) sopravvissuto all'oscena colata di cemento che si è abbattuto sulla città e al centro delle mire di un'immobiliare che ha già acquisito tutti gli altri appartamenti. Clara è una famosa critica musicale pensionata rimasta vedova che vive lì da sempre e che non è intenzionata a mollare: i reiterati tentativi di farla cedere, inizialmente con proposte vantaggiose e lusinghe; in seguito attraverso minacce dapprima larvate e poi più fattuali, cozzano contro la volontà di ferro di una donna capace di combattere un devastante cancro al seno e proseguire con coraggio la propria vita, sessualità compresa, e le sue passioni, coltivare la famiglia e le conoscenze nate e tenute assieme dalla solidarietà dei tempi duri, tirare su tre figli: da qui un duello epico tra Clara e Diego, il rampollo della famiglia di costruttori, fresco di studi negli USA e, come se non bastasse, adepto di una delle tante sette protestanti che flagellano il Brasile più ancora di quanto abbia fatto la chiesa cattolica o l'insipienza di una classe dirigente rapace. Clara trae la sua forza da un passato che la pellicola ripercorre, prendendola anche troppo larga, partendo dagli anni Ottanta con una Clara trentenne (Barbara Colen) somigliante in maniera impressionante (mi sono emozionato) a Elis Regina, la cantante gaucha tragicamente scomparsa nel 1982 ed entrata nel mito, durante la festa del settantesimo compleanno di un'altra donna forte, l'emancipata Lucia, vecchia militante e studiosa, un'icona per i ragazzi dell'epoca; il resto è lasciato ai ricordi della protagonista e alla bravura di Sonia Braga. Quello che non funziona è il ritmo, che più ancora che sincopato è discontinuo, la sincera pochezza degli altri interpreti, che sembrano davvero comparse messe a dire due parole in croce, e l'impianto assolutamente televisivo, e quasi due ore e mezzo di telenovela propinata in unica soluzione sono troppe anche per un occhio benevolo. Si rimane ancora una volta perplessi dal fatto che il più grande e ricco Paese dell'America Latina sia capace di produrre un cinema che, anche nelle sue espressioni migliori (a giudicare almeno da quel che filtra qui in Europa) è lontano anni luce da quello argentino in primis, seguito da quello cileno e da quello messicano e quindi colombiano. Troppo poco per le potenzialità del Paese e per i temi che avrebbe da proporre. 

lunedì 19 dicembre 2016

Souper


"Souper" di Ferenc Molnár. Traduzione di Ada Salvatore, adattamento e regia di Fausto Paravidino. Scene Laura Benzi; costumi di Sandra Cardini; aiuto regia di Maria Teresa Berardelli; Luci di Alessandro Macorig; foto di scena Simone Di Luca. Con Filippo Braidotti, Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar, Riccardo Maranzana; Francesco Migliaccio, Maria Grazia Plos e Federica De Benedettis. Produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Al Teatro San Giorgio di Udine.
E' un evento raro che le sapide commedie di Ferenc Molnár, famoso in tutto il mondo per essere l'autore de I ragazzi della via Paal, vengano rappresentate in Italia (giurista di formazione, fu valente giornalista oltre che romanziere e drammaturgo), e così non mi sono lasciato scappare l'opportunità di assistere alla rappresentazione di questa versione di Souper curata da Fausto Paravidino, portata in scena lo scorso fine settimana al San Giorgio Udine, dopo aver debuttato al Rossetti di Trieste e aver girato alcuni teatri regionali dall'affiatata compagnia dello Stabile del Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un breve e intenso "scherzetto" tirato al Direttore di banca durante la cena del suo sessantesimo compleanno, quando oltre al genetliaco festeggia il raggiungimento dell'apice della sua carriera nell'alta finanza, assieme agli amici che più gli sono stati vicini (ma forse sarebbe più appropriato chiamarli complici): la visita, proprio mentre ha appena iniziato il suo discorso di ringraziamento dopo quelli sperticatamente elogiativi dei suoi compari, di un ufficiale di polizia venuto ad arrestarlo. Amici tanto zelanti nel decantare le virtù del Direttore quanto solerti, una volta scatenatosi il panico, nel prenderne le distanze accusando gli altri di collusione con lo sventurato, scoprendo ciascuno i propri altarini e gli intrecci più sordidi in nome del Dio Denaro, ma tutto si riaggiusta, nello spietato, ipocrita e corrotto mondo dell'alta finanza quando si scopre che è stato Richetto, un comune bizzarro conoscente con velleità di attore, a travestirsi da poliziotto e a organizzare il tiro mancino: tanto ben riuscito quanto in definitiva credibile; e nemmeno il disvelarsi della falsità e dell'opportunismo delle amicizie fa cambiare l'andazzo in quel mondo. Istruttivo divertissement scritto nel 1930 e quanto mai attuale, a dimostrazione che quando si tratta di finanza non è mai cambiato niente, né cambierà. Ironia, sberleffo, scambi di frecciate posti con garbo da un gruppo di interpreti convincenti (una menzione particolare per l'incantevole e versatile Lara Komar) in uno spettacolo che, in 60 minuti appena, fornisce l'affresco di una realtà immutabile.

