venerdì 15 maggio 2015

Forza maggiore

"Forza maggiore" (Turist o Force majeure) di Ruben Östlund. Con Johannes Kuhnke, Lisa Loven Kongsli, Clara e Vincent Westergren, Kristofer Hivju, Fanni Metelius, Karin Myrenberg, Brady Corbet. Francia, Danimarca, Germania 2014 ???
Non è una novità per me rimanere sconcertato davanti al cinema scandinavo, così come capita con la letteratura, la musica, il modo di pensare e interagire di quei paraggi: una reazione per lo più attonita, che raramente, come nel caso di Kaurisimäki, assume una connotazione positiva. Valgono qui le considerazioni già fatte per "Un piccione...". Saranno anche "diversi", i nostri amici del profondo Nord, ma sono pur sempre europei e dovrebbero risultare meno estranei di un americano della Bible Belt, di un australiano del Queensland (la vetta del cretinismo sul pianeta), di un giapponese o di un indonesiano. E invece no. Invariabilmente mi si presenta l'enigma: "ci fanno o ci sono?" assieme alla domanda se registi, sceneggiatori e interpreti a quelle latitudini abbiano qualche serio problema mentale, ingigantito dall'assunzione di dosi massicce di sostanze alcoliche o chimiche di altro genere. Qui siamo davanti a un film pluripremiato, osannato dalla critica festivaliera e militonta come geniale, originale, divertente, con una sua "poetica dell'assurdo" e che accosta il regista della pellicola, lo svedese Östlund, a un altro autore incensato e, diciamo così, "problematico" come Haneke. L'idea di partenza non è neanche male: quali differenti ricostruzioni di uno stesso fatto, nel caso un evento traumatico, inneschi una reazione diversa davanti ad esso, e le conseguenze di ciò sull'immagine che ci si è costruiti dell'altro (e sul rapportio di coppia). Nella fattispecie, accade che al secondo giorno di una settimana bianca in un inquietante e ipermoderno residence sulle Alpi francesi da parte di una famigliola svedese, Tomas, Ebba e i due figli Vera e Harry, mentre i quattro sono a tavola su una terrazza panoramica fronte-montagna, vengano quasi investiti da una valanga che, per quanto programmata, sfugge al controllo e si infrange a poca distanza. Non succede di fatto nulla, spavento a parte, e tutti tornano al loro pranzo una volta che la nube bianca (suggestiva la fotografia della pellicola) che tutto avvolge si dissolve, ma un tarlo si insinua in Ebba: Tomas, invece di mettere al sicuro i figli, come prima reazione ha preso guanti e cellulare e si è allontanato. Nella ricostruzione della donna si insinua, cresce e radica il tarlo, che diventa sicurezza, che sia fuggito. Si innesca così uno psicodramma sempre più demenziale, che coinvolge un'altra coppia, sempre scandinava, oltre che una madre, svedese pure lei, in vacanza solitaria a caccia di stalloni, e che si sviluppa per due ore che sembrano infinite tra bottiglie di vino, sedute di autocoscienza, sensi di colpa che si scatenano, sguardi ottusi e masturbazioni mentali a manetta fino a quando la pellicola non raggiunge il climax, dopo un interminabile pianto autocommiserativo, con l'enunciazione, da parte Tomas, della massima che riassume il senso profondo di tutta questa menata: "Sono vittima dei miei istinti" (e mi odio e chiedo perdono per questa parte di me). Segue un doppio, inverosimile quanto ridicolo, happy end. Ora: Östlunbd sostiene di aver tratto ispirazione per il film dopo aver letto i risultati di una ricerca condotta da chissà quale prestigiosa università secondo cui le coppie sopravvissute a eventi traumatici (incidenti, catastrofi naturali e quant'altro) tendono a rompersi con una frequenza superiore alla media: sticazzi, verrebbe da dire. Ci voleva un'indagine scientifica? Su questa scoperta, nonché sulle differenze nei processi mentali tra donne e uomini, altra cosa inaudita, ha immaginato il film, ossia la grottesca seduta di training autospicoanalitico collettivo di tutto il cast, accuratamente selezionato per interpretare i vari personaggi e in verità perfettamente calati nella parte e adeguati al ruolo (Edda sembra un'Alessandra Moretti, la musa del PD, dall'espressione ugualmente stordita e indisponente, il marito un perfetto idiota dallo sguardo straordinariamente vacuo, per non parlare dell'altra coppia che sembra fuggita da un ricovero per dementi), in cui l'unico adulto normale sembra un inserviente del residence dai tratti lombrosiani, a parte i due bambini, che spiccano per maturità nei confronti dei genitori, probabilmente perché una società rimbecillita da uno Stato che tutto controlla, garantisce, appiattisce e rende in definitiva idioti, in cambio di un tranquillo benessere senza scosse, luogocomunista, politicamente corretto e senza scosse, non li ha ancora annichiliti. Il tutto con un tocco di umorismo di marca tipicamente scandinava. Vedete voi se vale la pena: io dico che si può evitare.

2 commenti:

  1. ummmm...par di capire che non ti sia piaciuto molto, eppure...a me la tua recensione fa venir voglia di vederlo 'sto film...

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  2. Dovendo scegliere lo preferisco a Triangle of Sadness. Recensione spassosa e condivisibile in parte ma si sa che gli scandinavi sono un po' sciroccati.

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