martedì 30 dicembre 2014

Jimmy's Hall - Una storia d'amore e libertà

"Jimmy's Hall - Una storia d'amore e libertà" (Jimmy's Hall) di Ken Loach. Con Barry Ward, Simone Kirby, Jim Norton, Andrew Scott, Francis Magee e altri. Gran Bretagna, Irlanda, Francia 2014 ★★★½
Fedele alla linea, maestro nel raccontare storie di riscatto sociale, di dignità, di impegno, di lotta, sempre dalla parte dei lavoratori e dei diseredati, Ken Loach è una certezza e questo film non fa eccezione. Non riserva grandi sorprese a chi conosce e apprezza il regista inglese, la cui cifra sta nella chiarezza, nella profonda onestà, nell'empatia verso i suoi personaggi che trasmette invariabilmente al pubblico e nella bravura nello scovare sempre i volti giusti per i suoi interpreti. Con questo film Ken Loach torna in Irlanda dopo "Il vento che accarezza l'erba", che raccontava della scelta di un giovane e promettente studente di medicina di rimanere sull'isola e combattere contro il trattato con gli inglesi che nel 1921 chiuse la Guerra d'Indipendenza e partecipare alla sanguinosa Guerra Civile; dalla stessa parte stava Jimmy Gralton, militante socialista realmente esistito, che in quell'epoca aveva dato vita alla "Pearse-Connolly Hall", una specie di centro sociale ante litteram alloggiato in una baracca di lamiera nel bel mezzo della campagna della contea di Leitrim, al confine con l'Ulster, che fungeva da scuola popolare, sala da ballo e luogo di riunione fuori dal controllo ossessivo dell'invadente chiesa cattolica irlandese. Costretto a chiuderla e a emigrare negli USA, ritorna in patria una decina di anni dopo, in seguito allo scoppio della Grande Depressione, e viene convinto dai più giovani, tra cui il suo nome era rimasto una leggenda, a riaprirla. Oltre ai vecchi amici e all'amore di gioventù, ritroverà gli avversari di sempre: la chiesa cattolica, come sempre dalla parte della conservazione e del controllo sui possibili sovvertitori dell'ordine costituito, ma soprattutto con i veri vincitori della Guerra Civile, che ipocritamente se ne fanno scudo per difendere gli interessi dei proprietari terrieri e dei padroni e senza alcuna remora utilizzano leggi opportunamente redatte e difese con la forza di cui hanno il monopolio. Jimmy Gralton uscirà nuovamente sconfitto, ma con onore, a cominciare da quello "delle armi" (intellettuali) resogli dal suo più acerrimo nemico, il vecchio monsignore locale. Fu anche l'unico caso che si conosca di irlandese espulso dalla propria patria come immigrato clandestino (con la scusa che era anche in possesso del passaporto statunitense): morì poi a New York nel 1945. Onore a Jimmy Galton, a quelli come lui e a Ken Loach che ce ne racconta la storia, per non dimenticare.

sabato 27 dicembre 2014

Enjoy Gaza Cola!


Leggo con le lacrime agli occhi, causate da un irrefrenabile attacco di ridarella e non certo da commozione, la notizia dell'imminente apertura di una fabbrica della Coca Cola nella Striscia di Gaza: un investimento di 20 milioni di dollari per colmare l'imperdonabile gap con la concorrente Pepsi Cola, che fin dal 1962 possiede un impianto attivo nell'enclave palestinese, e che a pieno regime darà lavoro a un migliaio di persone. Cara Grazia, che generosità! La multinazionale di Atlanta, in linea col periodo dell'anno e nell'edificante spirito natalizio che la contraddistingue, comunica altresì che, oltre a "contribuire all'occupazione e all'economia locali - e, va da sé, al riequilibrio nella spartizione di un mercato particolarmente assetato da parte dei due oligopoli a stelle e strisce delle bevande gassate - la nuova fabbrica avvierà anche programmi sociali nella Striscia". Nella dovizia di cifre e dettagli che corredano il pezzo pubblicato lunedì scorso sull'edizione on line del Fatto Quotidiano, non viene chiarito da dove verrà attinta l'acqua necessaria a diluire lo sciroppo concentrato che viene fornito dalla casa madre: mi piace immaginare che, per completare il ciclo virtuoso e perfettamente integrato di questa mirabile operazione di moderna imprenditorialità globalizzata, a fornirla, opportunamente remunerate, saranno le stesse autorità israeliane che da decenni la sottraggono alla rete idrica dei "Territori" a vantaggio delle proprie colonie abusive. L'avranno indietro edulcorata, colorata e con tanto di valore aggiunto. Enjoy it!

