giovedì 30 ottobre 2014

Il vizio dell'arte

La scena de "Il vizio dell'arte" prima dell'entrata in...scena
"Il vizio dell'arte" di Alan Bennett. Traduzione di Ferdinando Bruni, regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli, Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocaña, Michele Radice, Vincenzo Zampa, Matteo de Mojana (musiche dal vivo). Luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli. Produzione Teatro dell'Elfo. Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 16 novembre.
A conferma di quanto la nuova drammaturgia inglese, e quella di Alan Bennett in particolare, sia congeniale alle caratteristiche degli "Elfi", la compagnia milanese, dopo "The History Boys", rappresentato in giro per l'Italia con grande successo di pubblico e critica negli ultimi anni, ha deciso di iniziare la nuova stagione con "Il vizio dell'arte", scritto nel 2009 e andato in scena lo stesso anno al National Theatre di Londra. Una commedia-nella-commedia che racconta dell'incontro, mai verificatosi nella realtà, tra il poeta W.H. Auden e il musicista E.B. Britten nel 1973 a Oxford, e che si immagina invece avvenire al National Theatre di Londra da parte dei personaggi che li interpretano durante le prove de "Il giorno del Calibrano", basato sulla dettagliate biografie che Humphrey Carpenter scrisse sui due artisti britannici, entrambi omosessuali benché non dichiarati. Nella versione italiana i due sono rispettivamente uno scoppiettante Bruni/Auden, irriverente, arguto, immediato, e un più intimista e riflessivo De Capitani/Bennett, che si immagina in visita ad Auden per chiedergli consiglio su come impostare "La morte a Venezia" senza che traspaia la passione del vecchio professore per un adolescente. Auden, che ha perso ormai la memoria ed è convinto che Bennett gli stia chiedendo di scrivere il libretto, è del parere che l'arte debba rappresentare le emozioni umane, senza nascondersi, e dunque è propenso a rappresentare Tadzio per quello che è, un undicenne, mentre Bennet lo vede almeno sedicenne, e quindi filtra l'attrazione estetica e sessuale attraverso il filtro della razionalità, della convenienza e della "decenza". Due modi diversi di concepire l'ispirazione, ma uguale il "vizio", ma sarebbe più esatto dire l'attitudine, quasi maniacale e congenita, all'arte. Ma si tratta appunto di prove, durante le quali i due personaggi interloquiscono con gli altri attori, tra cui un un "marchettaro", un dottorando che intervista Auden e viene scambiato dal poeta per un prostituto, nonché il "futuro" biografo Carpenter; col regista dello spettacolo immaginario; con l'autore; riprendendolo e contestandogli e talvolta tagliandogli le battute; con gli altri operatori a cominciare dalla assistente regista, un'efficacissima Ida Marinelli, magistrale nel monologo in cui confessa le sue frustrazioni da attrice mancata. Teatro nel teatro, insomma, reso in maniera estremamente efficace già da una scenografia che si allarga oltre il palcoscenico e accoglie lo spettatore nella Sala Shakespeare: le prime tre file sgomberate dal pubblico e occupate dalla regia (vera), dai tecnici (veri) e da quelli finti (gli attori (veri) che osservano i "colleghi" durante le prove interagendo con essi. Il palcoscenico è completamente aperto, non vi sono quinte, la "macchina teatro" è svelata dal proprio interno come anche le relazioni, le gelosie, le fisime, le bizze, le fissazioni che scattano tra chi lo fa. Per creare un hellzapoppin' di questo genere, carico di umorismo sferzante, energia, acutezza, cultura, occorrono una regia di grande ritmo e perfettamente padrona di tutti i meccanismi, appunto, del teatro, come quella di Bruni e Frongia, e degli interpreti perfetti come quelli visti all'opera, a cominciare dai tre del nucleo storico degli "Elfi": Ferdinando Bruni, Elio De Capitani e Ida Marinelli. Gli altri componenti della benemerita compagnia stanno preparandosi per i prossimi spettacoli previsti dal ricco programma stagionale e scalpitano per fare la loro parte.

