lunedì 27 luglio 2015

Fuochi d'artificio in pieno giorno

"Fuochi d'artificio in pieno giorno" (Black Coal, Thin Ice") di Ynan Diao. Con Liao Fan, Lun Mei Gwei, Xuebing Wang, Jingchun Wang, Yua Ai Le, Ni Jingyang. Cina 2104 ★★★★
Altro film, come quello segnalato nel post precedente, che incomprensibilmente trova spazio nella programmazione soltanto in una settimana di mezza estate, addirittura a un anno e mezzo di distanza dal doppio trionfo (miglior film e miglior attore) alla Berlinale del 2014, quando la distribuzione è al contrario estremamente sollecita a propinarci le più solenni cagate hollywoodiane in contemporanea o quasi con l'uscita sugli schermi USA o le più banali produzioni nostrane. Qui si tratta di un noir di prim'ordine, con tutti i canoni del genere al proprio posto, quasi "chandleriano", ma con una marcia in più: una fotografia eccezionale e un uso non comune dell'audio, e non inteso come colonna sonora musicale ma come sottofondo di suoni e voci. Particolari che aiutano a raccontare ancor di più e meglio, come conviene a ogni poliziesco che si rispetti, la realtà sociale e quindi implicitamente quella politica di un Paese, senza essere costretti a esporsi in maniera esplicita, aspetto tanto più prezioso nel caso di un film cinese, dove protagonista, nella sua realtà quotidiana, è la vita in un distretto minerario della Manciuria. Nel cui capoluogo prende il via la vicenda, con il misterioso ritrovamento dei pezzi di un cadavere dispersi su diversi vagoni di carbone: a guidare le indagini per dargli un volto un detective della polizia appena reduce da un traumatico divorzio, che presto rimane coinvolto in una assurda sparatoria in cui trovano la morte alcuni colleghi e due balordi. Lui rimane ferito, l'indagine perde vigore, il caso rimane tra gli insoluti e l'uomo cade in una pesante depressione che lo porta a dimettersi e farsi trasferire alla sorveglianza di una miniera. Lì, alcolizzato e in crisi, cinque anni dopo, avviene il ritrovamento di altri pezzi di cadavere con le medesime modalità, e il detective, in vena di riscatto personale, riprende le indagini, per conto suo, coadiuvando gli ex colleghi e amici con cui era rimasto in buoni rapporti, finendo sulle tracce di una donna indecifrabile, un'apparentemente semplice e innocua addetta di una lavanderia, i cui accompagnatori pro tempore hanno il vizio di sparire nel nulla. Non è il caso che sveli altri della trama, ché il finale è piuttosto sorprendente: mi limito a dire che, descrivendo un quadro di ordinaria infelicità di personaggi che finiscono per essere coinvolti in situazioni che non cercavano a causa di un destino imperscrutabile o del semplice caso, il film ricorda le cose migliori dei fratelli Coen; più in generale ribadisco che da almeno un decennio la cinematografia cinese è all'altezza, in tutti campi, di quella USA ed europea di livello più alto. Uno dei migliori film che abbia visto dall'inizio dell'anno, sicuramente quello che mi ha sorpreso di più.

