mercoledì 13 maggio 2015

L'inquilina del secondo piano


Compie oggi in letizia 18 anni, la maggiore età a tutti gli effetti, la gatta Filli, divenuta immediatamente il nume tutelare e il punto fisso dell'ambiente domestico che condividiamo da quando ancora abitavo tra Porta Romana e Porta Vigentina, a Milano, precisamente da sabato 21 giugno 1997. Per la verità a quel tempo eravamo in tre, anzi in quattro: per qualche mese ancora  avrebbe ancora retto, per quanto traballante, la convivenza con la mia ex coniuge e il suo cane. Anzi: era stata proprio lei a volere un gatto in casa, non bastava il suo quadrupede: un incrocio tra un setter e un labrador, pur sapendo della mia allergia a entrambi gli animali che mi aveva già condotto al pronto soccorso in un paio di occasioni (o forse proprio per questo). Come dell'altra quattro zampe (anch'essa una femmina), di Filli mi sarei alla fine occupato quasi esclusivamente io, essendo la moglie di quelle in carriera, ma a differenza della prima, l'ultima arrivata (il nome deriva da "Finalmente", ossia la fusione di due vizi tipicamente milanesoidi: la storpiatura delle parole per troncamento e l'uso ad minchiam dei diminutivi: la i finale al posto della y fu il mio unico contributo al nome di battesimo ricevuto dal nuovo membro della famiglia) avrebbe sviluppato con me un legame particolare che, a distanza di tanti anni, definirei di imprinting reciproco, perché è difficile stabilire quanto lei abbia preso da me e viceversa. Al contempo, mentre la gatta si abituava alla mia presenza, la mia allergia, comunque molto meno violenta a contatto con mici dal mantello nero (chissà perché poi, dato che non dipende dal pelo), veniva pressoché neutralizzata da una progressiva mitridatizzazione da parte mia (vedi alla voce omeopatia felina). Siamo subito diventati inseparabili: una settimana dopo il suo arrivo in casa aveva già fatto il primo viaggio all'estero, io e lei da soli, in macchina e senza un lamento, a far visita a mia madre in Austria, nel Salisburghese; due mesi dopo, tra Ventimiglia e Mentone, al mare. Qualche mese più tardi, in fase di separazione dalla consorte, quest'ultima aveva provato, in verità non in termini ultimativi, di porre la questione dell'affidamento della gatta, ma ha desistito dopo un mio sguardo che esprimeva, più eloquentemente delle parole, che sarebbe stato più probabile che lei volasse giù dal balcone dell'ottavo piano che non Filli uscisse dalla porta di casa. E' l'essere animato con cui ho trascorso, in piena armonia, la maggior parte del mio tempo in assoluto: più che con mia madre, più che con i Rolling Stones, più che guardando giocare o dissertando sull'Inter, perfino più che con i miei ventennali colleghi di lavoro all'ufficio correttori del CorSera, il che è tutto dire. Durante le mie assenze, della durata in alcuni casi anche di alcuni mesi, non ha mai combinato disastri o fatto dispetti: il massimo delle sue rimostranze si è sempre espresso in una decina di minuti durante i quali, al ritorno, fa finta di ignorare la mia presenza: non ha mai serbato rancore più a lungo. Da parte mia non l'ho mai tormentata con smancerie e toccacciamenti indesiderati: i gesti di affettuosità reciproca ancora adesso vengono da sé, senza forzature, spontaneamente; dorme sul letto ma non si è mai infilata sotto le coperte: da sempre resta accoccolata dalle parti basse delle gambe, sul lato sinistro. Come ogni gatto di buone maniere, mi sveglia all'alba con un buffetto sulla guancia o sulla testa, mai sugli occhi e comunque con estrema attenzione, e mai mostrandomi il deretano. Una relazione collaudata e solida, a prova di qualsiasi malinteso e incomprensione, schietta, rispettosa ma anche solidale e cameratesca, sincera, a smentire che non possa esserci amicizia e affetto, senza secondi fini, tra maschi e femmine. Filli ha visto la luce nella ridente e operosa Brianza in una pensione di fiducia di Beneggi, lo "Zoo" di Via Cesare Battisti, in fianco alla chiesa di San Pietro in Gessate, che rifornisce la Milano-bene che abita nella zona attorno al Palazzo di Giustizia e al Conservatorio, nella cui vetrina l'aveva adocchiata una mia carissima ex collega e amica, che l'aveva individuata tra i fratelli perché possedeva l'aria più furba, era la più intraprendente e si distingueva per il particolare della coda spezzata. "Io non potrei tenerla - il motivo era il suo compagno di allora -, ma se la prendi tu ti prometto che quando sei in vacanza o in viaggio vengo a curarla io: vai a vederla, ti piacerà senz'altro. La riconosci subito", mi disse la sera stessa al giornale, e così ogni giorno per una settimana, finché finalmente mi decisi di andare a vederla mentre uscivo dal portone dell'edificio di fronte, dove aveva ed ha tuttora lo studio legale il mio amico più stretto e di più lunga data, tra quelli conosciuti sui banchi di scuola: fu subito amore (con la gatta, non con Tonino). Sicuramente è anche grazie a Filli che ho superato il tormentato periodo della separazione a altre vicissitudini, tra cui la morte di mia madre, di quello che è stato l'anno nero della mia vita, il 1998: solo chi ha vissuto con un gatto, in particolare se nero, può capire quanto questi animali siano dei toccasana, degli autentici magneti capaci di