martedì 28 ottobre 2014

Perez

"Perez" di Edoardo De Angelis. Con Luca Zingaretti, Marco D'Amore, Simona Tabasco, Gianpaolo Fabrizio, Massimilano Gallo. Italia 2014 ★★★¾
Dopo "Anime nere", un altro noir di produzione nazionale che non è soltanto un film sulle mafie nostrane nella loro forma moderna (lì era la 'Ndrangheta calabrese, qui la Camorra campana) ma anche, se non soprattutto, sugli spettri che si agitano nel fondo dall'animo dei personaggi coinvolti. Lì c'era a che fare con l'impossibilità di uscire dalla logica brutale della faida, nemmeno da parte delle giovani generazioni emigrate al Nord o persino all'estero, qui con la paura che attanaglia tutti coloro che sono coinvolti in una vicenda segnata dalla camorra anche contro la loro volontà. E' i caso di Demetrio Perez, avviato a una brillante carriera ma ridottosi, dopo il divorzio dalla moglie, a essere l'avvocato d'ufficio dei reietti, dei disperati, dei falliti, come del resto si sente lui. Unico faro della sua esistenza, la figlia Tea, che però si è invaghita di un giovane camorrista, Francesco Corvino. Lo sa bene Luca Buglione, capo di un clan avverso, che per evitare di essere assassinato decide di collaborare con la giustizia avvalendosi dell'assistenza legale di Perez, ma che in realtà lo vuole coinvolgere nel recupero di un ingente quantitativo di diamanti nascosti nello stomaco di un toro in un allevamento di Villa Literno, e in cambio gli offre la possibilità di eliminare dal suo orizzonte il fidanzato della figlia, a sua volta timorosa di perdere il bel camorrista, che pure lui è in fuga dalla polizia ormai sulla sue tracce: ognuno è dominato dalla paura di un qualcosa, anche Merolla, collega nonché unico amico di Perez, che non riesce più ad affrontare l'esistenza da quando è morto suo figlio, ucciso da una pallottola vagante; ma il meccanismo, una volta innescato, procede inesorabile fino a una sorta di riscatto da parte di Perez, un uomo buono, gentile e timido, diventato insicuro dopo una serie di batoste che lo hanno man mano annichilito, costretto dalle cose a mostrare, contro la sua volontà. un volto che non sapeva di avere. La vicenda viene raccontata in modo credibile e lineare grazie a una sceneggiatura precisa e solida; inoltre il film si avvale di una fotografia che mostra il lato più inquietante di una Napoli fredda, inconsueta e pochissimo frequentata dal cinema, quella del Centro Direzionale a Nord della città, progettata dall'architetto giapponese Kenzo Tange, e dell'ottima prestazione degli attori, a cominciare da Nicola Zingaretti, che si conferma interprete validissimo e versatile anche fuori dal piccolo schermo. Strano che un film prodotto e distribuito dalla onnipotente Medusa che fa capo al Gruppo Fininvest non abbia avuto la diffusione nelle sale che avrebbe ampiamente meritato: forse perché parla (anche) della pervasività della Camorra (di cui il titolare della Medusa ha fatto esperienza) e perché esce dal formato del serial televisivo?

domenica 26 ottobre 2014

Il ridicolo gioco delle parti tra la Leopolda e la Susanna


A riprova della mancanza di credibilità della Grande CGIL quando si erge a paladina dei "lavoratori" (ossia i propri iscritti, di cui più della metà sono pensionati) e unico argine alle politiche dell'attuale governo, di cui quello che è da sempre il suo partito di riferimento è l'azionista di maggioranza, e il suo segretario, con cui pure il "compagno" Landini flirtava fino all'altro ieri, il capo, il luogo in cui, ancora una volta, ripetendo ossessivamente un rituale, ha organizzato la sua "adunata oceanica". Immaginatevi se invece di Roma, come meta per il milione di persone (numero peraltro mai verificato né verificabile seriamente, ma ormai questa cifra totemica fa parte della rappresentazione del mito) fosse stata scelta Firenze e proprio in coincidenza con l'altra buffonata della "Leopolda", organizzata dalla nouvelle vague che ha preso sopravvento nel PD. Renzi, il suo stato maggiore e le new entry erano lì, e non a Roma, a straparlare di jobs act e delle altre mirabolanti iniziative per fottere sia chi lavora per davvero sia chi un lavoro se lo sogna, per non parlare dell'impatto fisico di una massa simile su una città che ha un decimo degli abitanti e dell'estensione della capitale: avrebbe potuto letteralmente circondarli, stringerli d'assedio, farsi sentire nello stretto senso del termine. Forse perfino a me, che pure auspico la morte del sindacato italiano nella sua versione sia una sia trina così come del PD, sarebbe venuto un dubbio e avrei concesso un minimo di credito alla serietà della manifestazione e delle intenzioni di chi l'ha promossa. E invece si è trattato della solita scampagnata del fine settimana in riva al Tevere di dirigenti, funzionari e iscritti più fedeli, e dunque per l'appunto ex lavoratori in quiescenza, seguiti da pubblici dipendenti, più chi, per stanca abitudine, scoraggiamento o scarsa comprensione di chi siano i propri leader, e a quale gioco stiano giocando, segue a ruota o esegue gli ordini. Niente di nuovo sotto il sole ottobrino di Roma, e niente di nuovo nelle beghe interne del PD di cui la CGIL, già cinghia di trasmissione dell'ex PCI-PDS-PD e ora orfana del ruolo, è parte in commedia. Non rimane che prenderne atto, smascherarli, trarne le dovute conseguenze e prendere le opportune difese.