giovedì 25 dicembre 2014

L'amore bugiardo - Gone Girl

"L'amore bugiardo" (Gone Girl) di David Fincher. Con Benjamin Affleck, Rosamund Pike, Kim Dickens, Neil Patrick Harris, Tyler Perry e altri. USA 2014 ★★★★½
Pochi ma buoni, i film in uscita durante il periodo natalizio quest'anno: fra questi segnalo e consiglio vivamente quest'ultimo lavoro di David Fincher, maestro di inquietanti, complessi e mai scontati noir, sorretti da sceneggiature solide (in questo caso l'ha curata la stessa autrice del bel romanzo omonimo da cui è tratto, Gillian Flynn): una conferma dopo Seven, Fight Club, Zodiac, Panic Room, Millennium. Anzi: un passo avanti. Amy e Nick sono la coppia perfetta: belli, intelligenti (lei è una ex ragazza prodigio, laureata ad Harvard, la cui immagine viene ancora sfruttata dalla famiglia), estremamente complici, entrambi appassionati di scrittura e lavorano nel campo dell'editoria a New York, ma la crisi economica colpisce duro e finiscono per trasferirsi nel Missouri, da dove proviene Nick, anche per stare vicini alla madre di lui che sta soccombendo a un tumore e dove lui gestisce un bar assieme a Margot, la sorella gemella. Ma il giorno del loro quinto anniversario di nozze Amy scompare. Sebbene sia Nick a chiamare la polizia e a non volersi avvalere di un avvocato, i sospetti man mano cadono su di lui, che finisce per essere bersagliato anche da una campagna mediatica a caccia del potenziale serial killer, occasione ottima per riempire vieppiù di merda notiziari e talk show, che negli USA sono se possibile ancora più invasivi, infami e deleteri che da noi, e la situazione degenera quando Nick deve ammettere di avere una relazione con una sua allieva del corso di scrittura creativa che tiene al college locale e si scopre che Amy era incinta. Ma non tutto è come sembra e nella seconda parte del film, che dura in totale 2 ore e 20' ma di cui non c'è un solo minuto che "stroppi", si racconta la storia anche dal punti di vista di Amy. Siccome il film mi è piaciuto parecchio e altrettanto spero che piaccia a chi andrà a vederlo, non svelo altro, tranne che ci saranno alcuni notevoli colpi di scena. Oltre all'ottima sceneggiatura, alla fotografia cruda ed efficace, alla struttura del racconto articolata su diversi livelli temporali ma logica e perfettamente comprensibile, la riuscita del film è dovuta anche alla grande bravura degli interpreti, specialmente i due protagonisti, perfettamente adatti ad interpretare personaggi non molto gradevoli nonostante la bella presenza e a dare espressione alle mille sfumature di un intenso rapporto tra uomo e donna e del "patto matrimoniale" nello specifico, e quello tra Nick ed Amy è decisamente particolare. Altro merito del film è quello di denunciare il ruolo nefando di un'informazione abietta e le degenerazioni tipiche di una società profondamente malata come quella yankee, ma sono soprattutto la manipolazione sistematica a cui siamo ormai assuefatti nonché le innumerevoli sfaccettature di un rapporto d'amore (e odio) che emergono da questa vicenda così intricata ma esemplare che lasciano spunti non banali di riflessione. Bravi tutti. 

