lunedì 30 marzo 2015

Attenti al gufo! (ammesso che ci sia qualcosa da gufare...)


Fuori tempo massimo e fuori luogo. Non si capisce cosa sia, a chi si rivolga e a quale scopo la Coalizione sociale lanciata con grandi fanfare sabato scorso in Piazza del Popolo a Roma da Maurizio Landini, ossia uno dei massimi esponenti di un sindacato che non si è dimostrato in grado di tutelare nemmeno i propri iscritti, figurarsi la pletora di lavoratori contrattualizzati atipicamente, truffaldinamente o per niente e dunque precariato tout court, ossia la stragrande maggioranza della popolazione più o meno attiva. Non bastava questa semplice considerazione a spiegare l'inutilità dell'ultima trovata della asinistra nostrana (era sufficiente osservare il parterre des rois dei partecipanti all'evento, che comprendeva Stefano Fassina, Rosi Bindi, Pippo Civati, Barbara Pollastrini, Nichi Vendola, Paolo Ferrero, Antonio Ingroia e perfino Susanna Camuso, una rimpatriata di zombie a garanzia di fallimento assicurato), ci voleva anche il bacio della morte per soffocare sul nascere ogni velleità: l'adesione di Sergio Cofferati. Che spiega con parole sue le ragioni dell'idiozia del nuovo progetto, o soggetto politico che dir si voglia: "Un Mutuo soccorso dell’associazionismo più bello e sano del Paese per recuperare un’azione politica fondamentale. È un’idea ottocentesca, l’unica possibile ora, ma bisogna dare delle risposte precise alla piazza di sabato a Roma”. Cioè, nel XXI secolo inoltrato, costoro vedono la realtà con gli occhi di due secoli fa e per provare a cambiarla usano gli strumenti, fallimentari, della stessa epoca. E lo dicono pure. Sinistra un tempo non era sinonimo di progressoNon si tratta nemmeno più di accanimento terapeutico sul cadavere: è un caso da TSO. E poi ci si chiede perché questo Paese non abbia un futuro. Auguri!

domenica 29 marzo 2015

Le sorelle Macaluso

"Le sorelle Macaluso" di Emma Dante. Con Serena Barone, Elena Borgogna, Sandro Maria Compagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier. Regia di Emma Dante; Luci di Cristian Zucaro; armature di Gaetano Lo Monaco Celano. Coproduzione Teatro Stabile di Napoli/Théâtre National di Bruxelles/Festival d'Avignon/Folkteatern di Göteborg. Al Teatro Palamostre di Udine per Teatro Contatto.
Accoglienza trionfale con pienone e dieci minuti di applausi scroscianti per le Sorelle Macaluso con cui Emma Dante ha vinto il Premio Ubu per il migliore spettacolo e la migliore regìa del 2014, un avvenimento imperdibile se amate un teatro intenso, completo, senza fronzoli, che si fa capire nonostante l'ostilità della lingua siciliana, dove una scena vuota, corredata soltanto da un crocefisso a simboleggiare un funerale e da cinque scudi con spade di compensato a evocare le tenzoni del teatro dei pupi, e utilizzati in due azioni che occupano soltanto un paio di minuti sui 70 dell'atto unico, viene riempita dalla fisicità, dal colore, dalla carnalità di una compagnia straordinaria composta da otto donne, e due uomini. Sono sei le sorelle che si riuniscono in occasione delle esequie della maggiore di esse, a cui è toccato accudire le minori dopo la morte prematura della madre e rinunciando al proprio sogno di fare la ballerina, e dopo la cerimonia si scatena il balletto dei ricordi, delle accuse reciproche, delle cose non dette, e i morti sono evocati così intensamente da essere riportati in vita a dire la loro, ripercorrendo le vicende famigliari e ricomponendo i dissidi tra i vivi, a cominciare dalla madre, da una sorella minore deceduta bambina a causa di un gioco di spiaggia, al Macaluso padre, il "merdaiolo", morto per strada sommerso dagli escrementi dopo aver sturato il cesso di un locale per pochi soldi, al giovane emulo di Maradona, figlio di una delle sorelle, promessa del calcio siciliano, scomparso anch'esso per un arresto cardiaco ed eccesso di passione. Vivi che muoiono e morti che vivono a occupare il palcoscenico ben oltre il suo spazio, dando l'impressione di trasbordare in sala entrando in contatto col pubblico con la loro vitalità, le loro voci e li loro movimenti, che avvengono sotto con una coreografia perfetta quanto intensa, sanguigna, colorata anche quando quando è in ombra oppure in bianco e nero, e tutto sembra tranne che "a orologeria". Un'ora e poco più di emozione pura, uno spettacolo con i controfiocchi, anzi: un fuoco d'artificio.

giovedì 26 marzo 2015

Vergine giurata

"Vergine giurata" di Laura Bispuri. Con Alba Rohrwahcer, Flonja Kodheli, Lars Eidinger, Luan Jaha, Bruno Shlllaku, Illire Celaj, Drenica Selimaj, Emily Ferratello. Italia, Albania, Svizzera, Germania, Kosovo 2015 ★★★★
Lungometraggio d'esordio della brava regista romana Laura Bispuri e unico film italiano in concorso all'ultima "Berlinale", dove ha ricevuto un'ottima accoglienza di pubblico e critica ma nessun premio, è un film scabro, essenziale, che si affida quasi per intero all'intensa ed efficacissima interpretazione di Alba Rohrwacher, che viene seguita passo per passo "telecamera in spalla", in perfetta simbiosi con un'ambientazione naturale prima (le montagne della zona di confine tra Kosovo e Albania) e urbana poi (i nuovi squallidi quartieri di residenza popolare della Bolzano "italiana", una piscina in cui si pratica nuoto sincronizzato) che ha come comune denominatore l'acqua. Riferimento nemmeno tanto subliminale al liquido amniotico e che fa da sfondo all'evoluzione di Hana/Mark dallo stato larvale a quello di donna. O meglio, si tratta di un ritorno allo stato di natura, perché Hana nasce donna, nelle montagne pressoché inaccessibili del Nord dell'Albania, e quando rimane orfana viene a accolta nella casa degli zii, dove cresce con l'unica figlia, Lila, sua coetanea. In quella realtà, la donna è completamente sottoposta all'uomo che, secondo le regole del kanun tuttora vigente e applicato, ha su di essa diritto di vita e di morte. Quando Lila si ribellerà a un matrimonio combinato fuggendo in Italia col suo amore, Hana, che nutre un sentimento di forte gratitudine per lo zio che tanto avrebbe desiderato un figlio maschio, giura di rimanere eternamente vergine (da qui il titolo, uguale a quello del romanzo omonimo di Elvira Dones da cui è tratto il film) assumendo così, secondo la tradizione, un'identità maschile e diventando Mark. Trascorre così una decina d'anni finché entrambi i genitori adottivi muoiono per poi raggiungere Lila in Italia, e il nodo centrale del film è proprio il recupero, man mano, della propria  parte femminile, rimasta imbozzolata, come il corpo, per tanto tempo ma sempre latente, attraverso il rapporto recuperato con la cugina, con il marito di lei e soprattutto con la loro figlia adolescente. Rapporto, quest'ultimo, particolarmente significativo e che non nasce sotto i migliori auspici, perché la ragazzina mal sopporta la presenza dell'intrusa che distoglie da lei l'attenzione dei genitori, ma che, essendo lei stessa in una fase delicata di trasformazione, intuisce meglio di chiunque altro cosa sta provando Hana/Mark nel suo travaglio. Film simbolico che parla di identità, in questo caso nemmeno tanto di un recupero ma proprio della sua formazione, senza che siano necessarie molte parole (poche, significative, schioccanti come frustate, prevalentemente in albanese-kosovaro): parlano da sole le immagini concentrate, come accennato, sulla Rohrwadcher, che si conferma tra le migliori attrici italiane, particolarmente adatta a ruoli sofferti, ambigui, in cui la recitazione col corpo e con l'espressione sono fondamentali. Una prova di alto livello, la sua, convincente quella degli altri interpreti, e valida la regia. Un film convincente e che merita di essere visto.