giovedì 23 ottobre 2014

TTIP: la vera priorità del Selfie Made Man


E' risaputo che gli italiani, o almeno quella parte di essi che ha una qualche rilevanza nella vita politica, si bevono tutte le mirabolanti promesse che propina loro l'Uomo della Provvidenza a cui di volta in volta, invariabilmente, affidano il loro destino. Per quella minoranza che non cade in questo riflesso condizionato, Giuseppe Prezzolini aveva coniato, in una lettera a Piero Gobetti del settembre 1922, il termine di "apoti". Chissà se dopo la visione dell'ultima puntata di Report in onda su RAITRE nella serata di domenica scorsa e relativa agli effetti sulle regole alimentari del TTIP (il trattato di libero scambio tra UE e USA in discussione il più possibile lontano dai riflettori e all'insaputa dei più e sulla cui firma premono multinazionali e mondo finanziario) gli stessi, incantati dal dinamismo parolaio dell'attuale premier, saranno altrettanto disposti a ingurgitare le porcherie che si ritroveranno sulla tavola, e non solo, se quel famigerato accordo andasse davvero in porto. Proprio in occasione di una giornata ufficiale "di dialogo" sul trattato, organizzata il 14 scorso a Roma dal sottosegretario allo Sviluppo Economico Carlo Calende nel bel mezzo di una settimana di mobilitazioni contro il TTIP a livello europeo, passate invece pressoché sotto silenzio-stampa, l'ipercinetico bellimbusto che siede a Palazzo Chigi non ha mancato di cogliere l'occasione per ribadire che il trattato ha "l'appoggio incondizionato del governo italiano", il quale si attende un "salto di qualità e uno scatto in avanti" nelle trattative, augurandosi che si chiudano entro la fine del prossimo anno perché, parola di Renzie, "non è un semplice accordo commerciale come gli altri, ma è una scelta strategica e culturale per l'UE", e questa volta c'è da credergli sulla parola : significherebbe la definitiva americanizzazione di quel che rimane dell'Europa (e non mi riferisco certo al suo baraccone istituzionale, che ne è la gabbia) e il suo asservimento al mercatismo globalizzato. Sono queste le vere priorità del governo: gli 80 €, il bonus bebè, le unioni di fatto, i diritti dei gay e le altre fandonie propalate in un interminabile e scientifico imbesuimento mediatico sono cortine fumogene o meglio beveroni allucinogeni e narcotizzanti propinati a chi è disposto a tracannarsi qualsiasi cosa. A cominciare dal Selfie Made Man e dalla sua corte di ribolliti.

lunedì 20 ottobre 2014

El Estudiante

"El Estudiante" di Santiago Mitre. Con Esteban Lamothe, Romina Paula, Valeria Correa, Ricardo Felix e altri. Argentina, 2011 ★★★★½
Notevole l'esordio di questo giovane regista argentino più che promettente, il quale ha girato un lungometraggio tutto in digitale e con scarsissimi mezzi, che racconta la formazione, a partire dalle aule universitarie, di un perfetto politico di professione dell'ultima (de)generazione, assolutamente congruo ai vecchi volponi di quella che l'ha preceduta e ancora non mollano il colpo. Benché le intenzioni di Mitre fossero quelle di raccontare attraverso il mircrocosmo universitario la situazione argentina  (estremamente complessa anche per chi come me conosce relativamente bene le dinamiche della politica di quel Paese) e di indagare cosa spinga i ragazzi alla "militanza", il film assume un significato che dal particolare si allarga all'universale, e il non sapersi districare tra le varie sigle e correnti che si agitano nelle fatiscenti strutture della facoltà di scienze sociali della UBA, l'università pubblica (e pressoché gratuita, per ora) della Capitale Federale, non ha alcuna rilevanza (di più è ricordare che all'interno del peronismo, al potere anche oggi e probabilmente per sempre, c'è tutto e il suo contrario: la correnti della DC erano uno scherzo al confronto). La telecamera a mano segue Roque (Esteban Lamothe, estremamente duttile ed espressivo), un ragazzo arrivato a Buenos Aires da Ameghino, cittadina agreste sperduta nella pampa, nelle sue peregrinazioni tra aule e corridoi della nuova facoltà (la sensazione è quella di essere stati catapultati in un'università italiana nei primi anni Settanta: cambia, parzialmente, la lingua, originale nella pellicola e molto ben sottotitolata) e al terzo tentativo di dare inizio alla sua carriera universitaria. Non avendo in realtà alcuna vocazione, e tantomeno una qualche coscienza politica, in realtà va alla ricerca di nuove conoscenze, ragazze con cui trascorrere una notte e magari lo ospitino gratuitamente in una dépéndance della casa dei genitori, come Valeria, finché lui non si invaghisce della ventinovenne Paula, assistente del carismatico professor Acevedo, già politico di lungo corso (e pelo sullo stomaco) con cui in passato aveva avuto una relazione: sarà lei a introdurlo nel mondo della politica, a cui Roque aderirà non per un'improvvisa folgorazione ideologica né per mero interesse ma perché svelando il suo autentico talento, che è quello di organizzare, avere conoscenze, farsi amici tutti, conoscerne inclinazione e debolezze, intrallazzare, essere adattabile e sveglio e immune alle delusioni, trova alla fine la sua strada. Diventa così il galoppino di Acevedo, disposto ad assumersi delle colpe non propriamente sue per favorirne l'ascesa al rettorato: alla fine dell'apprendistato sarà addestrato per essere un efficientissimo funzionario politico, ma saprà anche dire di no al suo pigmalione perché al contempo sinceramente legato a Paula (la bravissima Romina Paula, ottima scrittrice, pubblicata anche in Italia: "Agosto" / La Nuova Frontiera, oltre che drammaturga e attrice), che a differenza sua ha un'etica e una formazione politica seria. Ma lei non "fa politica", fa battaglie e insegna idee politiche; lui, la sua vera formazione professionale l'ha già fatta (con tanto di tirocinio pratico), e una volta preso il pezzo di carta, saprà farlo fruttare all'interno del meccanismo micidiale del baraccone che fa da contorno al potere. "El Estudiante", pluripremiato sia in patria sia all'estero (due anni fa vinse il Gran Premio della Giuria al festival di Locarno) è uscito nelle sale italiane all'inizio del mese ma ha avuto, purtroppo, una diffusione molto limitata. Un peccato perché merita ed è estremamente istruttivo. 