venerdì 24 luglio 2015

'71

"'71" di Yann Demange. Con Jack O'Connell,  Sam Reid, Paul Anderson, Sean Harris, Richard Dormer, Denise Gogh, Charlie Murphy, Sam Hazeldine, Valene Kane, David Wilmot, Martrin McCann, Babou Ceesay. GB 2014 ★★★★½
Filmone, da non perdere se vi capita sotto tiro: per sua sfortuna, uscito pressoché inosservato in una stagione "morta". Meglio ancora se in lingua originale e sottotitolato. Siamo a Belfast nel periodo più nero dei troubles nordirlandesi e Gary Hook è una giovane recluta dell'esercito originaria del Derbyshire che come primo incarico viene spedita nel capoluogo dell'Ulster. Alla guida del reparto a cui viene assegnato, l'altrettanto inesperto tenente Armitage. Durante la prima missione, a supporto della polizia locale nella perquisizione di una casa nel quartiere cattolico più "caldo", rimane isolato, assieme a un compagno che verrà ucciso, dietro le "linee" della folla di cattolici che ha circondato i soldati, e in qualche modo riesce a fuggire tra i vicoli a due membri dell'ala provisional dell'IRA che gli danno la caccia per giustiziarlo. Viene "salvato" da un ragazzino protestante che lo porta in un pub del quartiere dove Hook intravede il suo capitano, in civile, che sta aiutando un gruppo unionista a confezionare una bomba ad alto potenziale, la quale finisce per esplodere per sbaglio e mandare all'aria il bar. Altra fuga, e finisce per essere inseguito sia da un gruppo di giovani provisional, sia da uno dell'IRA "regolare", sia dai suoi stessi commilitoni, tra cui però c'è qualcuno che intende eliminarlo per quel che ha visto: un superiore che gioca uno contro l'altro i due filoni concorrenti dell'IRA. L'argomento dei troubles nei suoi vari aspetti non è nuovo, anzi: è stato affrontato con grande coraggio, in tutti i suoi aspetti, dal cinema britannico e di questo gli va dato atto; nel caso di '71, che segna l'esordio nel lungometraggio del francese Yann Demange, fin qui specializzato in serie TV e premiato per questo film indipendente, si concentra sull'impatto che quella guerra civile ha avuto sui più giovani, in alcuni casi perfino adolescenti, e il loro coinvolgimento, cosciente oppure no. Lo fa raccontado, con tempi e modi di un film d'azione di primissimo ordine, una vicenda che se non è storica è altamente verosimile, perché alla guerra si gioca sporco, da entrambe (o più) parti, senza giudicare torti e ragioni ma mostrando fin dove si può arrivare e quanto sia lieve la linea di separazione tra una normalità per quanto anomala e il suo trascendere. Le riprese sono nervose, seguono i personaggi dando l'impressione di essere dentro la scena; le luci livide e le ambientazioni squallide rendono l'atmosfera cupa di quei luoghi in quegli anni; tutte le interpretazioni sono all'altezza e le facce scovate dal regista semplicemente perfette per rendere un campionario fedele alla realtà. Un'opera prima estremamente convincente e promettente.

martedì 21 luglio 2015

Il giovane favoloso

"Il giovane favoloso" di Mario Martone. Con Elio Germano, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Michele Riondino, Valerio Binasco, Iaia Forte, Paolo Graziosi, Sandro Lombardi, Raffaella Giordano, Edoardo Natoli, Giovanni Ludeno, Federica de Cola, Giorgia Salari, Isabella Ragonese. Italia 2014 ★★★+
E' stato provvidenziale lasciare questo film, presentato all'ultimo Festival del Cinema di Venezia e uscito nelle sale nell'ottobre scorso, da recuperare nel disperante deserto della programmazione estiva: vale senz'altro la pena vederlo, anche se non finisce di convincermi del tutto. Ricostruisce in maniera assai efficace la vita e le sofferenze di Giacomo Leopardi, a cominciare dall'ambiente famigliare e dal rapporto con il padre conte Monaldo e quello inesistente con una madre aberrante e orrendamente bacchettona, ma anche i suoi lati ironici e il suo profondo scetticismo; ha una fotografia eccellente e l'attenzione ai particolari è estrema; anche la declamazione, efficace quanto naturale, di alcune delle sue più famose poesie da parte dell'ottimo protagonista principale, Elio Germano, non appesantisce e anzi impreziosisce il racconto, che però rimane lento, con un ritmo più adatto a uno sceneggiato televisivo, magari in tre puntate, quante sono le parti in cui è suddivisa la pellicola: l'adolescenza e la gioventù a Recanati, il soggiorno fiorentino e quello, finale, napoletano, che si chiude con "La ginestra", la poesia che è il suo testamento spirituale e filosofico. Impianto teatrale (così come proviene dal palcoscenico buona parte dei componenti del cast) e dimensione televisiva, esattamente come era già successo con "Noi credevamo" di cinque anni fa, che attraverso la storia di alcuni ragazzi del Cilento raccontava alcuni episodi significativi del Risorgimento. L'intento formativo è in entrambi i casi evidente e lodevole, così come il rigore filologico dell'autore (che fa parlare i personaggi con la lingua viva dell'epoca), ma la domanda è se un film così strutturato possa coinvolgere anche i più giovani, a cui evidentemente si rivolge, oltre a rinverdire i ricordi di chi abbia fatto studi liceali e magari classici e se riesce a trasmettere il fatto che prima di essere il poeta della malinconia Leopardi fu innanzitutto uno dei rari illuministi italiani, da alcuni ritenuto perfino un protomarxista per il suo materialismo e un precursore dell'esistenzialismo. Il giudizio alla fine rimane positivo, per con le riserve di cui sopra. 