martedì 24 marzo 2015

Latin Lover

"Latin Lover" di Cristina Comencini. Con Virna Lisi, Marisa Paredes, Angela Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Candela Peña, Pihla Vitala, Nadeau Miranda, Cecilia Zangaro, Francesco Scianna, Lluís Homar, Neri Marcorè, Claudio Gioé, Toni Bertorelli, Jordi Mollá e altri. Italia, 2015 ★★★★+
Commedia tutta da godere, e omaggio ironico quanto affettuoso ai tempi d'oro del cinema italiano, tutta al femminile anche se il pretesto è la celebrazione, nel decimo anniversario della morte, del Latin Lover Saverio Crispo, una gloria nazionale. Per l'occasione, nel paesino pugliese dov'era nato e cresciuto, si radunano le due ex consorti, Rita, la prima moglie, che se lo riprese per assisterlo in punto di morte (Virna Lisi nella sua ultima interpretazione, sempre all'altezza), e Ramona, sposata durante il periodo degli "Spaghetti Western" girati nel Paese iberico (Marisa Paredes: strepitosa) più le cinque figlie avute nelle diverse fasi (italiana, francese, spagnola, bergmaniana-svedese, hollywoodiana) della sua carriera, e i cui nomi cominciano tutti per esse: Susanna, Stéphanie, Segunda (che è la terza), Solveigh e Shelley, che vivono tutte nell'idolatria di un padre che, in realtà, non hanno mai conosciuto, e il cui incontro, fra diversità di caratteri, gelosie, nevrosi, fissazioni, paure, malintesi, dà il via a un fuoco d'artificio su cui dominano, dall'alto dell'esperienza e della conquistata "pace dei sensi", le due vecchie, fenomenali "carampane" sopraccitate, anche se tutte la altre interpreti sono all'altezza così come i comprimari maschili: Neri Marcorè nei panni del "montatore" di fiducia di Saverio, detestato dalla prima moglie Rita e fidanzato in incognito della figlia più anziana, Susanna (Anna Finocchiaro); Claudio Gioè in quelli del giornalista viscido e leccaculo; Toni Bertocelli in quelli del critico suonato (e bene ha fatto la Comencini a sbertucciare la categoria) e Jordi Mollá in quelli del marito di Segunda, traditore impenitente dallo sguardo spermatico. Un film dominato dalle donne, nella trama come nella vita di Saverio, se non fosse che a sorpresa irrompe sulla scena, nel culmine delle celebrazioni, Pedro (Luís Homar, altro attore almodovariano come Mollá e Paredes), lo stunt-man di fiducia di Saverio, che sembra conoscerlo meglio di tutte le componenti del gineceo che circondava il mitico attore scomparso, cui dà il volto un efficacissimo Francesco Scianna, che impersona un frullato fra Mastroianni, Tognazzi, Volontè e Gassman, con prevalenza di quest'ultimo. Su tutto il pollaio vigila il più che probabile, certo frutto di un amore ancillare, Saveria, la cameriera, imperturbabile e sorniona, che oltre a essere tra le "ragazze" quella che più assomiglia al padre, e ne porta il nome proprio, è anche colei che meglio lo ha conosciuto, così come Pedro. Buon sangue non mente, nel caso di Cristina Comencini, che ha curato anche la sceneggiatura assieme alla figlia Giulia Calenda, che ben conosce dall'interno il mondo del cinema, di "quel" cinema, anche se i rimandi, più che a cotanto padre, sono a Mario Monicelli. Rispetto al recente, penoso "Il nome del figlio" siamo su un altro pianeta, diversi sono i livelli dell'ambiente di riferimento, e a differenza dell'Archibugi la Comencini non solo "non se la tira" ma sa usare l'arma dell'autoironia, così come gli interpreti che ha scelto e che hanno tutta l'aria di essersela spassata un mondo durante le riprese. Così come ho fatto io vedendo il film. Brava!