sabato 17 dicembre 2016

Mi ricordo pistole fumanti...


"Con quelle orecchie, può dire ciò che vuole": la verità, nient'altro che la verità. Una garanzia: Obama vuol dire fiducia. Se poi le prove le forniscono CIA e FBI stiamo tranquilli. Vero, Assange? Vero, Snowden?

venerdì 16 dicembre 2016

Captain Fantastic

"Captain Fantastic" di  Matt Ross. Con Viggo Mortensen, George MacKay, Annalise Basso, Samantha Isler, Shree Crooks, Nicholas Hamilton, Charlie Shotwell, Frank Langella, Kathryn Hahn, Steve Zahn e altri. USA 2016 
Quello attorno a Natale è, cinematograficamente parlando, il momento più difficile dell'anno, più dell'estate quando, per lo meno, si riesumano i film usciti durante la stagione vera e propria e si fa in tempo e recuperare quelli persi. In queste settimane no: a parte qualche rara eccezione, a far concorrenza ai pecorecci cinepanettoni nostrani dall'estero arrivano prodotti discutibili, a volte così pretenziosi da diventare irritanti e indisporre ancora di più dei primi, che almeno dichiarano il loro intento di far cassetta senza buttarla sull'intellettuale. Un esempio da manuale è questo Captain Fantastic, che ha avuto buone recensioni dalla critica militonta e buonista per il solo fatto di essere un film indipendente, di quelli che hanno successo al Sundance Festival, intrisi di politically correct, invariabilmente di tema adolescenziale con tutte le sfaccettature del caso: in questo si tratta dell'educazione "fuori dagli schemi" che Ben, una specie di hippie seguace, a suo dire, dell'incolpevole Noam Chomsky, inopportunamente tirato in mezzo, e la moglie Leslie impartiscono ai sei figli (Ben è un inseminator seriale quasi a livello di Mick Jagger) rintanandosi nelle foreste del Nord Ovest degli USA, vivendo di ciò che la natura offre, e badando personalmente a fornire loro un'istruzione di stampo marxista-survivalista. Capita che il padre-amico-dittatore, che tiene segregata la vasta e variegata famiglia, rimanga da solo perché Leslie, malata di un grave disturbo bipolare perché forse le è venuto un dubbio sulle sue scelte demenziali, si suicida. Per partecipare ai suoi funerali tocca che si mettano in viaggio verso l'odiato mondo consumista, a bordo di Steve, un vecchio scuola-bus, quasi un must in questo tipo di pellicole, prima dai cognati-cugini, poi dagli abbienti genitori di Leslie, nel New Mexico, dove il suocero e nonno, Jack, è deciso a far togliere la patria potestà a Ben per far frequentare delle scuole normali ai ragazzi. Non sto a raccontare quanto accada durante il viaggio e poi al funerale e come va a finire la storia, in un crescendo di vicende improbabili e al contempo banali per non togliere la "sorpresa" a coloro che si avventureranno a vedere questa roba, di cui non si capisce lo scopo che, se è quello di criticare il "sistema", fa in compenso fare la figura degli idioti a questi ecologisti ridicoli, talebanamente americani, in una specie di commediola che nulla ha che fare con il radicalismo del protagonista di Into the Wild di Sean Penn. L'unica nota positiva in mezzo a una marea di luoghi comuni sono i ragazzi, la cui interpretazione ha almeno il dono della freschezza, che non è il forte del penoso Rigor Mortensen, omen nomen, nella parte di Ben, la cui espressione di una fissità inquietante non cambia nemmeno quando si rade la barba incolta ed ecco, si tramuta in un sosia di Pavel Nedved, il calciatore più scorretto e meno stimabile che abbia calcato un campo di gioco italiano, e gli ultimi quindici minuti di pellicola in un incubo. Risparmiatevi i soldi del biglietto. 