venerdì 17 ottobre 2014

Le camicie bianche di Renzi: svelato il segreto!


Quello che l'informazione non vi dice: il presidente del Consiglio indossa esclusivamente camicie immacolate, con maniche arrotolate o anche a mezz'asta, e si toglie la giacca, quando è scura, alla prima occasione anche in gennaio per nascondere la forfora, da cui è afflitto dalla prima adolescenza, fase dell'esistenza in cui è cristallizzato vita natural durante, così come dalla logorrea e dall'ipercinetismo. Nonostante l'utilizzo metodico e massiccio di shampoo specifici e lozioni topiche il poveretto non è mai riuscito a venire a capo - è il caso di dirlo - dello sgradevole inconveniente, particolarmente imbarazzante per un personaggio spigliato, dinamico e socievole come lui, sempre al centro dell'attenzione e spesso sotto l'occhio impietoso delle telecamere: non c'è calza sull'obiettivo che tenga, poiché le disgustose scagliette si noterebbero immediatamente se solo indossasse una giacca scura o una camicia color blu cobalto, quello che Matteo predilige. Anzi: la loro produzione è cresciuta a dismisura da quando nel febbraio scorso ha assunto il gravoso incarico di governare il Paese. Altro che look informale, cool, trendy: si fa di necessità virtù. Si cambia il colore dello sfondo e l'elemento fastidioso sparisce. Vi ricorda qualcosa?