martedì 23 dicembre 2014

Reaparecido

Sedegliano (UD), lungo la SP 39
Gratta gratta, sotto l'intonaco riaffiora l'anima nera. E magari prima o poi ritorna. Perché, in fondo, quelli come Lui non se ne sono mai davvero andati: ce li abbiamo dentro. Nel DNA. La rimozione e il resistenzialismo obbligatorio, retorico e da parata, non sono mai stati un antidoto efficace, né potranno esserlo in futuro.

lunedì 22 dicembre 2014

Hey Joe: The Last Goodbye




Se ne è andato un grandissimo, il "Leone di Shefflield". Ci ha dato tutto, ci mancherà tantissimo. Lo ricorderemo sempre così.

sabato 20 dicembre 2014

Storie pazzesche

"Storie pazzesche" (Relatos selvajes) di Damián Szifron. Con Ricardo Darín, Walter Donado, Leonardo Sbaraglia, Erica Rivas, Rita Cortese, Julieta Zylberberg, Dário Grandinati, Nancy Dupláa, María Onetto, Osmar Núñez. Argentina, Spagna 2014 ★★★★½
Corrosivo, scorretto, grondante di umore nero più che di sangue, il film più visto nella prima settimana di proiezione nella pur ricca storia cinematografica dell'Argentina (mezzo milione di spettatori, campione di incassi e candidato come miglior film straniero ai prossimi Oscar), è l'antidoto perfetto allo zuccheroso buonismo natalizio, vivamente consigliato a chi ha una visione disincantata della demenzialità della nostra epoca e delle sue  quotidiane assurdità. I sei episodi sono completamente autonomi ma legati fra loro dal filo conduttore non tanto della follia (la traduzione corretta del titolo è "Racconti selvaggi") ma dall'esplosione di un'incontenibile energia liberatoria davanti alle incongruenze di un meccanismo massificante, oppressivo, ingiusto, idiota, esso sì impazzito e incapace di funzionare: si assiste insomma alla ribellione, in forme imprevedibili ma definitive, di una serie di persone comuni che il nostro monarca repubblicano chiamerebbe eversive, arrivate al punto di rottura, magari per un evento marginale, con una realtà fatta passare come inevitabile, per la serie "la vendetta del mite sarà implacabile". Tutti gustosi, con quello iniziale, il più breve, fulminante, geniale, a fare da detonatore: Gabriel Pasternak, musicista incompreso, è riuscito a radunare su un aereo, a loro insaputa, tutti coloro che ritiene responsabili di avergli rovinato l'esistenza. In cabina di pilotaggio, ai comandi, c'è lui in persona... Da lì le risate irrefrenabili diventeranno man mano più amarognole, fino al gran finale di una festa di matrimonio ambientata tra il "generone" del Barrio Norte di Buenos Aires, così simile a quello romano e così caro al gossip che i media propinano a piene mani alle masse rincitrullite, in cui la sposa scopre tra gli invitati la collega con cui il novello consorte ha avuto una tresca: un inno all'amore, alla coppia, al luogo comune! La regia sa il fatto suo e la pellicola è sostenuta da un cast affiatato e di valore assoluto; il fatto che Almodóvar si sia impegnato a produrla è una garanzia e deve avere trovato in un Paese disastrato ma colto, scettico il giusto e col gusto del macabro e dell'assurdo come l'Argentina terreno fertile per il suo progetto. E degli interpreti all'altezza. 

giovedì 18 dicembre 2014

Auguri al Grande Vecchio


Un "nero" celtico di stirpe gallese; anima blues e cuore che batte forte come un big bass drum; l'essenza dei Rolling Stones e lo spirito del rock. Ladies and Gentlemen: Mister Keith Richards! Happy Birthday, grazie per esserci e un ricordo per Bobby Keys, il suo gemello americano (18.12.1943-2.12.2014) che non duetterà più con lui.