mercoledì 14 dicembre 2016

Sully

"Sully" di Clint Eastwood. Con Tom Hanks, Aaron Eckhart, Laura Linney, Anna Gunn e altri. USA 2016 ★★★★
Un fatto realmente accaduto e rimasto nella memoria dei newyorkesi, l'ammaraggio d'emergenza sul fiume Hudson il 15 gennaio del 2009, e l'autobiografia del comandante Chesley "Sully" Sullemberger che ne fu l'autore: storia e scengrafia erano già pronte per una parabola che più eastwoodiana non si può. In questo film c'è tutto il vecchio Clint: l'americano medio che, agendo in base al buon senso e al proprio codice morale fa la cosa giusta anche se volendo cavillare non la più corretta secondo le procedure, e alla fine la ha vinta anche su questa. Il capitano Sullemberger era diventato un eroe per il passeggeri e per i colleghi: il miracolo era stato far planare il velivolo, con 155 persone a bordo, da poco decollato dall'aeroporto La Guardia, dopo che entrambi i motori si erano bloccati in seguito a una collisione con uno stormo di uccelli, sulla superficie del fiume senza che alcuno subisse conseguenze serie, eppure fu messo sotto inchiesta per avventatezza e incompetenza davanti al National Transportation Safety Board che, in base a delle simulazioni fatte su computer, gli aveva contestato di aver messo a repentaglio la sicurezza di viaggiatori ed equipaggio (nonché danneggiato l'aeromobile) anziché tornare alla base o atterrare nel più vicino aeroporto del New Jersey come secondo delle simulazioni effettuare al computer sarebbe stato possibile, rischiando così sia il posto di lavoro sia la pensione. Pur sotto pressione da parte della stampa, tra udienze demenziali e beghe di famiglia, il Nostro non perde mai l'equilibrio e riuscirà a dimostrare quanto sia stato decisivo il "fattore umano", fatto di esperienza, conoscenza, sensibilità e intuito, nei 37 secondi che la commissione riconosce necessari per assumere tutti i dati in possesso dei computer e che, tolti dalla simulazione avrebbero fatto schiantare l'aereo su Manhattan. Un film essenziale, spettacolare la sua parte senza però insistere su questo aspetto, il perfetto stile Eastwood, ancora una volta un maestro a scegliere e dirigere gli attori, tra cui spiccano Tom Hanks nei panni del comandante, in un primo momento assalito anche lui dal dubbio di aver fatto la scelta sbagliata, e Aaron Eckhart in quelli del suo più esuberante vice, fin dall'inizio convinto della giustezza della decisione del suo superiore.