domenica 19 luglio 2015

Corsi e ricorsi


"Da Giuseppe Pinelli a Franco Serantini, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, sono tanti gli 'affidati alle cure dello Stato' che sono entrati con le loro gambe nelle questure, negli ospedali psichiatrici, nelle carceri e ne sono usciti rinchiusi in una bara" (da "Umanità Nova" del 23 novembre 2014)

sabato 18 luglio 2015

Noi e la Giulia

"Noi e la Giulia" di Edoardo Leo. Con Edoardo Leo, Luca Argentero, Claudio Amendola, Stefano Fresi, Anna Foglietta, Carlo Buccirosso. Itala 2015 ★★½
Non è la prima volta che Edoardo Leo, attore di buon talento e ottime intenzioni, passa dall'altra parte della cinepresa, ma è la prima in cui si cimenta nella commedia e anche in questa occasione, come nello spassoso Smetto quando voglio che l'aveva visto stralunato protagonista, il film tratta della sua generazione: in quel caso un gruppo di ricercatori universitari precarizzati a vita, qui quattro personaggi eterogenei che in comune hanno un fallimento, personale, politico, finanziario o sentimentale, e che uniscono le loro forze 8 e debolezze) per rilevare un casolare con terreno nel Napoletano con l'idea di trasformarlo in un agriturismo, quasi un luogo comune come tentativo di mettersi in proprio e prendere in mano la propria esistenza senza dipendere dal prossimo. I loro destini si incrociano per puro caso e più diversi di così non potrebbero essere: un coatto fascistoide, un ex sessantottino rimasto a 50 anni fa, un timido venditore di automobili, l'ex proprietario della gastronomia di famiglia che ha chiuso l'attività, più una svalvolata che si improvvisa cuoca, cameriera e domestica, ma li unisce in desiderio di riscattarsi e combinare qualcosa di buono da soli, ma è un'impresa impossibile in Italia, dove prima ancora di fare i conti con una burocrazia demenziale in alcune zone si debbono farli con la malavita, in questo caso con la camorra che, prima ancora che l'attività abbia inizio, manda un suo emissario a chiedere il "pizzo" a questo gruppo eterogeneo paracadutato dalla capitale in un universo che gli è totalmente ignoto, impersonato da Carlo Buccirosso, che è anche il personaggio più azzeccato del film e che giunge al casolare a bordo di una vecchia Giulia 1300 perfettamente tenuta che, in qualche modo, sarà il filo conduttore della storia, o almeno la sua autoradio che si mette a suonare l'unica cassetta di musica classica a suo capriccio. La pellicola è gradevole, alcuni spunti e trovate tutt'altro che banali (come la presa per i fondelli del tipo di pubblico "new age" che accorre a frotte quando si diffonde il passaparola che il terreno su cui sorge l'agriturismo "suoni") ma qualcosa nella chimica tra i vari interpreti non funziona, tanto che, per l'appunto, il personaggio più riuscito è quello estraneo al gruppo di  "falliti", interpretato da Carlo Buccirosso che, sugli altri, si erge di una buona spanna, seguito dal generoso Leo, un po' troppo caricaturale, mentre sugli altri è meglio stendere un velo di pietà, almeno nell'occasione. Ammetto che mi aspettavo qualcosa di più: personalmente ritengo che Leo abbia le qualità e l'intelligenza per diventare il Carlo Verdone degli anni Dieci, ma probabilmente come l'originale patisce di alti e bassi, anche all'interno dello stesso film. Che comunque è quello del suo esordio nel genere e, almeno nello squallore e nel vuoto del momento attuale, dovuto anche alla stagione, si fa vedere pur senza entusiasmare. 