mercoledì 15 ottobre 2014

RefeRenzum fufferendum


Il M5S e Beppe Grillo che ne è il profeta, o quanto meno il referente principale, indicano giustamente nei protagonisti del circo mediatico i responsabili della disinformazione, della manipolazione della realtà e del rimbecillimento di chi si abbevera alle sue fonti, nonché i complici, perfetti e necessari, dei pagliacci che per benevola concessione e per conto delle Istanze Superiori, in primis il governo dell'UE, esercitano il potere in questo Paese. Non capisco dunque il perché del lancio della campagna, altrettanto mediatica e basata sul nulla come quelle condotte dal DeFirenzie sull'articolo, 18, il Jobs Act, il TFR in busta paga, gli ottanta euro, le riforme, la "spending" (come la chiama confidenzialmente il fanfarone in camicia bianca), sul referendum per l'uscita dalla moneta unica, come momento culminante di un altro evento, volutamente mediatico anch'esso, e costruito accuratamente in tale senso, come il raduno pentastellato tenutosi durante lo scorso fine settimana a Roma al Circo Massimo. Evento che poi, sfiga vuole, si è celebrato in contemporanea all'alluvione che ha colpito ancora una volta Genova, cosa che ha consentito a Vittorio Zucconi, una delle firme di punta di Repubblica, organo ufficiale dell'attuale governo napolitanesco, di affidare a Twitter un messaggio provocatorio che ha mandato in bestia Grillo e i suoi: «Per l’alluvione di Firenze, migliaia di giovani andarono ad aiutare. Per l'alluvione di Genova, migliaia di giovani vanno al Circo Massimo»: il che testimonia il malinconico tramonto di un giornalista che fu brillante ma che, da quando è apparso sull'orizzonte parlamentare il M5S, sembra esserne così ossessionato da essere diventato monomaniaco, appiattendo la radio che dirige, Capital, su posizioni se possibile ancora più renzusconiane dei vari supporti cartacei del gruppo De Benedetti. Tant'è: il referendum sull'euro è tutto fumo, una campagna fondata sull'annuncio. Che la costituzione non ammetta referendum abrogativi su materie inerenti a trattati internazionali (nonché in materia tributaria) lo sa Grillo per primo, tant'è vero che nel suo blog parla espressamente di referendum consultivo, da indire con legge costituzionale ad hoc (c'è il precedente del 1989, e proprio a proposito di un argomento "europeo") su "spinta" di una legge di iniziativa popolare in tal senso, sostenuta questa volta in aula dai gruppi parlamentari del M5S. A differenza di quel che accadde sette anni fa in occasione del "V-Day" con la raccolta di qualcosa come 336.144 firme (ne sarebbero bastate 50 mila, ma è come se fossero finite nel cesso) in calce alla legge di iniziativa popolare riguardante "i criteri di candidabilità ed eleggibilità dei parlamentari, i casi di revoca e decadenza dei medesimi e la modifica della legge elettorale". Una legge peraltro ordinaria, mai discussa dal Parlamento di allora; figurarsi la fine che farebbe una proposta di legge costituzionale, da approvare con una maggioranza qualificata, con un Parlamento come l'attuale, che è stato capace di rieleggere Napolitano e sembra in grado di demolire pure la Costituzione vigente. E allora di cosa si tratta se non di un altro colpo di teatro, che dà tanto l'impressione di rientrare nel solito gioco delle parti? Tanto più che nel frattempo da Strasburgo, su fronte del Parlamento europeo, gli eletti del M5S non sembrano aver preso iniziative mirabolanti. Mettere all'ordine del giorno un referendum di quel tipo, è farlo sul terreno della chiacchiera, quello più congeniale al fiorentino logorroico, che in più avrà a disposizione l'eterno argomento del dogma europeista (una variante del TINA: There Is No Alternative) per non parlare di giudici costituzionali addomesticati a dovere, pronti a mettere i bastoni tra le ruote di qualsiasi richiesta: ha molto più senso continuare ad incalzarlo su tutto il resto, e cercare magari di vincere qualche battaglia parlamentare. Marine le Pen sull'argomento è stata chiara: "se il Front National vincerà le prossime elezioni, il mio governo uscirà dall'euro". Una dichiarazione in questo senso da parte di Grillo sarebbe stata più coerente con le premesse che dice di avere, così come avrebbe avuto senso una battaglia in direzione dello sciopero o quantomeno obiezione fiscale laddove si presenti l'opportunità, e la scadenza della TASI proprio domani sarebbe stata un'occasione perfetta. Ma questo significherebbe fare sul serio e colpire il governo laddove fa veramente male, e non si da, perché questa è pur sempre la Terra dei Cachi...

lunedì 13 ottobre 2014

I due volti del gennaio

"I due volti del gennaio" (The Two Faces of January) di Hossein Amini. Con Viggo Mortensen, Kirsten Dunst, Oscar Isaac, Daisy Bevan, Dabid Warschofski, Nikos Mavrakis e altri. GB, USA, Francia 2014 ★★½
Sembra un noir d'epoca, questo film tratto da un romanzo di Patricia Highsmith, di cui non si capisce il senso del titolo, girato com'è tra Atene, Creta e Istanbul (dove a gennaio si gela e spesso c'è la neve) sotto il cocente sole estivo, che sembra prodotto, oltre che ambientato (in maniera assai credibile, e questo è uno degli aspetti positivi della pellicola), agli inizi degli anni Sessanta, e che vede in azione un duo di attori pessimi accomunati dall'espressione stolida (già visti all'opera insieme abbastanza di recente nel dimenticabile On the Road) e dalla faccia da cazzo, Viggo Mortensen e Kirsten Dunst, che interpretano una coppia di turisti americani e un terzo, senza grande talento ma che rispetto ai primi due giganteggia, che ha la parte di un giovane connazionale espatriato che vive in Grecia facendo la guida e, nel caso, la cresta sugli acquisti fatti per conto dei clienti dopo averli affascinati col suo savoir faire. Succede anche ai due di passaggio ad Atene, Chester e la più giovane Colette, con cui intreccia un rapporto ambiguo: con lei, perché ne viene attratto, ma anche da lui che, dopo essersi fatto passare per ricco finanziere e uomo di mondo, è in realtà un truffatore che si trova scoperto da un investigatore privato sulle sue tracce. Questo viene ucciso da Chester, e ad aiutarlo nella fuga è proprio Rydal, la giovane guida, che scorta la coppia a Creta in attesa di procura loro una nuova identità coni relativo passaporto. Da qui in poi un susseguirsi di colpi di scena in un'atmosfera sempre più torbida, che ha un suo perché, tutto sommato, e che è non è il caso di svelare. Per la mia soddisfazione, sia Colette-Duns sia, soprattutto Chester-Motensen fanno, almeno nel film, le fine che si meritano e si tira fuori dalle pesti il giovane Rydal-Isaac. Per chi non ha niente di meglio da vedere, si può fare...