sabato 10 dicembre 2016

Snowden

"Snowden" di Oliver Stone. Con Joseph Gordon-Levitt, Shailene Woodley, Melissa Leo, Zachary Quinto, Tom Wilkinson, Rhys Ifans, Nicolas Cage e altri. USA, Germania 2016 ★★½
Premesso che pochi sono bravi come Oliver Stone a spettacolarizzare degli eventi reali e che le biografie sono il suo pane, non si capisce del tutto la necessità di un ulteriore film su Edward Snowden dopo Citizenfour di Laura Poitras, la vera documentarista che, assieme ai veri Glenn Greenwall e Ewan McAskill, giornalisti del Guardian, qui interpretati rispettivamente, e bene, da Melissa Leo, Zachahry Quinto e Tom Wilkinson, raccolsero le testimonianze del vero Snowden (il pur ottimo Joseph Gordon Levitt) in una camera blindata dell'albergo Mira di Hong Kong nel giugno di tre anni fa e che ne testimoniò l'inseguimento da parte di CIA e NSA e la fuga conclusasi nella Russia di Putin che gli ha offerto un'ospitalità che dura tutt'ora. In quel film c'era già tutto: tensione, noir, thriller, spionaggio, i reporter d'assalto, pathos e, soprattutto, autenticità; al confronto, questa pellicola di Stone sembra un feuilleton con alcune parti francamente banali e poco credibili, a cominciare dalla fidanzata del protagonista, qui una sciapa Shailiene Woodley che sembra uscita da una serie TV per adolescenti e che sfigura in tutti i sensi in confronto alla vera Lindsay Mills che ha seguito il suo compagno a Mosca. Vero anche che il film ricostruisce il passato del personaggio Snowden, l'idealismo che sta alla base del desiderio di mettersi al servizio del proprio Grande Paese, IL PIU' Grande Paese: insomma la formazione del classico Eroe Americano formato Oliver Stone, il cavaliere senza macchia e senza ombra dedito alla verità sopra ogni cosa e nemico dell'industria delle armi che sottende tutto il sistema USA, e quindi si sofferma sull'addestramento, innanzitutto militare (volontario nei corpi speciali), poi come informatico, infine la sua evoluzione politica, da sincero patriota conservatore su posizioni repubblicane a liberal, sotto la spinta della fidanzata progressista. E' evidente che un personaggio simile abbia attirato un regista come Stone che ne condivide le ossessioni e posizioni, peraltro perfettamente giustificate e lodevoli, ma il risultato non convince del tutto, anche se la pellicola è più che discreta da un punto di vista tecnico e del ritmo e si lascia vedere gradevolmente. Rimane intatta la stima per Stone e per il suo entusiasmo però a mio parere sarebbe stato meglio se avesse scelto un altro tema rispetto a una storia che era già stata raccontata così bene ed efficacemente con lo stesso strumento cinematografico dai protagonisti in persona. 

giovedì 8 dicembre 2016

Amori e inganni

"Amori e inganni" (Love & Friendship) di Whit Stillman. Con Kate Beckinsale, Chloë Sevigny, Xavier Samuel, Morfydd Clark, Emma Greenwell, Tom Bennett, James Fleet, Jemma Redgrave, Stephen Fry, altri. USA, Irlanda 2016 ★★★
Ogni tanto ci vuole anche un film rilassante e scacciapensieri e così domenica pomeriggio, in attesa dei risultati del referendum e per distrarre un'amica da un malevolo aspetto della Luna con Plutone, sono andato a vedere questa trasposizione cinematografica di un breve romanzo giovanile di Jane Austen uscito postumo in forma epistolare, Lady Susan, che racconta le manipolazione messe in opera da un'affascinante nobile di campagna, intepretetata da una radiosa Kate Beckinsale, rimasta improvvisamente vedova del marito che le cosentiva di vivere nel lusso nella residenza di Longford la quale si sposta in quella dei parenti dello scomparso a Churchil con li fermo proposito, grazie alle sue astute trame, di sedurre il giovane fratello della cognata, Reginald, e al contempo maritare sua figlia Frederica, ancora adolescente, a un altro "gentiluomo" di campagna, Sir James Martin, un gaffeur memorabile oltre che un perfetto imbecille (Xavier Samuel, un bravo attore che, essendo australiano, non fatica a immedesimarsi nella parte del buzzurro idiota). Tutti diffidano di Lady Susan, la cui abilità nell'arte della tresca è conosciuta fino a Londra, ma nessuno riesce a resistere alle sue capacità seduttive, men che meno Reginald; ma una serie di incidenti di percorso, tra cui una gravidanza di cui è opportuno occultare il responsabile, e da cui Susan viene aiutata a districarsi dalla sua unica amica vera, un'altra abile e a suo modo simpatica opportunista, un'americana maritata a un vecchio arnese della nobiltà inglese, Chloë Savigny, inverte all'improvvisa lo schema della maliarda che finisce per impalmare l'utile idiota, felice cornuto e quindi padre inconsapevole, e a promettere Frederica al giovane, bello e dabbene Reginald. Leggero, simpatico, recitato con la parlantina affettata di fine settecento, proprio mentre dall'altro lato della Manica Robespierre e i suoi compari provvedevano a mietere le teste dei consimili di questa gentaglia inutile e dannosa, è un film sulla manipolazione che torna in qualche modo attuale anche se nelle intenzioni del regista è piuttosto evidentemente un divertissement in costume, di stampo prettamente teatrale, che lascia un po' a desiderare in quanto a credibiltà dell'ambientazione, ma non perde in freschezza grazie al brillante cast. Più che discreto, comunque adeguato allo scopo che mi ero prefisso di trascorrere un'ora e mezz'ora in piacevole relax in attesa degli aventi.