martedì 14 luglio 2015

Cavalli di Troika


Dopo l'accettazione da parte greca dell'accordo-capestro di ieri (quello che in termini bellico-diplomatici si chiama "resa senza condizioni": tanto che, correttamente, dall'ex ministro Varoufakis è stato evocato il Trattato di Versailles del 1919) e l'attesa dell'esito dello psicodramma che si svolgerà al parlamento di Atene domani, a corollario di quanto scrivevo sabato scorso, ritengo che la firma di Alexis Tsipras abbia un senso politico soltanto se ne seguiranno, domani, le sue dimissioni irrevocabili e il passaggio del testimone a quel governo di unità nazionale telecomandato ritenuto inevitabile in casi simili da quel direttorio di istituzioni autocostituitosi e autolegittimatosi che regge l'UE. In Italia, da sempre laboratorio all'avanguardia di queste alchimie, ne abbiamo di fatto avuti tre dal novembre 2011 a ora, tutti presieduti da premier mai eletti, e non abbiamo fatto un plissé. Nulla più che un beu geste, s'intende, a futura memoria, che metta la parola fine a qualsiasi illusione di poter riformare l'Europa: questa è, ed è l'unica possibile e inevitabile, stanti le condizioni e i rapporti di forza attuali tra chi detiene il potere reale, chi lo amministra (le istituzioni di Bruxelles e Francoforte e, un gradino più sotto, i loro delegati a capo dei governi pseudonazionali) e chi lo subisce e al contempo è costretto a mantenerlo, arricchirlo all'infinito e perfino a legittimarlo, niente mi sembra al momento sensato fuorché una voce di testimonianza (come il "no" al referendum del 5 scorso), lo sberleffo, lo sputtanamento, la creazione e condivisione di spazi, anche mentali e personali, su un terreno alieno e possibilmente non raggiungibile dai sensori di questo osceno panoptikon. Intanto, per rinfrescare le idee, è sempre utile rivedersi questo.

