giovedì 26 marzo 2015

Vergine giurata

"Vergine giurata" di Laura Bispuri. Con Alba Rohrwahcer, Flonja Kodheli, Lars Eidinger, Luan Jaha, Bruno Shlllaku, Illire Celaj, Drenica Selimaj, Emily Ferratello. Italia, Albania, Svizzera, Germania, Kosovo 2015 ★★★★
Lungometraggio d'esordio della brava regista romana Laura Bispuri e unico film italiano in concorso all'ultima "Berlinale", dove ha ricevuto un'ottima accoglienza di pubblico e critica ma nessun premio, è un film scabro, essenziale, che si affida quasi per intero all'intensa ed efficacissima interpretazione di Alba Rohrwacher, che viene seguita passo per passo "telecamera in spalla", in perfetta simbiosi con un'ambientazione naturale prima (le montagne della zona di confine tra Kosovo e Albania) e urbana poi (i nuovi squallidi quartieri di residenza popolare della Bolzano "italiana", una piscina in cui si pratica nuoto sincronizzato) che ha come comune denominatore l'acqua. Riferimento nemmeno tanto subliminale al liquido amniotico e che fa da sfondo all'evoluzione di Hana/Mark dallo stato larvale a quello di donna. O meglio, si tratta di un ritorno allo stato di natura, perché Hana nasce donna, nelle montagne pressoché inaccessibili del Nord dell'Albania, e quando rimane orfana viene a accolta nella casa degli zii, dove cresce con l'unica figlia, Lila, sua coetanea. In quella realtà, la donna è completamente sottoposta all'uomo che, secondo le regole del kanun tuttora vigente e applicato, ha su di essa diritto di vita e di morte. Quando Lila si ribellerà a un matrimonio combinato fuggendo in Italia col suo amore, Hana, che nutre un sentimento di forte gratitudine per lo zio che tanto avrebbe desiderato un figlio maschio, giura di rimanere eternamente vergine (da qui il titolo, uguale a quello del romanzo omonimo di Elvira Dones da cui è tratto il film) assumendo così, secondo la tradizione, un'identità maschile e diventando Mark. Trascorre così una decina d'anni finché entrambi i genitori adottivi muoiono per poi raggiungere Lila in Italia, e il nodo centrale del film è proprio il recupero, man mano, della propria  parte femminile, rimasta imbozzolata, come il corpo, per tanto tempo ma sempre latente, attraverso il rapporto recuperato con la cugina, con il marito di lei e soprattutto con la loro figlia adolescente. Rapporto, quest'ultimo, particolarmente significativo e che non nasce sotto i migliori auspici, perché la ragazzina mal sopporta la presenza dell'intrusa che distoglie da lei l'attenzione dei genitori, ma che, essendo lei stessa in una fase delicata di trasformazione, intuisce meglio di chiunque altro cosa sta provando Hana/Mark nel suo travaglio. Film simbolico che parla di identità, in questo caso nemmeno tanto di un recupero ma proprio della sua formazione, senza che siano necessarie molte parole (poche, significative, schioccanti come frustate, prevalentemente in albanese-kosovaro): parlano da sole le immagini concentrate, come accennato, sulla Rohrwadcher, che si conferma tra le migliori attrici italiane, particolarmente adatta a ruoli sofferti, ambigui, in cui la recitazione col corpo e con l'espressione sono fondamentali. Una prova di alto livello, la sua, convincente quella degli altri interpreti, e valida la regia. Un film convincente e che merita di essere visto.

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