mercoledì 7 dicembre 2016

Agnus dei

"Agnus dei" (Les innocentes) di Anne Fontaine. Con Lou Laâge, Agata Kulesza, AgataBuzek, Joanna Kulig, Katarzyna Dabrowska e altri. Francia, Polonia 2016 ★★★★
Bel film al femminile che si ispira a fatti realmente accaduti, annotati nel diario personale del medico francese Madeleine Pauliac, attiva in una missione della Croce Rossa in Polonia nel 1945, Agnus dei affronta il tema degli stupri collettivi e ripetuti avvenuti in un convento benedettino durante una violenta incursione di un gruppo di soldati russi, in seguito al quale sette suore rimasero incinta. E' sull'aspetto delle conseguenze, e del superamento della sconvolgente esperienza che si concentra la pellicola, e non sul violento crimine che le causa, precedente l'inizio del racconto, e dunque non indugia nemmeno un secondo sull'illustrarlo visivamente, limitandosi a evocarlo velatamente nei dialoghi, racconto che inizia con la richiesta di soccorso al medico da parte di una religiosa, allarmata dal malessere di una sua sorella, che di sua iniziativa e all'insaputa dei superiori cerca aiuto. Mathilde, il giovane medico, atea e discendente da una famiglia di comunisti, accetta, e tornerà tutte le notti a fare visita al convento assistendo le monache rimaste gravide fino al parto, scoprendo la tragica verità, anche contro la volontà della madre superiora, che accetta il suo intervento soltanto se Mathilde assicura il massimo della segretezza. Per mantenere il suo impegno, la dottoressa corre a sua volta grossi rischi personali e professionali, ma alla fine riesce a portare a termine la sua missione, entrando man mano in confidenza con il mondo particolare del monastero e nel rapporto che si crea tra la giovane dottoressa non credente e le ragazze che, per motivi diversi, hanno abbracciato la vita monacale, per alcune una missione, per altre una scelta non voluta ma inevitabile, sta la parte più interessante e riuscita del film, specie ritraendo il legame che si instaura tra la non Mathilde e la coetanea Maria, di fatto la vice della madre superiora, che insieme trovano una maniera per evitare l'abbandono dei figli nati dalla violenza inconfessabile, unica soluzione che la più anziana responsabile dell'istituzione, la quale a sua volta porta su di sé le conseguenze dello stupro, riesce a vedere nella propria disperazione. Aiutata da una fotografia ddi notevole impatto, dalla bravura di tutte delle interpreti, e da una sceneggiatura rigorosa di cui la regista è anche co-autrice, il risultato è un film significativo che non mi rimane che consigliare.

lunedì 5 dicembre 2016

Meditazione referendaria definitiva #inaltoicalici

Il baccanale degli Andrii di Tiziano Vecellio, esposto alla mostra Orlando furioso 500 anni al Palazzo dei Diamanti di Ferrara