sabato 11 luglio 2015

Il convitato di pietra e i conti senza l'oste. Americano


Fino a qualche anno fa, quando l'estate era ancora una vera estate, il giallo dell'estate era, per l'appunto, assieme al motivetto-tormentone, l'unico tema collettivo nell'atmosfera di svacco generalizzato indotto dalla calura; poi sono seguiti tre anni di clima autunnale perenne fino a questo 2015 in cui, dopo una primavera secondo i canoni, anche la stagione che la segue da calendario sembra essere tornata a una sua normalità, e con essa le vecchie consuetudini: questa volta si tratta della Grexit e di tutto ciò che chi vi è correlato. Chiunque si sente coinvolto: beninteso non nel dramma di centinaia di migliaia di pensionati e disoccupati ellenici ridotti alla fame e a necessitare di aiuti di emergenza, come pietosamente riconoscono e si accingono a organizzare perfino gli affossatori dell'economia del Paese, ma nella discussione sul referendum indetto per domenica scorsa da Alexis Tsipras, sul suo esito, sulle t-shirt e gli zainetti dell'ex ministro delle Finanze Varoufakis come sull'ammontare del debito e sull'avanzo primario, se sia auspicabile o meno l'uscita della Grecia dall'area-euro oppure no e, più in generale, se abbia senso un'unione dominata unicamente da un'ottica finanziario-bancaria di stampo liberista a oltranza o vi sia spazio per una visione alternativa e permeata dalla politica (quale, non si sa). Come diceva Flaiano, la situazione è grave ma non è seria, e chiunque si improvvisa esperto: perfino un idiota da competizione come il nostro presidente del Consiglio, che giusto una settimana fa sentenziava, a proposito del referendum greco, trattarsi di un derby tra euro e dracma (lo sottolineo soltanto con l'intento di ricordare ai gentili lettori chi sia alla guida del nostro Paese, titolare di un debito pubblico che, fatte le proporzioni, è significativamente superiore a quello dei nostri vicini sull'altro lato dello Ionio, 312 miliardi di euro su 11 milioni di abitanti loro, 2194 miliardi su 60 milioni di abitanti noi). Insomma, se ne sentono di tutti i colori, ognuno fa le proprie analisi, ipotesi, profezie, su basi più o meno fondate, ma nessuno, perlomeno tra quelli che hanno spazio sui media nostrani ma anche stranieri, che parta da una semplice considerazione sul ruolo sempre decisivo che, nelle vicende che riguardano l'Unione (cosiddetta) Europea, ha l'Amico Americano, soprattutto dopo la "caduta del Muro" nel 1989. Non che prima fosse irrilevante: dal 1945 la parte occidentale del Continente è sempre stata di fatto occupata militarmente dagli USA: direttamente, come Germania e Italia, oppure attraverso la NATO, con la sola eccezione parziale della Svizzera, dell'Austria, della Finlandia e della Francia gollista e poi mitterrendiana (fino al rientro all'ovile sotto la presidenza Sarkozy nel 2009), e con questo la mirabolante "costruzione europea" ha da sempre dovuto fare i conti; ma la presenza del "nemico ideologico" ai confini ha fatto sì che da parte del manovratore, chiamiamolo così, fosse consentita l'adozione di un modello capitalistico con varianti regionali di quella che è stata denominata "economia sociale di mercato", fatta passare come un marchio di fabbrica europeo e andata in frantumi, progressivamente, a partire appunto dal 1989, non casualmente in contemporanea con l'espansione della NATO verso Oriente, e sostituita dal neoliberismo globalizzato che è ormai diventato il modello unico da esportare su scala mondiale (se necessario con le armi e con i droni). Per il resto, gli USA sono sempre stati ostili alla formazione di un'entità europea politicamente (e militarmente) autonoma e pertanto potenzialmente concorrenziale, sul piano economico come su quello dei "valori", tant'è vero che hanno prima caldeggiato l'ingresso nella CE della loro Quinta Colonna per definizione, la Gran Bretagna, e poi man mano il suo allargamento a dismisura fino agli attuali 28 stati membri dell'attuale UE, sponsorizzado non a caso l'adesione perfino della Turchia (per quanto crassamente ignoranti in questioni storiche e geografiche, il divide et impera dei romani, così sapientemente utilizzato dai loro parenti inglesi, è stato applicato, nel caso europeo, alla perfezione). In sostanza: quel che interessa agli USA è avere un'Europa, che è pur sempre il mercato più ricco al mondo, politicamente insignificante, militarmente irrilevante (salvo per quanto riguarda il finanziamento delle spese della NATO e gli acquisti di armi USA), economicamente e culturalmente omogenea (a tutto questo provvederà in una volta sola la prossima entrata in vigore, ovviamente senza sentire il parere degli europei, del TTIP) in più con una moneta manovrabile dall'esterno (infatti quando serviva a rilanciare l'export e quindi l'economia USA abbiamo avuto un euro sopravvalutato, mentre ora che quest'emergenza è venuta meno e il petrolio è a buon mercato il dollaro è scambiato quasi alla pari con l'euro) a questo provvedono i propri uomini di paglia come ad esempio Mario Draghi, non a caso già vicepresidente e managing director della Goldman Sachs International prima di diventare presidente della BCE, ossia l'uomo che ha la parola decisiva per quanto riguarda la permanenza o meno della Grecia nell'area euro. Ora: è sufficiente prendere in mano una cartina geografica per capire che l'ipotesi di una Grecia, la quale è pur sempre un membro della NATO, che in caso di conflitto con Bruxelles guardi a Est, verso Mosca, a cui è culturalmente e storicamente legata dai tempi di Bisanzio, magari per interposta Serbia (ricordate i bombardamenti NATO del 1999?), non sia esattamente gradita a chi siede alla Casa Bianca: perdere una pedina nel "grande gioco" proprio quando ne ha piazzata una a ridosso della Russia in Ucraina sarebbe catastrofico. E allora ecco che si torna al tavolo della trattativa e una soluzione, anche dopo il massiccio OXI di domenica scorsa (o forse anche grazie a esso?) risulta a un tratto possibile. Difficile credere che non ci sia lo zampino di Washington, per quanto abbia operato sotto traccia, con insolita discrezione, eppure le prese di posizione del FMI, casualmente a guida franco-americana, a favore di una ristrutturazione del debito (leggi: taglio) significavano pure qualcosa e le direttive saranno pure venute da qualche parte, prima di essere partorite dal fervido ingegno di Christine Lagarde oppure no? Però ben pochi se ne sono accorti e meno ancora ne hanno scritto. In realtà, quando si conciona di costruzione europea, valori fondativi, democrazia nelle decisioni, modelli alternativi di sviluppo, solidarietà tra i popoli (?), giustizia sociale e quant'altro ho sempre l'impressione che si parli a vanvera: quando va bene, buone e belle intenzioni ma senza fare i conti con l'oste, ossia il convitato di pietra. Morale: è vero che non contiamo un cazzo, però non per questo dobbiamo smetterla di farci sentire e di ribadire che non ci stiamo a essere presi per il culo.