assorbire e neutralizzare pulsioni ed energie negative. Tre anni dopo, mi avrebbe seguito in una nuova fase della mia esistenza, quella friulana: Back to the roots, come direbbe John Mayall. Gatta d'appartamento, si è subito sentita a suo agio in una dimensione completamente diversa, a tratti rurale: un ampio terrazzo al piano terra (e non un balcone a venticinque metri d'altezza, sui cui bordi faceva la spericolata equilibrista mentre io stavo male e avevo le crisi di vertigine al posto suo ogni volta che la vedevo in azione) e un grande giardino a disposizione; spazio diviso su più piani; una miriade di anfratti tipici di una casa di vecchia costruzione, insomma tutto un mondo da esplorare. Questa nuova dimensione ha poi permesso che sviluppasse ed esprimesse appieno un talento innato per la caccia che aveva mostrato fin da tempi milanesi, quando aveva freddato senza spargimento di sangue e con una precisione chirurgica, sul balcone, tutta una serie di uccellini, passeri in particolare ma perfino un merlo e un piccione, di quelli meneghini che talvolta hanno le dimensioni di una faraona. Qui, un paradiso. Nell'estate del 2004 la famiglia si è allargata. Un bel giorno di metà luglio, mentre si trovavano qui a villeggiare le due gatte padovane di mia cugina Caterina, nel suo ostinato tentativo di farle ingravidare da nerboruti e rusteghi gatti furlani, ha fatto la sua apparizione in terrazza il gatto Leo, maschio (detto Leonzio, il Gatto Stronzio, e anche Cencialtri, per la sua espressione sornionamente stolida), un batuffolo tigrato e urlante di forse tre settimane alla ricerca di cibo: le tre gatte, come per tacito accordo, senza fare una piega gli hanno lasciato via libera verso la cucina, quasi indicandogli dove avrebbe trovato di che nutrirsi. "Questo rimane" dissi subito, consapevole del destino nonché di una verità incontrovertibile: non sei tu a scegliere il gatto ma è il gatto a scegliere te. E così fu. Filli ha accettato Leo, ma non l'ha mai amato o nutrito per lui uno spirito materno. O meglio, non gli ha dato confidenza e lo ha immediatamente messo in guardia dal non tentare strane avance nei momenti di picco ormonale, senza nemmeno bisogno di passare alle vie di fatto: un paio di ringhi e l'esposizione della dentatura con tanto di soffi a mo' di sifone di cetaceo sono stati più che sufficienti per insegnargli a stare alla larga e non violare il suo lebensraum. La raffinata cittadina e il brombolo campagnolo: mi hanno sempre ricordato la versione felina di Ino, il topo cittadino, e Gigio, quello di campagna, della mia infanzia. Hanno convissuto tenendo le dovute distanze fino a un paio d'anni fa, quando Filli, che da sempre aveva avuto il privilegio dell'accesso Full Area a tutta la casa, in particolare al secondo piano dove si trova la zona-notte e, soprattutto, il sancta sanctorum del nostro talamo (lo stesso di Milano), vi si è progressivamente ritirata, mentre a Leo è rimasto interdetto l'accesso alle scale ma concessa, in compenso, una libera uscita illimitata, che ha sfruttato spargendo discendenza in tutto il vicinato, dove i gatti sono pressoché tutti tigrati e con la stessa espressione stordita del loro inequivocabile genitore (ora a forzato riposo per motivi igienico-sanitari). Nel frattempo Filli è diventata sempre più sorda, e di conseguenza anche più alta e talvolta sguaiata la sua voce: non si sente, mi spiegava il veterinario di fiducia, come anche il fatto che sia normale che i gatti, invecchiando, riducano man il loro campo d'azione delimitando una propria zona di sicurezza che diventa la loro area esclusiva. Ormai solo raramente e con estrema circospezione, quando è sicura che nessuno la veda (o almeno lo crede), si avventura giù per le scale, a controllate la situazione, e non appena scorge Leo, da una finestrella, batte rapidamente in ritirata, ma nel secondo piano incede ancora come una regina: tutto è sotto il suo attento controllo e invariabilmente qualunque cosa si muova è di sua competenza e, se animata, inesorabilmente fatta secca. E' successo a svariati topini da solaio, regolarmente e amorevolmente depositati sul letto, meglio ancora se sul cuscino, bene in mezzo e disposti in verticale (attenzione per cui viene ogniqualvolta lodata e premiata dal sottoscritto), a uno scoiattolo di quelli grigi, da importazione, a un paio di pipistrelli e a qualche decina di scorpioni e altri esseri semoventi o volanti. Gode di ottima salute e buon appetito: manco a dirlo ha gusti e fisime da "fighetta", per esempio disdegna il pesce, in qualsiasi forma, ma in compenso va pazza per il parmigiano reggiano (quello vero: il semplice "padano" lo lascia lì, arricciando schifata le delicate nari e distogliendo sdegnosamente lo sguardo) e così, dopo che l'anno scorso aveva a malapena assaggiato, con aria condiscendente e giusto per farmi piacere del succulento filetto di manzo crudo che le avevo servito come regalo, per il raggiungimento della maggiore età le ho fatto le cose in grande: un piattino con uno spesso velo di parmigiano invecchiato 24 mesi, su cui troneggia una grattugia appena utilizzata da pulire e "rifinire" con la lingua. Auguri, Filli, e centinaia, magari migliaia di questi giorni ancora!

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