mercoledì 12 agosto 2015

Metropolis

"Metropolis" di Fritz Lang. Con Gustav Frölich, Brigitte Helm, Rudolf Klein-Rogge, Fritz Rasp, Theodor Loos, Erwin Biswanger, Heinrich George, Olaf Storm, Hans Leo Reich. Germania 1927 ★★★★★
Non mi stupisce che Fritz Lang, a mio parere un vero genio del cinema, a differenza del tanto celebrato Sergej Eizenstein, riferendosi al suo capolavoro abbia affermato: "Mentre lo facevo lo amavo, poi l'ho detestato". Io stesso, a quasi 90 anni di distanza, uscendo dalla sala del "Visionario" dove il sempre benemerito CEC proietta in questi giorni la versione restaurata del film nella sua versione più completa disponibile, quella integrata da 25' di "girato" recuperati nel 2008 a Buenos Aires, richiesto di un commento a caldo ho risposto di getto: "Grandioso, però è un film nazista". Lang era ben lontano dall'esserlo, e non solo perché ebreo per parte di madre (e quindi per definizione), ma la sua moglie dell'epoca, la scrittrice Thea von Harbou, sceneggiatrice del film, lo sarebbe diventata, iscrivendosi alla NSDAP di Hitler (che non a caso, assieme ai gerarchi, apprezzava la "morale" del film, soprattutto il finale "conciliatorio"). "E' il cuore che deve mediare tra la mente e le mani", questo il succo della lunga parabola, di impianto teatrale e abbondante di elementi didascalici, che vede al centro due "mediatori" tra il mondo alto e quello basso che convivono nella mostruosa Metropolis: sono Freder, figlio di Frederer, il padrone assoluto della città in superficie, futuribile, stupefacente, automatizzata, e Maria, che si occupa dei figli degli operai, che vivono confinati nel sottosuolo, schiavizzati e ridotti come automi a servire i macchinari che consentono alla città in alto di sopravvivere. Freder si invaghisce di Maria quando lei porta in superficie un gruppo di laceri bambini a vedere il giardini del "mondo di sopra" (come un tempo la domenica dalle periferie le famigliole dei lavoratori sciamavano in centro "a vedere i signori che mangiano il gelato") e, sceso negli inferi, scopre la condizione degli operai (inevitabilmente mi è tornato in mente "La situazione della classe operaia in Inghilterra" che Friedrich Engels scrisse nel 1845, uno dei libri che più mi ha formato e che ho amato): sarà lui il "mediatore", per definizione, tra "alto" e "basso", ma prima dello Happy End ci si mette in mezzo Rotwang, lo scienziato folle, che rapisce Maria e dona le sue sembianze a un robot che istiga gli operai alla rivolta  (un umanoide, dunque, in grado di manipolarli: e qui ci vuole del genio). Trama semplice, melodrammatica, da feuilleton, se vogliamo, ma l'aspetto più formidabile del film sta  nella visionarietà di Lang e nella resa del gigantesco conglomerato urbano così simile alle megalopoli in cui buona parte dell'umanità ormai vive. Si parla, a proposito di "Metropolis", di un film di fantascienza che descrive una realtà distopica, ma in realtà di distopico non c'è nulla, perché la società che Lang descrive è né più né meno quella che in cui si stava "evolvendo" quella europea in quegli anni e quella tedesca in particolare, così come quella sovietica che ne era lo specchio, sotto un regime totalitario come quello che sarebbe stato quello nazista dal 1933 in poi, e distopica doveva invece apparire New York, a cui a tutta evidenza Lang si è ispirato dopo un viaggio negli USA allo scopo di acquistare macchinari per realizzare la pellicola, agli occhi di un mitteleuropeo che aveva visto crollare il suo mondo nel giro di pochi anni (e qui mi viene in mente inevitabilmente Stefan Zweig, viennese come lui e quasi coetaneo). Insomma, la grandiosità di Lang sta nel fatto che aveva già capito tutto 90 anni fa. Nonostante sia un film muto (ma fornito di una colonna sonora stupefacente a attuale) e duri la bellezza di 149', la prima volta che ho sbirciato l'orologio per rendermi conto a che punto fosse, era già passata un'ora e mezzo. Obbligatorio, per chiunque dica di amare il cinema e non l'ha mai visto o no se lo ricordasse, vivamente consigliato a chi già lo conosce perché così come è curata quest'edizione è un'altra cosa. 

1 commento:

  1. Complimenti.
    Sei riuscito a dire qualcosa di nuovo e di "fresco", nel senso di nuovo, su un film fin troppo mitizzato e sul quale si è scritto tutto e il contrario di tutto.
    Verrebbe quasi voglia di rivederlo...

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