domenica 12 ottobre 2014

Class Enemy

"Class Enemy" (Razredni sovražnik) di Rok Biček. Con Igor Samobor, Nataša Barbara Gračner, Tiaša Zeleznik, Vorank Bohj, Daša Cupevski, Doroteja Nadrah, Pia Korbar, Špela Novak. Slovenia 2013 ★★★★
Se il buongiorno si vede dal mattino, lunga e ricca di successo e soddisfazioni sarà la carriera di Rok Biček, ventinovenne regista sloveno, all'esordio nel lungometraggio con questo film che non è nuovo nella tematica, la scuola, e che racconta con la tensione di un noir i meccanismi che si scatenano all'interno di una singola classe di un liceo umanistico dopo l'arrivo del nuovo professore di lingua e letteratura tedesca, venuto a sostituire, anche come coordinatore della classe, la docente titolare in congedo di maternità. Abituati alla cedevole inconsistenza di quest'ultima, più sorella maggiore e amica che docente anche per nascondere le sue probabili deficienze culturali, e pertanto poco credibile come insegnante, si ritrovano di fronte a un uomo colto, preparato, severo ma giusto, serio, che dopo l'apparentemente inspiegabile suicidio di un'allieva palesemente infelice viene individuato come capo espiatorio e accusato da quasi tutta la classe di essere un nazista e di avere provocato, coi suoi comportamenti e osservazioni, la tragica decisione della ragazza. Le cose non stanno evidentemente così, e non tutto è così bianco o nero come credono i ragazzi e come è tipico dell'adolescenza, e pian piano se ne rendono conto anche loro, o almeno alcuni di essi, ignari del fatto che il nuovo professore, in confronto agli altri colleghi e soprattutto con la preside, non solo li capisce ma arriva a difenderli. E' sempre interessante vedere come una nuova generazione di autori, cinematografici, teatrali, scrittori raccontano le dinamiche che hanno vissuto a scuola (vi sono aspetti autobiografici nella pellicola) perché questo ambito è un sismografo infallibile di quel che accade nella società, e pur non essendo, evidentemente, la scuola slovena divelta e ridotta al lumicino come quella italiana, comuni sono la spaccatura del Paese in due (che risale ancora alle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale) nonché i danni irreparabili causati dall'inadeguatezza e dalla mollezza degli insegnanti, alla loro compiacenza nei confronti degli allievi, cui anelano di somigliare per conquistarne la benevolenza e l'affetto, per non parlare della invadenza e deleteria presenza dei genitori nel mondo scolastico. Il risultato sono lo scadimento qualitativo dell'insegnamento e culturale, la totale confusione di ruoli, la mancanza di modelli, fossero anche apparentemente negativi, contro cui è giusto e doveroso che i ragazzi si scontrino perché ciò fa parte della crescita, la loro deresponsabilizzazione: alla fine è questa la vera mancanza di rispetto da parte di tanti, troppi insegnanti delle scuole medie e superiori, il cui ruolo è decisivo nella formazione degli allievi: da questo punto di vista il professori universitari che verranno in seguito non conteranno pressoché nulla. Il film tutto questo lo spiega molto bene, con una sceneggiatura efficace, una bella fotografia, un'ambientazione tutta in interni, una validissima interpretazione da parte di tutto il cast, con una tensione che non cala mai, degna di un buon noir. Complimenti e alla prossima!

venerdì 10 ottobre 2014

E non c'è niente da pentirsi...


Grande scandalo, alti lai, polemiche a non finire da parte di ben noti sepolcri imbiancati per il tweet con cui ieri Sabina Guzzanti esprimeva polemicamente "Solidarietà a Riina e Bagarella privati di un loro diritto (si riferisce al divieto di partecipare, seppure in video, all'audizione del Capo dello Stato del 28 ottobre nel processo Stato-Mafia che li vede imputati). I traditori nelle istituzioni ci fanno più schifo dei mafiosi". Letto, apprezzato e sottoscritto. Dopo sette ore di bufera mediatica, secondo tweet, in cui l'attrice e regista si corregge e giustamente precisa: "Sono pentita: ogni tanto mi dimentico di vivere in un paese di ipocriti collusi e parlo come se mi rivolgessi a persone libere". Non ho alcun bisogno di andare a vedere "La trattativa", l'ultimo film della Guzzanti, che pure mi sta cordialmente sui coglioni, per solidarizzare con lei e per rivendicare la mia di libertà, di opinione, di trovare personaggi come Napolitano, Berlusconi, Dell'Utri, il fu Andreotti, solo per fare degli esempi, molto, ma molto più ripugnanti dei due mafiosi conclamati di cui sopra. Senza nemmeno il bisogno di avere alcuna prova di una loro collusione e di un tradimento. 