lunedì 15 dicembre 2014

Magic in the Moonlight

"Magic in the Moonlight" di Woody Allen. Con Colin Firth, Emma Stone, Eileen Atkins, Simon McBurney, Marcia Gay Harden, Hamish Linklater e altri. Francia, USA 2014 ★★★
Questo film aggraziato, leggero ma tutt'altro che futile, da cui traspaiono tutta la sottile intelligenza e l'umorismo amarognolo di Woody Allen, appartiene senz'altro alla gamma più alta delle sue più recenti produzioni "europee", e pur se ambientato alla fine degli anni Venti in Costa Azzurra non sembra animato da intenzioni pubblicitarie. Sotto le sembianze dell'illusionista cinese Wei Ling Soo, il più famoso mago dell'epoca, si cela in realtà Stanley Crawford, interpretato in maniera eccellente da Colin Firth, un gentiluomo inglese supponente, di pessimo carattere, razionale fino all'eccesso, in realtà pessimista e infelice, nemico giurato di veggenti e finti medium, che viene convinto da un suo vecchio amico e collega a smascherare Sophie Baker, una giovane americana di origine proletaria che, in compagnia di sua madre che le fa da manager, sta intortando l'intera famiglia Catledge (ricchi industriali yankee in vacanza sulla costiera provenzale) convincendo la matriarca di essere in grado di metterla in contatto con il marito scomparso, riferendole in sostanza quel che la povera vedova vuole sentirsi dire. Giunto alla residenza dei Catledge fingendosi un uomo d'affari, Stanley entra subito in rotta di collisione con Sophie ma in realtà ne è colpito, sia perché lei sembra conoscere particolari della sua vita che non avrebbe dovuto sapere, ma in realtà perché il suo solo sguardo, il modo di comportarsi, di muoversi hanno smosso il ghiaccio che c'era in lui e tutte le sue certezze. Cederà completamente all'amore, pur sapendo quanto sia completamente irrazionale, proprio quando avrà la certezza che Sophie è protagonista di un'impostura, perché si renderà conto che lei è stata in grado di dargli quelle emozioni e quell'imprevedibilità che non erano mai stati nel suo orizzonte mentale e che però gli hanno dato momenti di autentica felicità e vitalità. Più volte Allen, nei suoi film, è ricorso alla magia, pur essendo senz'altro animato da scetticismo, razionalità e pessimismo, perché sa bene che senza qualcosa di imponderabile, di magico, di apertura alle emozioni, sostanzialmente senza speranza non si può vivere, specie in periodi bui. E non a caso la storia prende le mosse da un affollato teatro berlinese per trasferirsi nel Sud della Francia, con le tenebre delle dittature in arrivo sull'Europa ad oscurare gli ultimo bagliori della Belle époque. Da sogno la colonna sonora, una serie di classici del jazz dell'epoca d'oro, che da sola vale il film. Ma c'è molto altro, a cominciare dalla prestazione del cast tutto intero. Divertimento raffinato ma non pretenzioso, disincanto ammorbidito da un tocco di fantasia e di disponibilità verso il prossimo e l'ignoto: non un capolavoro, ma cosa volere di più di questi tempi?