domenica 22 marzo 2015

I Superpoteri dei Supereroi SPIrla

E' con grande sprezzo del ridicolo che da qualche settimana è partita a tambur battente la campagna per il tesseramento allo SPI, il sindacato pensionati della Grande CGIL, che già da anni ha più iscritti tra gli ex lavoratori che tra tutte le categorie di dipendenti pubblici e privati attivi messe insieme. "Gli iscritti della CGIL sono lo specchio del nostro Paese" è il ritornello che ripetono, con qualche variante, dirigenti e funzionari dell'organizzazione. Un Paese di citrulli, rincoglioniti, arteriosclerotici, sprovveduti, a giudicare dalle voci tremanti, pavide, sottomesse che si odono nello spot che passa per le radio nazionali, specialmente durante le prime ore del mattino, quando si ritiene che gli anziani si aggirino per casa sistemandosi il pannolone in preda all'angoscia su come affrontare una giornata irta di ostacoli insormontabili, che solo grazie all'aiuto dei Superpoteri dei Guardiani dei loro diritti volgerà a buon fine. Nessuno mette in dubbio che gli ostacoli burocratici di cui è irta la strada per vedere riconosciuti i propri diritti, a cominciare da quello alla pensione (per quel poco che questo istituto resisterà) per finire a quello di pagare correttamente le tasse, siano insormontabili senza l'assistenza di uno specialista. E questo vale in generale in un Paese che non a caso ha il più alto numero di legulei, commercialisti, notai, mediatori e "aggiustatori" di ogni altro in rapporto alla popolazione, esclusa forse l'India. Ciò che non si dice è che sembrano creati ad arte per fornire una residua ragion di vita, grazie a servizi che lo Stato si rifiuta di fornire (vedi consulenza INPS che non sia per via telematica, e ne avremo la controprova a breve con i famosi modelli 730 precompilati), a organizzazioni sindacali pletoriche, che da decenni non rappresentano che una parte minoritaria del mondo del lavoro, dalla struttura elefantiaca quanto autoreferenziale che devono in qualche modo mantenere per portare a loro volta i dirigenti e i funzionari alla loro, di pensione. Nemmeno si dice che, per far funzionare patronati e CAF nei momenti di punta si ricorre a personale avventizio, sottopagato, perfino in nero, all'occasione. Esattamente come fanno le Coop, rosse o bianche che siano, lo stesso ministero del Lavoro oppure le varie ONG e associazioni di volontariato sociale del "Terzo settore", in altre parole il carrozzone della Beneficenza S.p.A.,  cui è demandata, in nome del principio della sussidiarietà tanto caro all'asse bersanian-ciellino, e quindi comunistiano, l'assistenza dei casi umani ed è delegata la gestione delle innumerevoli e spesso artate "emergenze" e che si avvalgono anche di surrettizie forme di "volontariato" concordate, guarda caso, col sindacato. Materia che meriterebbe un approfondimento e indagine non solo da parte di un'informazione che preferisce evitare di occuparsi di argomenti scomodi ma anche da parte della magistratura. Per il momento colgo l'occasione per rispedire al mittente uno spot pubblicitario insultante, che la dice lunga su come la SPI/CGIL considera quelli che pretende "tutelare".

venerdì 20 marzo 2015

Una nuova amica

"Una nuova amica" (Une nouvelle amie) di François Ozon. Con Romain Duris, Anaïs Demoustier, Raphael Personnaz, Isild Le Besco, Aurore Clément e altri. Francia 2015 ★★★★
Esploratore appassionato e sottile dell'ambiguità identitaria in generale e sessuale in particolare, Ozon questa volta mette in scena una sorta di melodramma con risvolti da thriller psicologico, e venature dark nonché grottesche che ha per protagonista un trio di amici... più il morto. Che in questo caso è Laura, deceduta  poco dopo aver messo al mondo  la piccola Lucie, con cui Claire, la figura principale, ha avuto il rapporto più speciale della sua vita: le due si conoscevano fin da bambine, crescendo in simbiosi, con Laura sempre avanti di un passo ad aprire la strada a Claire nelle sue esperienze, matrimonio compreso. Sul letto di morte quest'ultima giura di non abbandonare Lucie e il giovane marito e padre, David. Nei primi giorni Claire, affranta, non trova nemmeno la forza di andarli a trovare ma poi, spinta dal coniuge, Gilles, si appresta a mantenere la promessa, scoprendo un segreto che Laura non la aveva mai rivelato: che a David piace travestirsi da donna e che Laura lo sapeva. Inizialmente spiazzata, si lascia man mano coinvolgere in un gioco delle parti che si sviluppa in una sorta di percorso di formazione del personaggio di Virginie, e lungo il quale ognuno dei protagonisti, passo per passo, compreso Gilles, va scoprendo tasselli della propria personalità e delle pulsioni più nascoste e inconfessate, abbattendo le prime resistenze attraverso l'abbandono ai sentimenti e alla comprensione dell'altro, che porta di rimando all'accettazione di sé stessi. Può essere questa, in fondo, la "morale" di quest'ultimo film di Ozon, ancora più spiazzante dei precedenti, dove l'ambientazione in un ambiente borghese medio-alto, in cui i protagonisti, che vivono in ville esageratamente spaziose per i loro bisogni, usufruiscono del "bel tempo" per lasciarsi prendere dalle loro indagini sperimentali su sé stessi e sull'altro, è indice della giocosità con cui è affrontato un argomento che è al contempo analizzato in modo profondo e, come sempre in Ozon, mai banale. Così come i personaggio del film passano da un genere all'altro, scoprendo i propri lati sia maschili, sia femminili sia, infine, ambivalenti, e per tutti, esemplarmente, David/Virginie (il bravissimo Romain Duris, che sembra sputato il Mick Jagger en travesti della copertina di "Have You Seen Your Mother Baby, Standing In The Shadow" o quello ambiguo di "Performance"), così il regista francese si muove agilmente e con maestria tra generi diversi, con tocchi degni di Hitchcock, Altman, Fassbinder e Almodóvar. E 'sempre un piacere andare a vedere un suo lavoro, e mai noioso.

martedì 17 marzo 2015

Snowden's Great Escape / L'amico americano

"Snowden's Great Escape" di John Goetz, Poul-Erik Heilbuth. Con Edward Snowden, Sarah Harrison, Julian Assange, Glenn Greenwald, Ewen MacAskill, Michael Hayden, Robert Tibbo. Danimarca 2014 ★★★★★
Posso solo raccomandare la visione di questo eccezionale documento giornalistico che ricostruisce, sulla base delle testimonianze dei protagonisti, la fuga di Edward Snowden, l'ex analista della NSA (National Security Agency), da Hong Kong, dov'era nascosto e da dove aveva diffuso le prove dei sistemi di raccolta d'informazione banditeschi da parte delle agenzie di intelligence USA in tutto il mondo: vicenda avvenuta all'inizio dell'estate di due anni fa, raccontata in modo avvincente, all'altezza dei migliori film di spionaggio e che potete trovare qui. Nella storia della caccia all'uomo, da parte di poteri occulti e al di fuori da qualsiasi controllo, nei confronti di questo vero e proprio eroe della libertà e della democrazia, a colpire non è tanto il comportamento persecutorio del governo USA, quanto il servilismo europeo. Nulla di nuovo per chi non si fodera gli occhi di prosciutto, ma che potrebbe contribuire ad aprirli a coloro che si fanno intortare dalla retorica di un'Europa, e segnatamente un'UE, alternativa all'amico americano. Pura chimera. Non lo è dal 1945, con l'occupazione militare del settore occidentale del subcontinente, e quello orientale allo stesso modo da parte dell'impero concorrente, e se qualche piccola chance di affrancamento c'è stata, vedi la Francia di De Gaulle o la Jugoslavia di Tito, alla fine degli anni Sessanta e all'inizio dei Settanta, in concomitanza con la débâcle degli USA in Vietnam e il loro sputtanamento a livello mondiale (e sotto questa luce andrebbero viste le trame oscure che, partendo dalla morte di Mattei nel 1962, stanno dietro agli attentati, alle stragi e al terrorismo nostrani, e lo stesso vale in tono minore per la Germania), ogni illusione è caduta nel 1989 insieme a quella del "Muro": non potrà mai esservi altra Unione se non sul modello economico, sociale e culturale americano. Altro che Tsipras, come stiamo vedendo, o "Podemos", o M5S. Figurarsi Landini...