giovedì 9 luglio 2015

Crushed Lives - Il sesso dopo i figli

"Crushed Lives - Il sesso dopo i figli" di Alessandro Colizzi. Con Walter Leonardi, Nicoletta Romanoff, Bob Messini, Euridice Axen, Jacopo Cullin, Leonardo Sbragia, Paola Migneco, Melissa Anna Bartolini, Alberto Basaluzzo, Caterina Capodilista, Carmen Giardina, Chiara Martegiani, Cesare Apolito. Italia 2014 ★★★★
Ammetto che non mi aspettavo molto da questo film che, per essere stato prodotto l'anno scorso e uscito nelle sale solo da due settimane, ho pensato essere piuttosto sfigato: a incuriosirmi è stato il titolo, scoprire che fosse tratto da "Patatrac", un saggio satirico sull'argomento sesso prima, durante e dopo l'arrivo della prole scritto dal regista assieme alla moglie Silvia Cossu uscito tre anni fa e la presenza di alcuni attori, Walter Leonardi e Bob Messini in particolare, che ritengo una garanzia. Una volta davanti allo schermo, ho poi scoperto che era già stato presentato a più di un prestigioso festival internazionale, immagino riscuotendo un buon successo, perché ne è venuto fuori un lavoro credibile quanto godibile, mai banale e scontato anche raccontando un argomento che chiunque, direttamente o indirettamente, conosce ma di cui si evita di parlare, e quindi è facile per ognuno riconoscersi in uno o più dei componenti di cinque coppie fra i trenta e i quarant'anni la cui intimità, e le modalità di relazione, vengono sconvolte dall'arrivo del figlio (o più di uno), da cui per il resto della propria esistenza non potranno più prescindere. L'artificio su cui si basa la pellicola è un documentario che Saverio, di professione regista, su suggerimento della moglie realizza sull'argomento intervistando coppie di amici e conoscenti, e quel che ne viene fuori è un ritratto generazionale quanto mai realistico anche quando le situazioni che vengono a crearsi e i battibecchi, le recriminazioni, i tic sono virati al comico e al grottesco. Il ritmo del film è svelto, la mano del regista agile, le sorprese non mancano, pur essendo ambientato nella capitale ed essendo romano parte del cast e il regista stesso manco ce ne si accorge, le interpretazioni sono tutte all'altezza e alcune eccellenti, il tono non è mai quello della farsa anche se il divertimento è assicurato (erano mesi che non mi capitava di sghignazzare così tanto al cinema, e non ero l'unico), ma piuttosto tragicomico, come lo è del resto la vita reale, se la si guarda con un minimo di ironia e obiettività. Assolutamente consigliato.

martedì 7 luglio 2015

€ureka!


Secondo il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz (PSE, qui sopra) con Alexis Tsipras non si può trattare, figurarsi con un losco individuo arrogante, indisponente e incompetente come Varoufakis; però per la Grecia occorre attivare un piano di aiuti umanitari d'emergenza. Dello stesso parere il ministro dell'Economia tedesco Siegmar Friedrich (sempre SPD/PSE), vice della Cancelliera Angela Merkel, di cui conferma le opinioni. Ossia: tre fra i principali responsabili della situazione in cui versa il popolo greco, lo stesso che domenica ha votato no per il 61,50% contro le proposte avanzate dalle "istanze comunitarie" e dal FMI, riconoscono che le condizioni di quel Paese, membro della UE e dell'area euro sono tali da necessitare di un "aiuto umanitario d'emergenza". Magari dello stesso tipo che riservano alle centinaia di migliaia di fuggitivi intenzionati a stabilirsi sul Continente dopo aver delegato la rogna e i costi ai Paesi di "prima accoglienza". Una lieve contraddizione in termini: ma forse mi sbaglio... 

domenica 5 luglio 2015

OXI! Tradotto: vaffanculo!