sabato 13 dicembre 2014

Mommy

"Mommy" di Xavier Dolan. Con Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon. Francia, Canada 2014 
Ho aspettato qualche tempo dopo la visione a commentare questo film di cui si dicevano mirabilie, decandando le doti dell'enfant prodige del cinema canadese ('sti cazzi, direbbero a Roma), più precisamente quebecois e dunque francofono, non a caso Premio della Giuria  ex aequo all'ultima edizione del Festival di Cannes con "Addio al linguaggio" di quell'altro supposto genio, il paranoico solipsista Jean-Luc Godard, l'onanista più ossessivo di tutta la cinematografia transalpina: meglio lasciare decantare le prime impressioni, che erano improntate a un'irritata perplessità. Otto giorni di frollatura hanno però accentuato le venature negative, per cui mi sono fatto la convinzione che si tratti di un'orrenda cagata, velleitaria, furbetta, che gioca su una forma ammodernata, perfino provincial-punkettara, di mammismo morboso; sotto vesti apparentemente spregiudicate, pur sempre di buoni sentimenti e luoghi comuni si tratta. Il film racconta il rapporto esagerato e scarsamente credibile tra una cinquantenne squinternata, arrogante, stronza, incapace di badare a sé stessa, e il figlio adolescente che ne è il clone al maschile, ciclotimico, inaffidabile e violento, che viene scaraventato fuori da un istituto di recupero perché ne aveva incendiato la mensa, finendo per ferire gravemente un suo compagno, e riaffidato alla genitrice. Parte a un ritmo scoppiettante, e il susseguirsi di battute sboccate e situazioni paradossali quanto improbabili, con l'inserimento nella quotidianità fortemente alterata di questa coppia di dementi ipercinetici di un'altra disadattata, Kyla, la dirimpettaia, un'insegnante in aspettativa divenuta balbuziente dopo un trauma di natura sconosciuta, sfocia e degenera in un crescendo sempre più parossistico per un totale di 140 minuti, quando 75 sarebbero stati più che sufficienti. E' la lunghezza a rendere ancora più insopportabile questa pellicola in stile MTV che a rendere indigesta contribuiscono i due personaggi principali, entrambi odiosi: Steve, un ragazzino cui un paio di sberloni bene assestati nella prima gioventù non avrebbero potuto fare maggior danno di due genitori deficienti, ma soprattutto Diane, un'irresponsabile brava a fare la splendida e la bella vita coi soldi del marito genialoide quando le cose andavano bene, e ad autogiustificare sé stessa nonché il suo pargolo quando il coniuge muore, va da sé povero e senza un quattrino perché "fregato" dai soliti yankee che pensano solo agli affari, mentre loro stanno a godersene i quattrini, senza mai prendersi un minimo di responsabilità. Il regista fa anche l'originale proponendo un formato di 4:3 a schermo più che ristretto e in verticale, che costringe a una visione faticosa e concentrata su un solo personaggio per volta e per di più in primo piano, accentuando il senso di fastidio; unica scelta impeccabile, quella degli interpreti, le cui fattezze, movenze, tic e modo di esprimersi  li rendono tanto perfetti nel ruolo quanto sommamente sgradevoli. Ancora una volta, la giuria di Cannes non si è smentita. 

venerdì 12 dicembre 2014

La prima bomba non si scorda mai

Banca Nazionale dell'Agricoltura, Milano, Piazza Fontana, venerdì 12 dicembre 1969

In quel buco nero ci siamo precipitati dentro esattamente 45 anni fa cadendo sempre più giù. Altro che luce in fondo al tunnel...

mercoledì 10 dicembre 2014

Ma come si permette?