sabato 14 marzo 2015

Ma che bella sorpresa

"Ma che bella sorpresa" di Alessandro Genovesi. Con Claudio Bisio, Valentina Lodovini, Frank Matano, Chiara Baschetti, Renato Pozzetto, Ornella Vanoni, Anna Ammirati, Galatea Ranzi, Oliver Langhendries. Italia 2015 ★★★½
Quando, spentesi le luci in sala, mi è scoppiato nelle orecchie il tonitruante jingle che accompagna l'apparizione sullo schermo della sigla della berlusconiana "Medusa" come casa di distribuzione e produzione, stavo già maledicendo la mia dabbenaggine nel non verificare chi ha finanziato la pellicola che mi accingo a vedere, aspettandomi la solita puttanata di gusto televisivo a livello Mediaset, e invece il film si è rivelato essere molto piacevole e ben fatto, una commedia divertente senza scadere mai nella volgarità, mantenendo le promesse del titolo. Guido (Claudio Bisio), un insegnante di italiano innamorato della sua materia e della donna con cui vive, da anni trapiantato in una Napoli abbozzata senza farla diventare cartolinesca e caricaturale, viene mollato di punto in bianco da quest'ultima per un aitante e più giovane skipper belga, secondo lei a causa di una vita troppo tranquilla, troppo "bella" e senza fremiti. Guido ne rimane così sconvolto da cominciare una relazione con una donna immaginaria, quella dei suoi sogni, che si presenta come la nuova vicina di casa: sempre disponibile, che tifa per la sua stessa squadra, ottima cuoca, che capisce in anticipo tutti i suoi desideri: peccato che sia frutto di una sua fantasia. Paolo, un suo ex studente partenopeo e ora amico e collega di educazione fisica, allarmato per il fatto che Guido si sia immedesimato talmente nella parte da aggirarsi per la città parlando da solo (o meglio con la immaginata Silvia), avverte i suoi genitori, Pozzetto e la Vanoni (letteralmente mummificata, inguardabile ma perfetta nel ruolo) che calano da Milano per cercare di ricondurlo alla ragione, perché nel suo deliro il figlio arriva addirittura ad annunciare loro l'imminente matrimonio con la fantomatica fanciulla. Chi lo riporterà alla realtà sarà invece la vera vicina di casa, Giada, la bella, intensa e brava Valentina Lodovini: che la vicenda, nella sua paradossalità, funzioni, lo dimostra che questa seconda parte "reale" del film risulti ancora più straniante di quella "immaginaria". Siamo dalle parti della commedia più classica (è tratta da "A mulher invisível", film brasiliano del 2009 campione di incassi in patria) ma non proprio "all'italiana": non ha nulla della grevità tipica di cinepanettoni e simili e si avvale di quel tocco di surreale tipico della migliore comicità meneghina. Genovesi, autore, sceneggiatore e da qualche tempo anche regista milanese, nonostante il cognome, è una gradevole conferma, come Bisio (attore di rigorosa formazione teatrale, scuola "Piccolo", cosa che pochi sanno) e la Lodovini. Mi sento di consigliarlo. 