E così i dilettanti allo sbaraglio e il 60% degli elettori greci hanno denudato il "Re". Qualsiasi mossa faccia la UE, dovrà gettare la maschera. Efkaristò: comincia lo spettacolo!

sabato 4 luglio 2015

Eisenstein in Messico

"Eisenstein in Messico" (Eisenstein in Guanajuato) di Peter Greenaway. Con Elmer Bäck, Luís Alberti, Maya Zapata, Rasmus Slätis, Jakob Öhman, Lisa Holden, Stelio Savante. Messico, Finlandia, Belgio, Francia, Paesi Bassi 2014 ★★½
Film colorato, visionario, scoppiettante, montato a tratti alla maniera sincopata dello stesso Eisenstein, racconta il periodo "messicano" del celebre regista sovietico dopo il fallimento dell'esperienza hollywoodiana a seguito di un contratto da centomila dollari con la Paramount per la realizzazione di "Una tragedia americana", poi terminato di girare da Von Sternberg. Nel Paese di Zapata e Pancho Villa nel 1931 si era ripromesso di celebrare la il ventennale della rivoluzione messicana del 1911, che sentiva molto affine a quella bolscevica di 14 anni prima, girando decine di chilometri di pellicola per un film dal titolo "Que viva Mexico!" che non riuscì mai a montare (lo scrittore statunitense Upton Sinclair, che l'aveva finanziato, ne fece proiettare una versione dal titolo "Lampi sul Messico" due anni dopo a New York, ma questa non venne mai riconosciuta da Eisenstein. Greenaway racconta in modo paradossale il periodo messicano del regista, mettendo in scena, parafrasando il suo "Ottobre", "I dieci giorni che sconvolsero Eisenstein", quelli trascorsi a Guanajuato in un delirio innescato da abbondanti dosi di mezcal, nel quale l'autore russo, tanto abile nel raccontare in maniera emotiva ed espressionista storie che coinvolgono le masse, si trova a scoprire un sé stesso che non conosceva, compresa la propria identità omosessuale, attraverso il contatto con una cultura come quella messicana in cui la morte fa parte integrante della vita ed eros quantomai interagisce con thanatos. La pellicola parte a ritmo indiavolato ed estremamente godibile, piena di trovate sorprendenti e citazioni mai leziose, e convincenti sono i due interpreti principali, i due pressoché sconosciuti Elmer Bäck nella parte di un esagitato Eisenstein che si lascia andare sempre di più (dove ricorda in maniera sorprendente l'Amadeus di Milos Forman) e il suo "pigmalione" e assistente personale durante il soggiorno a Guanajuato Palomino Cañedo, raffinato professore di Religioni Comparate, sposato e con due figli, che lo introduce alla cultura messicana e maya nonché all'arte della siesta e alle gioie di una sodomia condivisa, e dunque a una visione sia della realtà sia del proprio io sotto un'angolazione diversa. Tutto bene però c'è un però, perché dopo un'ora a furia di trovate e di gag sempre più ripetitive ma soprattutto a sequenze interminabili quanto masturbatorie ed estetizzanti lo spettatore comincia inevitabilmente a guardare l'orologio chiedendosi quanto manca, il che significa che per quanto uno sia ben disposto il meccanismo del racconto si è inesorabilmente inceppato, tantopiù che la durata del film supera di poco i 100'. E' il difetto di Greenaway: regista fantasioso ed efficace, capace di magie ma al contempo un onanista ossessivo, e inevitabilmente il troppo stroppia. Peccato, altrimenti sarebbe un genio.

mercoledì 1 luglio 2015

Passi lunghi e ben distesi...


Allo scopo di proscrastinare il rientro nella Terra dei Cachi dopo una trasferta austriaca di qualche giorno, ho preso la strada più lunga ma anche più spettacolare, specie con una giornata come quella di oggi di scarso traffico, cielo terso, calda. E così, dopo parecchi anni di assenza, ho ripercorso la celebre Großglockner Hochalpenstraße, che attraversa il Parco Nazionale degli Alti Tauri e collega, nella bella stagione, il Salisburghese con il Tirolo Orientale (e Meridionale, portando in Val Pusteria). Con Flegetonte che già stava colpendo duramente nei fondovalle invadendoli di afa, restare il più possibile in quota è stata la scelta vincente, per cui invece di deviare verso Dobbiaco e da lì Cortina, ho preso per la Carinzia e sono sceso in Friuli dal Passo di Monte Croce Carnico e dalla Carnia verso il Medio Friuli attraverso il Passo del Rest. Uno spettacolo praticamente a costo zero (mi sono risparmiato il pedaggio autostradale e qualche litro di carburante), il tutto senza beccare un solo acquazzone. E ora per festeggiare ci vuole una birra, va da sé imperial-regia: prosit!