Il Paese è in disfacimento, lo Stato è presente, con i suoi sgherri nei vari rami di competenza, unicamente per proteggere chi lo ha ridotto in queste condizioni; governato da un esecutivo presieduto da uno che manco è stato eletto e che sta in piedi per una fiducia espressa da un Parlamento votato con una legge dichiarata incostituzionale; scoppia l'ennesimo bubbone putrido che svela una volta di più l'intreccio di corruttela e affari loschi di tutto il milieu politico-delinquenziale della capitale, di stampo ormai mafioso, e che vede coinvolto anche il partito di maggioranza relativa al governo nella città come a livello nazionale, e il presidente di questa repubblica di banane marce, rieletto in maniera abusiva pure lui e che da quel partito proviene, ha il coraggio di affermare che "la critica della politica e dei partiti è degenerata in anti-politica, cioè in una patologia eversiva". Cioè, gli eversivi sarebbero, per dire, quel 63% di emiliani che si è rifiutato di andare ai seggi alle ultime regionali? Quella maggioranza di italiani che si sono astenuti oppure hanno votato per chi, a suo dire, da un biennio avrebbe avviato "in Parlamento metodi e atti concreti di intimidazione fisica, di minaccia, di rifiuto di ogni regola e autorità, di tentativi sistematici e continui di stravolgimento e impedimento dell'attività legislativa delle Camere"? E' palese il riferimento al M5S, il cui unico merito da 22 mesi a questa parte è stato proprio quello di aver dato un senso al termine di opposizione parlamentare. Se persino questa è considerata eversiva da colui che dovrebbe essere il custode primo della legalità in questa nazione (e invece è il primo a tradire, nelle norme come nello spirito, la Costituzione a cui ha giurato fedeltà, tanto che è arrivato a sollecitare più volte i legislatori stessi a cambiarla) non c'è da stupirsi che la magistratura, di cui pure è capo, continui, solo per fare un esempio, ad accusare di terrorismo gli esponenti del movimento No-TAV, e di questo passo chiunque non ci stia e non si identifichi in quello scempio del concetto stesso di politica incarnato da questa genia di parassiti di cui Giorgio Napolitano è l'esemplificazione perfetta - non per niente l'hanno eletto per ben due volte al "colle più alto". Qui le affermazioni di Sua Maestà il Presidente. Attenzione: non si tratta dei  deliri di un vecchio rincoglionito ma di minacciose dichiarazioni di intenti. Questa gentaglia si sente circondata e si incarognisce sempre di più, quindi ora più che mai è tempo di stare all'erta perché diventa pericolosa, oltre che nociva.

martedì 9 dicembre 2014

Un minuto de silencio

"Un minuto de silencio" di Ferdinando Vicentini Orgnani. Italia 2014 ★★★★
Un minuto di silenzio è quello chiesto da Evo Morales in ricordo dei caduti durante i cinquecento anni di lotta di resistenza a partire dalla conquista spagnola il giorno del suo insediamento come primo presidente indigeno nella storia della Bolivia il 22 gennaio del 2006, al suo primo mandato (ora è in corso il terzo), ma è proprio la sua voce, in mezzo a quella di esponenti di governo, oppositori, collaboratori, opinionisti, gente comune quella che manca in questa interessante e coinvolgente indagine che Vicentini Orgnani fa sulla situazione nel Paese sudamericano a maggior presenza india e non a caso tra i più poveri del "Continente Desaparecido". Tanto più meritoria considerato quanto poco si sa della Bolivia, e quando se ne parla, lo si fa per lo più a vanvera o per partito preso. Primo a raccontare la sua versione dei fatti sugli ultimi vent'anni di storia boliviana l'ex presidente Gonzalo Sanchez de Losada detto "Goni", dal suo esilio a Washington, uno che i suoi spin doctor nordamericani hanno provato a far passare come progressista e amico degli indigeni e che dovette abbandonare il Paese in seguito alle sollevazioni di El Alto del 2003 che isolarono per un certo periodo la capitale La Paz. Autore di numerose privatizzazioni, specie in campo energetico, perse definitivamente il sostegno popolare quando progettò di esportare la maggior parte del gas prodotto proprio negli USA e attraverso i porti del Cile, Paese con cui esiste un contenzioso fin dal 1883, al termine della Guerra del Salnitro che tolse alla Bolivia lo sbocco al mare; gustoso l'inciso dell'intervento "a piedi uniti" in suo favore dell'allora ambasciatore USA a La Paz Manuel Rocha a pochi giorni dalle presidenziali del 2002, che ebbero l'effetto di lanciare sulla scena un allora semisconosciuto sindacalista dei cocaleros, Evo Morales, che arrivò secondo a soli 40 mila voti da Goni. Avrebbe vinto nel 2006, con l'appoggio determinante di Felipe Quispe, "El Maliku" (condor, in aymara), il vero leader indigesta, ex guerrilgliero che non esclude a priori un ritorno alla lotta armata, appartenete alla sua stessa etnia (l'altra, leggermente meno diffusa, è quella quechua) che oggi si dichiara "colpevole" delle fortune di Evo, denunciandone la sostanziale congruità al liberismo imperante e il legame con i coltivatori e trafficanti di coca di cui sarebbe un pupazzo (esempio ne è la decisione di costruire a tutti i costi una strada "della droga" attraverso il TIPNIS, un parco naturale delle "Terre Basse", nonostante l'opposizione delle popolazioni locali, che hanno il "torto" di non appartenere alle due etnie principali). Frutto di cinque anni di riprese e di un interesse che si sente sincero da parte del regista, "Un minuto de silencio" ha procurato non poche noie al regista, a cui è stato di recente anche negato il visto di ingresso in Bolivia dalle autorità locali. Un lavoro meritorio, che vale la pena di vedere se ve ne capita l'occasione. 