mercoledì 11 marzo 2015

357 sfumature di marrone


   
    Alle 12:33 di ieri, l’aula di Montecitorio ha approvato il ddl costituzionale sulla riforma del Senato. Al momento della votazione erano presenti in 489. Hanno votato in 482: 347 hanno detto “sì”, 125 “no”, 7 si sono astenuti. 
* Di seguito i nomi di chi ha voluto modificare la Costituzione. 
   AP (NCD/UDC) Ferdinando Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Dorina Bianchi, Paola Binetti, Antonino Bosci, Raffaele Calabrò, Luigi Casero, Giuseppe Castiglione, Andrea Causin, Angelo Cera, Fabrizio Cicchitto, Enrico Costa, Giampiero D’Alia, Nunzia De Girolamo, Vincenzo Garofalo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi, Antonino Minardo, Dore Misuraca, Alessandro Pagano, Vincenzo Piso, Sergio Pizzolante, Eugenia Roccella, Gianfranco Sammarco, Rosanna Scopelliti, Paolo Tancredi, Raffaello Vignali. 
   FI Gianfranco Rotondi 
   GRUPPO MISTO Aniello Formisano, Edoardo Nesi, Renata Bue-no, Daniel Alfreider, Renate Gebbhard, Mauro Ottobre, Albrecht Plangger, Manfred Schullian, Marco Di Lello, Oreste Pastorelli. 
   PD Luciano Agostini, Roberta Agostini, Luisella Albanella, Tea Albini, Maria Amato, Vincenzo Amendola, Sesa Amici, Sofia Amoddio, Maria Antezza, Michele Anzaldi, Ileana Argentin, Tiziano Arlotti, Anna Ascani, Pier Paolo Baretta, Cristina Bargero, Davide Baruffi, Lorenzo Basso, Alfredo Bazoli, Teresa Bellanova, Gianluca Benamati, Paolo Beni, Marco Bergonzi, Marina Berlinghieri , Giuseppe Berretta, Pier Luigi Bersani, Stella Bianchi, Rosy Bindi, Caterina Bini, Franca Biondelli, Tamara Blazina, Luigi Bob-ba, Sergio Boccadutri, Gianpiero Bocci, Antonio Boccuzzi, Paola Boldrini, Paolo Bolognesi, Lorenza Bonaccorsi, Fulvio Bonavitacola, Francesco Bonifazi, Francesca Bonomo, Michele Bordo, Enrico Borghi, Ilaria Borletti Dell’Acqua, Maria Elena Boschi, Luisa Bossa, Chiara Braga, Giorgio Brandolin, Alessandro Bratti, Gianclaudio Bressa, Vincenza Bruno Bossio, Giovanni Mario Salvino Burtone, Vanessa Camani, Micaela Campana, Emanuele Cani, Salvatore Capone, Sabrina Capozzolo, Ernesto Carbone, Daniela Cardinale, Renzo Carella, Anna Maria Carloni, Elena Carnevali, Mara Carocci, Marco Carra, Pier Giorgio Carrescia, Floriana Casellato, Franco Cassano, Antonio Castricone, Marco Causi, Susanna Cenni, Bruno Censore, Khalid Chauki, Eleonora Cimbro, Laura Coccia, Matteo Colaninno, Miriam Cominelli, Paolo Coppola, Maria Coscia, Paolo Cova, Stefania Covello, Filippo Crimì, Diego Crivellari, Magda Culotta, Gianni Cuperlo, Luigi Dallai, Gian Pietro Dal Moro, Cesare Damiano, Vincenzo D’Arienzo, Alfredo D’Attorre, Umberto Del Basso De Caro, Carlo Dell’Aringa, Andrea De Maria, Rogeder De Menech, Marco Di Maio, Vittoria D’Incecco, Titti Di Salvo, Marco Di Stefano, Marco Donati, Umberto D’Ottavio, Guglielmo Epifani, David Ermini, Marilena Fabbri, Luigi Famiglietti, Edoardo Fanucci, Davide Faraone, Gianni Farina, Marco Fedi, Donatella Ferranti, Alan Ferrari, Andrea Ferro, Emanuele Fiano, Massimo Fiorio, Giuseppe Fioroni, Cinzia Maria Fontana, Paolo Fontanelli, Filippo Fossati, Gian Mario Fragomeni, Dario Franceschini, Silvia Fregolent, Gianluca Fusilli, Maria Chiara Gadda, Giampaolo Galli, Guidi Galperti, Paolo Gandolfi, Laura Garavini, Francesco Saverio Garofani, Daniela Matilde Gasparini, Federico Gelli, Manuela Ghizzoni, Roberto Giachetti, Anna Giacobbe, Antonello Giacomelli, Federico Ginato, Dario Ginefra, Tommaso Ginobile, Andrea Giorgis, Gregorio Gitti, Fabrizia Giuliani, Giampiero Giulietti, Marialuisa Gnecchi, Sandro Gozi, Gero Grassi, Maria Gaetana Greco, Monica Gregori, Chiara Grimaudo, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Mauro Guerra, Maria Tindara Gullo, Itzhak Yoram Gutgeld, Maria Iacono, Tino Iannuzzi, Leonardo Impegno, Antonella Incerti, Wanna Iori, Luigi Lacquaniti, Francesco La Forgia, Francesca La Marca, Enzo Lattuca, Giuseppe Lauricella, Fabio Lavagno, Donata Lenzi, Enrico Letta, Danilo Leva, Emanuele Lodolini, Alberto Losacco, Luca Lotti, Maria Anna Madia, Patrizia Maestri, Ernesto Magorno, Gianna Malisani, Simona Flavia Malpezzi, Andrea Manciulli, Massimiliano Manfredi, Irene Manzi, Daniele Marantelli, Marco Marchetti, Maino Marchi, Raffaella Mariani, Elisa Mariano, Siro Marrocu, Umberto Marroni, Andrea Martella, Pierdomenico Martino, Michela Marzano, Federico Massa, Davide Mattiello, Matteo Mauri, Alessandro Mazzoli, Fabio Melilli, Marco Meloni, Michele Meta, Marco Miccoli, Gennaro Migliore, Emiliano Minnucci, Anna Margherita Miotto, Antonio Misiani, Michele Mognato, Francesco Monaco, Colomba Mongiello, Daniele Montroni, Alessia Morani, Roberto Morassut, Sara Moretto, Antonino Moscatt, Romina Mura, Delia Murer, Alessandro Naccarato, Martina Nardi, Giulia Narduolo, Michele Nicoletti, Nicodemo Oliverio, Matteo Orfini, Andrea Orlando, Alberto Pagani, Giovanna Palma, Valentina Paris, Dario Parrini, Edoardo Patriarca, Vinicio Peluffo, Caterina Pes, Paolo Petrini, Liliana Cathia Piazzoli, Teresa Piccione, Flavia Piccoli Nardelli, Giorgio Piccolo, Salvatore Piccolo, Nazareno Pilozzi, Giuditta Pini, Barbara Pollastrini, Fabio Porta, Giacomo Portas, Ernesto Preziosi, Francesco Prina, Lia Quartapelle, Fausto Raciti, Michele Ragosta, Roberto Rampi, Ermete Realacci, Francesco Ribaudo, Matteo Richetti, Andrea Rigoni, Maria Grazia Rocchi, Giuseppe Romanili , Andrea Romano, Ettore Rosato, Paolo Rossi, Anna Rossomando, Michela Rostan, Alessia Rotta, Simonetta Rubinato, Angelo Rughetti, Giovanni Sanga, Luca Sani, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Daniela Sbrollini, Ivan Scalfarotto, Gian Piero Scanu, Gea Schirò, Chiara Scuvera, Angelo Senaldi, Marina Sereni, Camilla Sgambato, Elisa Simoni, Roberto Speranza, Nico Stumpo, Luigi Taranto, Mino Taricco, Assunta Tartaglione, Veroni Tentori, Alessandro Terrosi, Marietta Tidei, Irene Tinagli, Mario Tullo, Valeria Valente, Simone Valiante, Franco Vazio, Silvia Velo, Laura Venittelli, Liliana Ventricelli, Walter Verini, Rosa Calipari, Sandra Zampa, Alessandro Zan, Giorgio Zanin, Giuseppe Zappulla, Diego Zardini, Davide Zoggia. 
   PI-CD Roberto Capelli, Federico Fauttilli, Gian Luigi Gigli, Carmelo Lo Monte, Mario Marazziti, Gaetano Piepoli, Domenico Rossi, Milena Santerina, Mario Sberna, Bruno Tabacci. 
   SC Alberto Bombassei, Mario Catania, Antimo Cesaro, Angelo D’Agostino, Stefano Dambruoso, Giovanni Falcone, Adriana Galgano, Gianfranco Librandi, Andrea Mazziotti di Celso, Bruno Molea, Roberta Oliaro, Giuseppe Quintarelli, Mariano Rabino, Giulio Cesare Sottanelli, Pier Paolo Vargiu, Andrea Vecchio, Valentina Vezzali, Paolo Vitelli, Enrico Zanetti.