Poche ciance: se il risultato della riforma su cui aveva puntato tutte le carte il PD renziano è stato quello di domenica, l'asinistra italiana si è dimostrata altrettanto unfit a governare (© The Economist) della adestra, da cui la distingue un asservimento ai diktat eurocratici perfino più pedissequo.
Quanto alla querula litania sulla eterogeneità e divisione del cosiddetto "fronte del no", e all'inesistenza di una maggioranza alternativa a quella attuale, vorrei ricordare agli sconfitti che il quesito referendario verteva su una riforma costituzionale voluta e imposta dall'esecutivo (e dalle forze che lo eterodirigono) al fine di rafforzarlo e che l'unico "fronte" in lizza era quello governativo, coincidente in massima parte col PD (la percentuale del 40,89% ottenuta ieri è pressoché identica a quella registrata dal partito renziano alle Europee del 2014) mentre la stragrande maggioranza degli elettori che vi si è opposto è costituita da cittadini che, come tali, non hanno alcun obbligo di proposta politica né si identificano a prescidere con un partito. E non tralascerei nemmeno il significato del 35% rappresentato dagli astensionisti, ancora meno benevoli nei confronti di Renzi e dai suoi ministri mal tra insema.

Renzi: "Se vince il no torniamo indietro di 30 anni"


Sbagliava un'altra volta: 40 anni.
13 maggio 1974, referendum sull'abrogazione della legge sul divorzio:
Sì 40,74%
No 59,26

domenica 4 dicembre 2016

Animali notturni

"Animali notturni" (Nocturnal Animals") di Tom Ford. Con Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Aaron Taylor-Johnson, Laura Linney, Michael Sheen e altri. USA 2016 ★★★½
In dubbio sino all'ultimo momento se attenderne il passaggio in televisione o andare a vederlo in sala, temendo che si trattasse di un trastullo sull'alta società eccessivamente leccato, fortunatamente ho scelto la seconda opzione perché si tratta di un bellissimo film, in cui l'elemento formale, una serie di immagini-quadro estremamente efficaci e capaci di colpire emotivamente, sono in funzione della storia che viene raccontata. Anche e soprattutto quando ritraggono il mondo asettico e apparentemente perfetto che circonda la protagonista, Susan Morrow, interpretata da una Amy Adams ancora una volta strepitosa, una gallerista d'arte moderna di Los Angeles che, a dispetto del successo, vive un'infelice esistenza coniugale con un marito sempre lontano e che la tradisce, e si trova a riflettere sulle proprie scelte passate quando riceve inaspettatamente un manoscritto da Edward, l'ex marito, da cui aveva divorziato molti anni prima infliggendogli un grave torto: il suo romanzo d'esordio dedicato proprio a lei. Animale notturno, lo divora durante le sue notti insonni coinvolgendosi completamente nel racconto tanto da immaginarsi visivamente la vicenda, come un incubo, e immedesimando Edward nel personaggio principale, finendo così di leggervi la metafora del loro rapporto e rendendosl conto non solo del dolore infertogli ingiustamente, ma anche di quanto abbia finito di assomigliare alla propria madre e ai "valori" alto-borghesi che rappresentava, fondati solo su denaro, apparenze e opportunismo, e contro cui s' era ribellata proprio sposandosi con Edward, una persona sensibile, sognatrice, piena di progetti. La pellicola scorre così su due piani: il mondo patinato e artefatto in cui vive suo malgrado, e quello interiore in cui rivive la vicenda  raccontata nel romanzo intrecciandola coi suoi ricordi e trasponendola in una realtà immaginaria ma questa sì fatta di lacrime, sangue e dolore vero, in una parola viva ed espressa in modo potente dal regista Tom Ford. Che nasce come stilista e che ci regala, dopo l'ottimo A Single Man del 2009, un altro film formalmente ineccepibile e se possibile ancora più efficace: un dramma borghese formato thriller, il tutto col ritmo giusto, inquadrature perfette, fotografia magistrale e valendosi di interpreti in piena forma. Una bella conferma ma anche una gradita sorpresa. 

venerdì 2 dicembre 2016

Riflessione referendaria n° 9 #bastaunpocodizuccheroelapillolavagiù


La riforma della carta fondamentale, che dal 1948 regola la coesistenza tra gli italiani, i quali in quasi settant'anni non hanno nemmeno avuto l'occasione di vederla pienamente applicata, è stata votata da un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale e quindi illegittimo, per di più da una maggioranza diversa da quello che aveva vinto le ultime "politiche" nel febbraio del 2103, e come se non bastasse a furia di voti di fiducia. Mancano poche ore a domenica 4, dunque meditate gente, meditate.