domenica 7 dicembre 2014

La gabbia dei sogni

Non si possono rinchiudere i sogni. La gabbia si torce e si apre alla poetica della creatività, si dilata e si modifica al sogno di libertà. L'acciaio potente del fabbro non può nulla al trasporto della poesia, che muta la sostanza del suo intimo deformando le sbarre in rami e la gabbia in albero, puntando verso l'alto, verso il cielo, la luce e la libertà, per uscire dalle anguste mura e mostrarsi all'esterno, fuori, quasi come un ciliegio vissuto nel ricordo. 
Guerrino Dirindin




Con l’opera La gabbia dei sogni, progettata per la corte delle antiche carceri austriache, Guerrino Dirindin si è aggiudicato l’edizione 2013 del premio In Sesto, organizzato dal Comune di San Vito al Tagliamento nell’ambito di Palinsesti.
Da una gabbia metallica, simbolo di prigionia, si sviluppa un albero i cui rami, allusivi alla libertà, oltrepassano le mura di recinzione e salgono verso il cielo.
Oltre che sull’antinomia reclusione/libertà, le opere esposte insistono sul tema della terra e del solco, offrendo una significativa panoramica della produzione più recente dell’artista pordenonese.

7 dicembre 2014-18 gennaio 2015, Pordenone, Casa Furlan, Via Mazzini 53


venerdì 5 dicembre 2014

Viviane

"Viviane" (Gett: Le procès de Viviane Amsalem) di Ronit e Shlomi Elkabetz. Con Ronit Elkabetz, Menashe Noy, Simon Abkarian, Sasson Gabai, Eli Gornstein, Rami Danon, Robert Polak. Israele, Francia, Germania 2014 ★★★½
Film che si svolge per intero all'interno dell'aula di un tribunale rabbinico in cui si discute del divorzio chiesto da una donna, Viviane Ashalem, madre di quattro figli, che da tre anni ha abbandonato il tetto coniugale per incompatibilità col marito rifugiandosi dalla sorella, è molto interessante e istruttivo sotto due aspetti: racconta molto della realtà israeliana e di alcuni meccanismi universali delle relazioni di coppia e ricorda, sotto entrambi gli aspetti, il bellissimo "Una separazione", dell'iraniano Asghar Farhadi. Confermando che Israele e Iran hanno molti più aspetti in comune di quello che si possa pensare, e il fatto che si rispecchino l'uno nei difetti dell'altro è probabilmente il motivo per cui si detestano così radicalmente: lo Stato ebraico, tanto decantatato per la sua supposta laicità, il rispetto dei diritti umani e l'uguaglianza tra i sessi (in realtà soltanto nell'esercito) e per il fatto di essere l'unica nazione democratica del Medio Oriente, come se le elezioni, che dalla rivoluzione khomeinista del 1979 anche in Iran si tengono regolarmente, bastassero a qualificarlo come tale, è in sostanza una teocrazia né più e né meno del suo acerrimo nemico, con in più dei connotati razzisti sconosciuti agli sciiti persiani. Come svela il film, in Israele non esiste matrimonio se non religioso e dunque il divorzio può concederlo esclusivamente un tribunale rabbinico, ed è sufficiente che il marito di Viviane non si presenti reiteratamente alle udienze, insista nel non cedere, invocando l'unità e la salvaguardia della famiglia nonché principi superiori, o si affidi alle testimonianze stravaganti di partenti e amici e ai cavilli cervellotici del suo difensore (il fratello, a sua volta studioso della Torah) per tirare la causa all'infinito, fornendo così ai rabbini il pretesto per procrastinare all'infinito la decisione, tant'è vero che a cinque anni dall'inizio della sacrosanta causa i due coniugi sono ancora lì, affrontandosi finalmente di persona nella scena finale. La vicenda è narrata in forma di dramma legale, in cui non mancano momenti ironici, grotteschi e perfino esilaranti, e tra gli interpreti, tutti bravissimi ed estremamente verosimili, spicca l'intensa ed espressiva Ronit Elkabetz, regista assieme al fratello Shlomo, che dà vita a un personaggio, Viviane, ricco di sfaccettature, una donna semplice, integerrima, intelligente, conscia di essere ingabbiata in un sistema religioso-sociale pieno di pregiudizi e che nega la libertà individuale e la parità all'interno della coppia, la quale persegue con determinazione l'affermazione della propria dignità.