Da il Fatto Quotidiano di oggi
* Se li incontrate per strada, scansateli. Occhio a pestarli, anche se dicono che porti buono.

martedì 10 marzo 2015

Timbuktu

"Timbuktu" (Le chagrin des oiseaux) di Abderrahmane Sissako. Con Ibrahim Ahmed, Toulou Kiri, Abdel Jafri, Fatoumata Diawara, Hichem Jacoubi, Kettly Noël, Medy A. G. Mohamed, Layla Walet Mohamed, Adel Mahmoud Cheri. Salem Dendou. Francia, Mauritania 2014 ★★★★
Bel film, rigoroso, ben girato e con una fotografia notevole, valorizzata anche dall'ambientazione nella città di sabbia, dalla particolare e suggestiva architettura, il film trae spunto dalla lapidazione di una coppia non sposata avvenuta nel periodo, fortunatamente breve in cui Timbuktu, antica città tuareg, fu occupata dai jihadisti durante la guerra civile che di recente ha sconvolto il Mali settentrionale. La pellicola, presentata e premiata all'ultimo Festival di Cannes, esce in un momento quanto mai opportuno, con le vicende in corso in Siria, in Irak e nella vicina Libia. L'episodio di cui sopra, che occupa una breve ed esemplare sequenza che non ha bisogno di insistere su particolari grandguignoleschi per essere esplicativa e rimanere impressa, è soltanto uno degli esempi della follia fondamentalista che cerca di imporsi, con divieti demenziali, come quello di giocare al calcio o fare musica, e perfino imporre a delle pescivendole di coprire le mani con dei guanti mentre devono squamare e pulire il prodotto di cui vivono, su una civiltà antica quanto pacifica come quella tuareg. La vicenda principale ruota attorno a Kidane, un "uomo blu" che vive di pastorizia e musica in una tenda poco fuori dalla città assieme con la moglie Satima e alla dodicenne figlia Toya, deciso a rimanere mentre i suoi vicini se ne sono andati per sfuggire alle asfissianti intrusioni della polizia islamica, e che viene condannato a morte per avere a sua volta ucciso un pescatore durante una lite causata dalla perdita di un vitello finito nelle reti di quest'ultimo ed eliminato: secondo la sharia, applicata da un tribunale improvvisato, per salvarsi avrebbe dovuto risarcire la famiglia del pescatore con una mandria di 40 animali, richiesta assolutamente fuori dalla portata di chiunque. La sua, come quella dei due lapidati, è una storia esemplare attorno a cui ruotano altre vicende che vedono la popolazione alle prese con la quotidianità "jihadista", che viene combattuta con ironia (fantastica la partita di calcio giocata senza pallone per rispettare la "legge islamica") o il buon senso del mullah locale, uomo saggio e moderato il cui pensiero rispecchia quello della stragrande maggioranza della popolazione musulmana locale nonché quella del regista, che non è per nulla islamofobo ma che sottolinea e smaschera la follia e grettezza fondamentalista, resa evidente dalla stessa difficoltà che hanno non solo di farsi capire dalla popolazione ma perfino di comunicare tra loro (benché armati di cellulari di ultima generazione nonché di immancabili e moderni pick-up Toyota) pur pretendendosi portatori di un credo universale quanto assoluto. Un film forse orse un po' didascalico, in alcuni tratti, ma in questo caso non guasta, e permette di volgere lo sguardo verso luoghi che solitamente si preferiscono non vedere e di cui si conosce poco o nulla. 

sabato 7 marzo 2015

Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza

"Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza"  (En Duva Satt På En Gren Och Funderade På Tillvaron) di Roy Andersson. Con Holger Andersson, Nisse Vestblom, Viktor Gyllenberg, Charlotta Larsson, Lotti Törnros. Svezia 2014 ???
...invece io mi sono sentito come un piccione seduto al posto n° 4, fila C del "Visionario" di Udine che riflette sulla sanità mentale della giuria dell'ultimo Festival del Cinema di Venezia che ha premiato questa roba col Leone d'Oro 2014. Tentato di uscire dopo un quarto d'ora, al secondo o terzo di una serie di quadretti di idiozia quotidiana in un qualche posto in Svezia, presumibilmente Göteborg, città natale del regista, ho resistito fino alla fine allo scopo di punirmi per la dabbenaggine di essere andato a vedere una pellicola simile. Mi era stato magnificato come un film demenziale spinto, genere che solitamente apprezzo, oltre i primi Monty Python, e in effetti qualche vaga traccia c'è, come di Kaurisimäki, per le atmosfere livide e i personaggi strampalati, o Ciprì e Maresco, per il loro aspetto, ma qui a mio parere siamo nel campo delle turbe psichiche. Vero, gli scandinavi hanno un senso dell'umorismo decisamente paradossale, così come è vero che la sicurezza sociale garantita a tutti non è sinonimo di felicità né di vivacità intellettuale, come dimostrano il tasso alcolico medio e la propensione al suicidio, ma questa è gente che sta davvero male per non parlare della giuria festivaliera veneziana; allo stesso modo ognuno è libero di esprimersi e divertirsi come meglio crede, però il cinema è un'altra cosa, almeno per me. Un Premio Franco Basaglia sarebbe stato più adeguato. 