martedì 7 ottobre 2014

Vieni avanti, piddino

Un'intensa espressione di Roberto Speranza, capogruppo PD alla Camera
(Foto LombrosianAtelier)
Sentita poco fa in bocca a Roberto Speranza, capogruppo del PD alla Camera dei deputati, che in un'intervista a SkyTg24 si dice disposto ad accogliere, nella discussione sul Jobs Act (ossia la serie di norme messe in cantiere da Renzie e dalla sua squadra di cerebrolesi nonché tirapiedi per compiacere la Troika e la signora Merkel) "gli emendamenti volti ad evitare di abusare eccessivamente del sistema dei voucher" (ossia la soluzione finale per fottere una volta per tutte i lavoratori). Vada dunque per l'abuso moderato, previsto e regolato per legge, per fornire alla cosiddetta minoranza interna del PD la scusa per votare a favore dell'intera "riforma". Un po' come la famosa ragazza incinta, ma solo un po'.

lunedì 6 ottobre 2014

Frances Ha

"Frances Ha" di Noah Baumbach. Con Greta Gerwig, Mickey Sumner, Adam Driver, Michael Zegen, Patrick Heusinger, Charlotte D'Ambroise, Teddy Cañez e altri. USA 2012 ★★★★
Il film, giunto con un certo ritardo qui alla periferia dell'Impero, è la classica commediola newyorkese già vista e rivista nei film di Woody Allen e dei suoi emuli: il ritratto divertente, garbato, brioso di Frances, un'eterna ragazza di 27 anni, ballerina brava e coscienziosa ma di non eccelso talento, semplice, piena di sogni e di vita, che condivide l'appartamento con la sua migliore amica, Sophie, che è il suo esatto contrario, ossia precisa, ordinata, efficiente. Potrebbe essere una rodata coppia di lesbiche che non fanno più sesso: tanto basta a Frances, finché Sophie non si innamora di Patch e non va a condividere un nuovo appartamento con lui nel centro di Manhattan fino a trasferirsi a Tokio, dove lui è mandato a fare l'analista finanziario. Da lì in poi è un turbinio di nuove condivisioni di appartamenti, tra delusioni professionali e sentimentali, malinconia per l'assenza dell'amica, feste, cene, un improbabile fine settimana da sola a Parigi, le vacanze di Natale a casa dei genitori a Sacramento, in California (peraltro vero luogo di nascita della straordinaria protagonista, Greta Gerig, che ha scritto la sceneggiatura assieme al regista). Nonostante sia una pasticciona, una Peter Pan in gonnella, alla fine tutto quanto si sistema e Frances trova la sua dimensione, un appartamento per conto suo e un suo equilibrio, per quanto precario. Nulla di che, insomma, e la pellicola ha non pochi aspetti irritanti però anche istruttivi: si parla di giovani bohémien sui generis, poveri sì ma col culo ben coperto, e pressoché tutti ossessionati dal successo: sono senza eccezioni professionisti o artisti, il loro è un mondo che da Manhattan al più si estende a Broccolino (diventato di moda negli ultimi anni tra i fan della "Grande Mela"), dove un trilocale non si trova a meno di 4000 dollari al mese, il milieu è quello dell'intellettualità liberal, ad alto tasso di ebraicità, non esiste un nero manco a pagarlo, e tra un drink e una seduta di psicanalisi, una canna e una battuta spiritosa, commenti superficiali, mossettine, ammiccamenti e esibizioni di cultura imparaticcia, il tutto politically correct, questi che da noi sarebbero "alternativi da happy hour" o la loro variante cultural-terrazzata, l'altra faccia dello yuppismo, trascorrono la propria esistenza in una dimensione a sé, pensando di essere il centro pulsante dell'universo, a riprova di quanto la tanto decantata New York sia una città di un provincialismo da fare invidia a un paesone come Roma, ma il tutto viene riscattato dalla prestazione strepitosa della Gerwig, musa del cinema indipendente USA, la cui bravura riesce a far digerire anche le cose più insulse. Un talento assoluto, esplosivo, dotata di un viso dalla plasticità che ricorda quella del migliore Jim Carrey e una spontaneità e naturalezza disarmanti. E' lei il film per fortuna. E vale ampiamente il prezzo del biglietto. 