mercoledì 3 dicembre 2014

martedì 2 dicembre 2014

Qui

"Qui" di Daniele Gaglianone. Con Gabriella Tittonel, Aurelio Loprevite, Nilo Durbiano, Cinzia Dalle Pezze, Alessandro Lupi, Guido Fissore, Marisa Meyer, Paola Jacob, Luca e Francesco Perino. Italia ★★★★
Come già per "Let's Go", elenco "in ordine di apparizione" i dieci valsusini che raccontano con le loro parole, di un'inequivocabile chiarezza e invidiabile pacatezza di toni, i motivi del loro impegno nella lotta ormai ventennale contro il TAV, la loro versione sui gravi incidenti accaduti nella Valle, specialmente tra il 2011 e il 2012, e le ragioni per cui è doverosa la resistenza contro uno Stato che non ascolta i propri cittadini e risponde soltanto a logiche sue proprie o esterne, aliene da qualsiasi cosa abbia a che fare con la rappresentanza. Uno Stato che procede all'occupazione in piena regola di un territorio allo scopo dichiarato di stravolgerne l'aspetto e la realtà, militarizzandolo e usando in maniera surrettizia il proprio concetto di "legalità" per annientare ogni opposizione imputandole una violenza che non è nulla rispetto a quella che esso stesso esercita attraverso i propri organi giudiziari per coprire, invece, illegalità ben più grandi che sono la causa prima della ribellione della popolazione locale. Sono storie esemplari di una lotta esemplare, in nome del rispetto della propria dignità, che si svolge QUI, in Valsusa, ma le cui ragioni sono valide ovunque così come la sua necessità, contro un Golem che mette uno contro l'altro i propri cittadini (alla fine, che si tratti dello Stato nazionale, della UE oppure di un'altra entità ancora superiore o anche metafisica il risultato è il medesimo) per procedere con i propri progetti insensati e inumani, la cui illegittimità e violenza insita è tale da fare reagire e lottare contro di essi non tanto degli anarchici o ribelli che queste cose già le sanno, ma pure dei cittadini osservanti della legge, sinceramente democratici, magari timorati di dio e financo ex appartenenti alle forze dell'ordine. Merito di Guaglianone, ottimo e attento autore di documentari ma anche del bel lungometraggio Ruggine del 2011, fa un film "partigiano" pur non prendendo personalmente posizione per cercare di convincere qualcuno, dando la parola a coloro a cui è stata sempre negata, tanto dallo Stato e dai suoi rappresentanti, politici o in divisa, quanto dai mezzi di comunicazione di massa, contro la cui condotta vergognosamente manipolatoria e asservita la denuncia risulta particolarmente potente e centrata. Presentato giovedì scorso al benemerito Torno Film Festiva, vetrina per la migliore produzione indipendente, e in contemporanea a Roma, Qui sarà in questi giorni a Milano e poi in giro nella Penisola: consiglio caldamente di andare a vederlo.