sabato 25 aprile 2015

Ora e sempre... Renitenza


E' da quando ho l'età della ragione, almeno mezzo secolo, che il 25 aprile, giorno a me particolarmente caro perché ricorre, non del tutto a caso considerate le tradizioni di famiglia, anche il mio onomastico, che ascolto, in occasione delle varie celebrazioni dell'anniversario della Liberazione, profluvi di retorica sempre più fastidiosa, manipolatoria e insincera, raramente compensata da una riflessione storica onesta e puntuale. Tanto più insopportabile quando i solenni "pipponi" vengono propinati da personaggi che a tempo debito dalla Resistenza si tennero a distanza di sicurezza: due nomi per tutti: l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il suo mentore e laudatore magno Eugenio Scalfari, due imboscati nonché ex fascisti comprovati. Ma tant'è: basta ignorarli. Quello che non riesco però più a digerire è la falsità di due luoghi comuni così abusati da essere diventati degli assiomi: il preteso antifascismo di una sola parte e il concetto di Repubblica nata dai valori della Resistenza, traditi solo venti giorni dopo la vittoria (pur molto sospetta) del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e dieci dopo la sua proclamazione attraverso l'amnistia varata dall'allora guardasigilli Palmiro Togliatti, segretario del partito che della Resistenza avrebbe requisito i simboli, più che i valori, con la pretesa di farne un proprio esclusivo marchio di fabbrica nei decenni a venire (lo stesso figuro, peraltro, che rientrato nell'Italia occupata dagli anglo-americani nel 1944, dopo oltre due decenni trascorsi col culo al caldo alla corte di Stalin, per conto del quale aveva affossato la resistenza spagnola, aveva imposto al suo stesso partito la "Svolta di Salerno", assai maldigerita dagli stessi militanti comunisti impegnati nella lotta di Liberazione). E siccome è vero che a forza di ripetere la stessa menzogna questa finisce per assomigliare alla verità, io stesso mi ero ritrovato, negli anni Settanta, a ripetere come un mantra in piazza, ogni 25 aprile, che "la resistenza è rossa, non è democristiana". Una fandonia: basta ricordare Giorgio Bocca, Beppe Fenoglio, Leo Valiani, Enrico Mattei, il capitano Francesco De Gregori detto "Bolla" (ucciso a Malga Porzûs: evento che gli ex comunisti ricordano malvolentieri), tutta gente che "rossa", per l'appunto, non era. Non sto con questo negando né il ruolo dell'allora PCI, né i valori della Resistenza, né il fatto che, almeno nella parte dell'Italia in cui vi fu, quella centro-settentrionale, sia stata una guerra di popolo, anche però con aspetti di guerra civile, e trovo giusto che venga reso onore a chi vi partecipò e omaggio a coloro che vi persero la vita; ciò che trovo indecente è straparlare di lotta al fascismo oggi senza essere capaci di vedere quanto ce n'è in giro ovunque si volga lo sguardo, a cominciare da noi stessi: esercizio che si sta accuratamente attenti di evitare. E' il consueto vizio di non guardare la luna, ma il dito che la indica, e dunque è facile riempirsi la bocca di parole roboanti e prendersela coi simboli, come la presidente della Camera Laura Boldrini qualche giorno fa con la scritta "Mussolini Dux" che campeggia sull'obelisco del Foro Italico, e non fare un plissé davanti al fascismo sostanziale che sta dentro alla cosiddetta "riforma" della legge elettorale (per non parlare dello stravolgimento in generale della Costituzione) facendo di tutto per consentire l'approvazione di quell'Italicum renziano rispetto al quale la Legge Acerbo del 1924, che consentì la definitiva presa del potere da parte di Mussolini per via parlamentare, era un esempio di equilibrio. Ma, quel che è peggio, l'Italia, a differenza della Germania, non ha mai fatto i conti col fascismo e con la conseguente partecipazione alla guerra, né è stata (vedi amnistia di cui parlavo sopra) efficacemente defascistizzata (ricordo, per fare un solo esempio di cui ho memoria, il disgusto di Sandro Pertini al solo sentir nominare Marcello Guida, questore di Milano, città Medaglia d'Oro della Resistenza, in quell'autunno 1969 in cui scoppiò la bomba - fascista - di Piazza Fontana, e che era il direttore della colonia penale di Ventotene quando vi fu ospitato, tra gli altri, il futuro Presidente della Repubblica. Era lo stesso alto funzionario di Stato che addossò la responsabilità della bomba a Valpreda e agli anarchici, e Giuseppe Pinelli morì "suicidato" a pochi passi dal suo ufficio). Immagino che non sia gradevole, per molti italiani, guardarsi allo specchio e ricordare che non solo il fascismo è stato inventato da noi, ma che i suoi geni erano presenti fin dagli albori dello Stato unitario. Perché il liberale Cavour uscì di scena già nel 1861, e protagonisti della vita politica, fino all'avvento di Giolitti più di trent'anni dopo che, assieme ai socialisti turatiani, il fascismo se lo covò in seno senza riconoscerlo, furono due esponenti della "Sinistra Storica", Depretis (quello del "trasformismo", antico vizio nostrano) e soprattutto Crispi, un protofascista, classico esempio di incendiario in gioventù e pompiere, e reazionario assai, da vecchio, un "uomo solo al comando" ante litteram rispetto ad altri che ciclicamente, e per periodi mediamente di un ventennio, ossia una generazione, si sarebbero avvicendati alla guida di questo Paese. Invariabilmente, fino a oggi. Beninteso: democrazia non è sinonimo di parlamentarismo, ma ha che vedere con la possibilità per i cittadini di poter incidere direttamente e concretamente nelle scelte che lo riguardano, smentita, per esempio, con la vanificazione dei referendum sui Beni Comuni di quattro anni fa, e di non essere vessati da un sistema normativo volutamente macchinoso, insondabile, demenziale e incorreggibile, fatto apposta per preservare chi detiene il potere e annichilire chi ne è privo; d'altro canto il fascismo non si esprime soltanto attraverso una dittatura conclamata, e sono sempre più convinto che 70 anni fa ci siamo liberati della sua forma, ma non della sua sostanza e che, da quel 25 aprile e nonostante esso, l'italiano non è ancora diventato cittadino a tutti gli effetti del suo stesso Stato, che però è chiamato a tenere in piedi per venirne ingabbiato. Mandarlo per aria e farne a meno: questa sì sarebbe una Liberazione!

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