giovedì 5 marzo 2015

Vizio di forma

"Vizio di forma" (Inherent Vice) di Paul Thomas Anderson. Con Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Josh Brolin, Reese Witherspoon, Benicio Del Toro, Eric Roberts, Owen Wilson, Sasha Pieterse. USA 2014 ★★★★
A prescindere dal titolo che sembra tradotto da Matteo Renzi per la totale incomprensione dell'inglese (giuridicamente, e usato specialmente in campo assicurativo, il rischio intrinseco è quello inevitabile, inerente a una determinata attività, e qui allude a quello di ogni sistema di deflagrare sotto le spinte delle sue componenti interne) e dall'essere, almeno apparentemente, senza trama, per cui chi si attende un giallo dallo svolgimento lineare e una conclusione logica è meglio che lo eviti, è un film che suscita impressioni che,  nel mio caso, già positive in partenza, lasciate decantare ne fanno aumentare spessore e senso. Doc Sportello, un sorprendentemente bravo e intenso Joaquin Phoenix, è un Philip Marlowe trasportato nel 1970, sempre in California, e sempre in un periodo di cambio epocale: quello del tramonto del sogno hippie e libertario e i prodromi degli sciagurati anni Ottanta che avrebbero portato al trionfo quell'Edonismo Reaganiano, termine genialmente inventato qui da noi, che ne è il fondamento ideologico e che, con qualche variante, domina tuttora. Costantemente avvolto nei fumi della cannabis, Doc è incaricato dall'ex convivente Shasta, di cui è ancora innamorato, di ritrovare il suo attuale fidanzato, il palazzinaro  Wolfmann, che si sospetta sia stato rapito per farlo ricoverare in una clinica psichiatrica al fine di sottrargli il patrimonio, e nonostante sia costantemente intronato e apparentemente sfasato rispetto alla realtà, ha intuito e acume sufficienti per rintracciarlo, nonostante gli intralci postigli dalla sua "nemesi", il tenente Bigfoot Bjornsen, interpretato dall'altrettanto bravo Josh Brolin, che inizialmente lo accusa di omicidio, e da una banda di Hell's Angels nazistizzati in combutta con frange del Black Power (il tutto e il contrario di tutto). Senza un filo logico e, come accennato, senza una trama vera e propria ma che può contare su una sceneggiatura impeccabile, è una pellicola tutta sensazioni che si insinuano sotto traccia grazie alle vivide atmosfere rétro che rende grazie a una fotografia strepitosa e una grande attenzione ai particolari; una colonna sonora puntuale e di prima qualità tra cui spiccano alcuni "pezzi forti" di Neil Young; un ritmo vagamente allucinogeno e comunque coinvolgente che alterna accelerazioni a momenti onirici, colpi a sorpresa e fasi d riflessioni non banali; l'immedesimazione che suscitano i personaggi, tutti azzeccati e affidati ad attori in gran forma: per certi versi, oltre ad alcuni adattamenti dei noir di Chandler, mi ha ricordato "China Town" e perfino "Professione Reporter". Un film singolare, da assaporare, che mi ha pienamente soddisfatto. 

martedì 3 marzo 2015

Birdman

"Birdman" di Alejandro González Iñarritu. Con Micheal Keaton, Edward Norton, Andrea Riseborough, Zach Galifianakis, Emma Stone, Amy Ryan e altri. USA 2014 ★★★★★
Tendo a diffidare dei film che vincono l'Oscar perché spesso, come l'anno scorso con "12 anni schiavo", si rimane scornati quando lo si vede (a me è capitato qualche giorno su SKY e non l'ho considerato nemmeno degno di un post su questo modesto blog), ma in questo caso, per quanto mi riguarda, siamo dalle parti del capolavoro: pensavo che difficilmente mi avrebbe soddisfatto più di "Grand Hotel Budapest", ma sono uscito dalla sala davvero felice, col sorriso sulle labbra, carico di ottimismo ed energia. Perché questo è "Birdman": un concentrato di energia, di acutezza, di ironia che sfocia nel sarcasmo, compensata da una comprensione affettuosa e sincera per le umane debolezze, rispecchiate in modo esemplare da quella particolare categoria di bipedi che della parola e della maschera fanno il loro mestiere, ossia gli attori. E a proposito di questi ultimi, ecco un cast di fuoriclasse, anche se nessuno di essi gode della fama che meriterebbe ampiamente, a cominciare da Michael Keaton, su cui la vicenda sembra, e forse è, tagliata su misura. L'ex Batman impersona infatti Riggan Thompson, una star hollywoodiana che ha raggiunto il successo interpretando più volte Birdman, un supereroe alato, che si è trasferito dalla West alla East Coast per mettere in scena, a sue spese, in uno storico teatro di Broadway, una pièce tratta da uno dei più significativi racconti di Raymond Carver, "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore", allo scopo di dimostrare a sé stesso e al suo pubblico di essere un vero attore, indipendentemente dal ruolo che lo ha reso popolare e lo perseguita fino a fagocitarlo. L'uccellaccio, il Birdman a cui ha dato corpo e volto, gli è restato così appiccicato che è diventato una parte di lui che lo tormenta, parlandogli e cercando di convincerlo a mollare la temeraria sfida e tornare a una gloria più sicura: è la sua voce interna che semina, appunto, il dubbio di non essere un buon attore, e nemmeno un buon padre per Sam, la figlia appena uscita da un centro di recupero per tossicomani che gli fa da assistente, o un buon compagno per la sua attuale donna, che lo è anche sulla scena, e un buon amico per Jake, l'agente che ha coinvolto in un impresa che può rovinarli. Le cose si complicano ancora di più quando, per sollevare lo spettacolo da un sicuro fiasco, come attore coprotagonista viene scelto Mike (Edward Norton: bravissimo), un grande talento ma un altrettanto grande stronzo. La vicenda, in cui i tratti surreali si fondono felicemente coi dettagli più realistici, sia per quanto riguarda gli oggetti, sia per quanto riguarda i caratteri dei personaggi, si svolge tutto all'interno del teatro e nelle sue pertinenze, in un dentro-e-fuori tra i suoi affascinanti meandri e il palcoscenico dove si svolgono le prove e poi le anteprime: l'amalgama tra grottesco e sottile analisi psicologica, aspetti noir e commedia , è semplicemente perfetto. Non anticipo altro perché vale la pena essere sorpresi quanto lo sono stato io che della trama conoscevo soltanto qualche accenno. L'uso dei piani sequenza è magistrale, i riferimenti cinematografici, in particolare a Robert Altman, trasparenti (e riconoscenti), i dialoghi geniali, in un'anarchia gioiosa e magicamente tenuta sotto controllo da un regista prodigioso e un livello di recitazione di categoria superiore: tutto funziona in un apparente caos generalizzato, compreso l'accompagnamento musicale, spesso costituito da una semplice rullata di batteria nei momenti topici suonata da un musicista che potrebbe essere di strada. Grazie di cuore a chi ha avuto l'idea, a chi l'ha prodotta, a chi l'ha recitata e a chi vi ha contribuito. Questo è cinema, spettacolo puro, senza bisogno di effetti speciali computerizzati.

domenica 1 marzo 2015

E lo chiamano Expo...