sabato 4 ottobre 2014

Pazza idea

"Pazza idea" (Xenia) di Panos H. Koutras. Con Kostas Nikouli, Nikos Gelia, Aggelo Papadimitriou, Romanna Lobats, Marissa Tryandafyllidou, Yannis Stankoglou, Patty Pravo. Grecia, Francia, Belgio 2014 ★★★★
Epopea on the road in forma di fiaba, con richiami alla tragedia greca e dunque alla mitologia, questa originale e divertente pellicola presentata con successo all'ultimo Festival di Cannes narra la vicenda d i due fratelli, albanesi per parte di madre che, dopo la morte di quest'ultima (aspirante cantante, morta per per probabile overdose di alcol misto e barbiturici) vanno alla ricerca del padre, greco, che li ha abbandonati da piccoli e che nel frattempo, dopo aver cambiato nome, si è arricchito diventando un politico di estrema destra. L'idea viene a Dany, sedicenne gay sbalestrato e sognatore che, viaggiando in compagnia di un coniglio bianco (Dido), con pistola al seguito e il leccalecca sempre in bocca, raggiunge ad Atene suo fratello Odysseos, addetto in un fast food, posato, serio, che caratterialmente è il suo contrario e lo convince a raggiungere Salonicco per prendere due piccioni con una fava: ritrovare il padre naturale (sulle cui tracce è stato messo dal loro padrino, una drag queen, proprietario di un locale notturno e amico della madre) e far partecipare Odysseos a un talent show e farglielo vincere, realizzando le aspirazioni artistiche frustate della madre. Viaggo che avviene tra mille peripezie e contrattempi, con la colonna sonora della musica italiana anni Settanta, da Patty Pravo (orrenda e liftata all'inverosimile, presente in un cammeo) a Raffaella Carrà e illustra con leggerezza, tra sogno e realtà, ma come meglio non potrebbe, le condizioni in cui è ridotta da un lato la Grecia di oggi, e dall'altro le condizioni legate all'immigrazione (Xenia, ovvero ospitalità in senso generale, è il titolo originale). Semplicemente prodigiosa le prestazioni dei due interpreti, entrambi albanesi e non professionisti: il più giovane  Kostas Nikouli nato in Grecia, il più maturo Nikos Gelia a Tirana ma da anni ad Atene, che da sole valgono la visione di questo film ben girato, brioso, pieno di ritmo. Complimenti.

giovedì 2 ottobre 2014

La buca

"La buca" di Daniele Ciprì. Con Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi, Jacopo Cullin, Ivan Franek, Reco Celio, Sonia Gessner, il cane Sioux. Italia 2014 ★★★★
Commedia surreale e grottesca, godibilissima, che si rifà a modelli ormai classici e con citazioni cinematografiche del tutto trasparenti, si poggia su una "strana coppia": Armando, un povero disgraziato ex cameriere che ha scontato ingiustamente una condanna a trent'anni di galera per rapina a mano armata e omicidio e Oscar, un avvocato misantropo, nevrotico e imbroglione, interpretati rispettivamente e con grande efficacia e bravura da Rocco Papaleo e Sergio Castellitto, incontratisi a causa di un cane che segue Armando dal momento del rilascio in libertà e ne viene adottato (l'impeccabile e simpatico Sioux, battezzato dal nuovo padrone Internazionale). Il leguleio, che vive di richieste di risarcimento truffaldine e di "pizzi" pagatigli da falsi invalidi cui ha prestato "assistenza", ed "esercita" in corrispondenza di una buca nel manto stradale che non viene mai riparata (siamo in una Roma di cartapesta che ricorda gli Stati Uniti degli anni Quaranta), prima cerca di spremere lo stremato Armando asserendo di essere stato morsicato dal suo cane; poi, quando si rende conto che questi non ha un soldo e ne ascolta le infelici vicende, intravvede la possibilità di chiedere la revisione del processo nonché un risarcimento miliardario. Il lieto fine è annunciato già nello scorrere della simpatica e fantasiosa animazione con cui sono presentati i titoli di testa (l'innocenza di Armando verrà riconosciuta dalla corte ma non il risarcimento: ma il duo si rifarà altrimenti della parziale ingiustizia), ma lo spasso del film è come la vicenda viene raccontata, che mi ha subito ricordato "Grand Hotel Budapest" anche nella storia, adattata però ai vizi e difetti nostrani, vedi la cialtroneria e superficialità imperanti, il menefreghismo e formalismo delle istituzioni, il familismo e la relativa ipocrisia nei rapporti, il fatalismo e la capacità di sopportazione dei perdenti e degli oppressi, resi con l'esagerazione dei tic dei vari personaggi, a tratti caricaturali ma chirurgici nel colpire nel segno. Centrale altresì il personaggio femminile della dolce barista Carmen, una brava Valeria Bruna Tedeschi, capace di stemperare le incomprensioni e tensioni che si creano nella coppia maschile, così come tutti quelli di contorno. Un film divertente, sano, molti gradevole e ben fatto, una fiaba né dolce né amara, ironica, lieve, comunque istruttiva e ben soprattutto ben raccontata.