giovedì 1 dicembre 2016

Il cittadino illustre

"Il cittadino illustre" (El ciudadano ilustre) di Gastón Duprat, Mariano Cohn. Con Oscar Martínez, Dady Brieva, Belén Chavanne, Andrea Frigerio, Nora Navas, Gerardo Palacios, Manuel Vicente, Marcelo D'Andrea e altri. Argentina, Spagna 2016 ★★★
C'è del genio nel cinema argentino di qualità, e perfino della preveggenza, pensando alla telenovela dell'assegnazione del Premio Nobel della letteratura di quest'anno a Bob Dylan, e questo film spiega bene il motivo per cui il cantautore americano si guarda bene dall'andare a ritirarlo: per non fare la fine di Daniel Mantovani, il "cittadino illustre" di cui al titolo. Questi, nel suo lucido discorso di accettazione all'accademia di Stoccolma, già prevede che il premio decreterà la fine del suo essere scrittore, trasformandolo in un un monumento destinato a essere dimenticato in un museo. E così è, perché per cinque anni non scriverà più nulla, si isolerà e si impegnerà soltanto a disdire il più possibile incontri, presentazioni, lezioni universitarie, interviste, evitando accuratamente quella stessa società che gli ha dato la celebrità: accetterà soltanto, lasciando senza parole la sua assistente, di tornare in Argentina per ricevere la cittadinanza onoraria di Salas, un paesino sperso nell'immensa provincia di Buenos Aires, dov'è nato e dalla cui realtà sordida era fuggito quarant'anni prima per l'Europa, stabilendosi infine a Barcellona. Lo ritroverà apparentemente al passo coi tempi, dagli smartphone, ai SUV e altre amenità moderne, ma fondamentalmente identico nel suo infinito squallore e in quello dei suoi grotteschi quanto verosimili personaggi, meschini, invidiosi, ridicoli, ottusi, spesso orrendi, che avevano ispirato tutta l'opera che aveva lo reso famoso come autore. L'accoglienza è già surreale, con un improbabile autista mandato a prendere Daniel all'aeroporto della capitale a bordo di una FIAT Duna (sopravvivono soltanto in Argentina) che, per accorciare di un'inezia il tragitto di sette ore fino a Salas, infila una "scorciatoia" nei campi sconfinati della Pampa bucando una ruota e lì trascorreranno una notte all'addiaccio, ed è solo la prima avventura di tutta una serie in crescendo implacabile di incontri, dal sindaco maneggione, all'amico d'infanzia che ne ha sposato la ex fidanzata e che in realtà lo odia, alla ex, per l'appunto, a una Lolita inquietante con cui finisce a letto (con sorpresa), a un arrogante personaggio con velleità artistiche che lo contesta finendo per perseguitarlo, e l'avventura, da farsesca che era, si evolve in dramma. Il finale è a sorpresa e non lo svelo, ma ci sta tutto, e il ritorno al passato di Daniel (un immenso Oscar Martínez, giustamente premiato a Venezia in settembre con la Coppa Volpi) ne segnerà ancora una volta il destino, in una sorta di ciclo dell'eterno ritorno. Detto di Martínez, anche tutti gli altri caratteristi sono encomiabili e tragicamente credibili, per non dire del luogo, così spiazzante ma assurdamente reale come riescono a essere tanti paesi e città della Pampa popolati per buona parte di emigrati italiani a quelle latitudini, un elogio ai due registi, innovativi autori televisivi che in Argentina hanno lanciato Canal Ciudad Abierta in cui hanno dato vita a serie sperimentali di gran successo e che nel cinema si erano già distinti per El Artista, del 2008, coprodotto da Istituto Luce e per L'uomo della porta accanto del 2009, premiato al Sundance Festival per il cinema indipendente. Un film memorabile per intelligenza ed essenzialità.