EXPO 2015: L’OPPORTUNITA’ PER CHI

Expo 2015, l’evento che si terrà a Milano a partire dal 1° Maggio (un’altra data saccheggiata), incombe da tempo sulle nostre vite. Con un crescendo, che pare senza limiti, l’evento prende forma, ai nostri occhi, sotto forma di convegni, sponsorizzazioni, manifesti, manifestazioni di strada, manchette pubblicitarie, spot televisivi, articoli di stampa, e chi più ne ha, più ne metta. Il bombardamento mediatico è tale da fare apparire l’appuntamento di Milano come irrinunciabile, imperdibile, quasi che i destini dell’alimentazione umana – argomento di per sé, più che nobile, essenziale – dipendessero da una serie di baracconi fieristici messi su in quattro e quattr’otto.
Occorre allora metterci il naso, capire meglio cosa rappresenta realmente questa esposizione per coglierne il senso e la portata.
Forse non tutti sanno che Expo è una manifestazione promossa da un ente privato,il BIE, un organismo internazionale non governativo che cura dal 1928 l’organizzazione delle cosiddette Esposizioni Universali in varie città del mondo, con cadenza quinquennale . Queste esposizioni devono avere per contratto temi di portata globale, una durata di sei mesi, nessun limite di spazio e la spesa per i padiglioni a carico dei paesi partecipanti. E’ ovvio che la gran parte di tutti gli altri costi sono a carico della spesa pubblica del paese ospitante che deve garantire il buon successo dell’operazione. Come contropartita si presenta l’esposizione come volano per il rilancio dell’economia, del turismo e conseguentemente dell’occupazione.
La storia delle Esposizioni Universali inizia nei tempi immediatamente successivi alla rivoluzione industriale e all’affermazione della borghesia manifatturiera come classe dominante. La necessità di costruire momenti pubblici e ridondanti per mostrare al mondo la potenza dello sviluppo delle industrie, dei trasporti e dei commerci favorisce l’istituzione di queste grandi fiere, che , non a caso, prendono vita, prima in forma ridotta, nella Parigi napoleonica e poi a Londra, cuore pulsante dell’industria moderna. Da allora molte cose sono cambiate; la necessità di mostrare al mondo, in un unico grande contenitore, gli sviluppi della tecnica e della scienza, ha lasciato il campo a ben più redditizie fiere di settore, per lo più rivolte strettamente agli operatori del campo; inoltre la nascita e lo sviluppo delle reti telematiche ed informatiche, con la massa di informazioni che, in tempo reale e quotidianamente, vengono messe a disposizione, rendono di fatto vana la riproposizione di una Esposizione Universale se non nella forma di un gigantesco luna park, dove passare una giornata tra cibarie varie, intrattenimenti per l’infanzia, seduzioni turistiche e quant’altro.
Ma lo spettacolo deve andare avanti. La gallina dalle uova d’oro deve continuare la sua produzione. Al limite bisogna ridefinirne i contorni ed i contenuti, magari abbandonando la dimensione prettamente industrialistica e tecnologica che ha caratterizzato i primi eventi ed arrivare a definire nuovi campi di interesse, quali ad esempio il rapporto tra la vita umana e l’ambiente che la sostiene, in un’epoca contrassegnata proprio dalle devastazioni che l’epoca precedente ha provocato.
In Corea si è tenuta recentemente un’esposizione dal titolo ‘Costa e oceani che vivono’, a Milano sarà ‘il cibo’ il tema del mega evento, titolo ‘Nutrire il pianeta, energia per la vita’. Ma come è stato nel passato, si confermerà un’altra volta che, al di là dei temi trattati, sarà l’egemonia dei ceti dominanti, delle multinazionali, a essere santificata e celebrata come unica in grado di garantire il benessere dell’umanità. Così come verrà confermato quanto il carattere di mega evento dato all’iniziativa, si esprime in netta continuità con la politica delle grandi opere che sta infestando, da tempo, il paese Italia. Ed ecco la devastazione del territorio ove si svolgerà Expo 2015: un enorme estensione di terreno agricolo trasformato in edificabile, la costruzione di infrastrutture quali strade, autostrade, sia di collegamento con l’area che in tutta l’area lombarda, la costruzione apposita di una stazione per TAV in prossimità della fiera stessa, la canalizzazione, sia pur parziale, delle acque. Ed insieme a questi frutti avvelenati, tutto il contorno di traffici politico-affaristici dei quali le cronache ci hanno informato sia pure parzialmente.
Ma non è solo l’aspetto meramente materiale che ci può interessare: c’è ben altro. Il mega evento, la grande opera, soprattutto quando deve realizzarsi in tempi certi, è portatrice di una continua modificazione e stravolgimento delle regole del gioco, tali da comportare modelli di comportamento a se stanti. Appalti affidati senza gara, condizioni di lavoro precarie, supersfruttamento, ‘oliatura’ dei meccanismi burocratici, deleghe in bianco, super poteri alla protezione civile, ecc.: quando l’eccezionalità diventa una condizione permanente cresce fortemente il rischio che si pongano le basi per nuove forme autoritarie e gerarchiche. Per non parlare poi della prevedibile militarizzazione del sito e del territorio circostante, con la scusa dell’antagonismo sociale e del terrorismo internazionale, per imporre un modus operandi che vuole limitare libertà di movimento e di espressione, in linea con l’evoluzione oligarchica della democrazia parlamentare, alle prese con una conflittualità crescente a partire dai territori, sempre più in sofferenza in seguito al continuo saccheggio delle risorse e dei beni collettivi.
In effetti l’Expo milanese rappresenta un’opportunità, così come politici, imprenditori, sindacalisti e gazzettieri di turno ci stanno ripetendo da tempo. Ma è un’opportunità per ridisegnare i poteri, di arricchimento e di speculazione, di cementificazione e di privatizzazione; non è un’opportunità per i cittadini. Ricordiamoci che l’evento è stato voluto dal centro destra (duo Moratti-Formigoni) e sostenuto dal centro sinistra (Romano Prodi allora al governo) e oggi, in plancia di comando, c’è il centrosinistra di Pisapia con il leghista Bobo Maroni. Tutti insieme appassionatamente per cogliere l’opportunità. E per farlo hanno costituito una società ad hoc, denominata Expo Spa, società per azioni a prevalenza pubblica (con prevalenza di Ministero dell’Economia, Regione e Comune), che dovrà garantire il successo dell’iniziativa, progettando e finanziando tutte le opere necessarie.
Quindi denaro pubblico a favore di un evento privato. E’ stato calcolato che solo nel periodo 2008-2010 Expo Spa è costata, solo tra costi di gestione e personale, circa 40 milioni di euro. E il grosso doveva ancora arrivare…
Ma non è solo questo ovviamente l’aspetto che ci interessa; altri meritano una riflessione che riprenderemo in un prossimo articolo.

Max Var
da "Umanità Nova" - Settimanale anarchico