sabato 31 maggio 2014

La rava, la fava, la Sava... e il Danubio a Belgrado

Il punto di confluenza della Sava nel Danubio

BELGRADO - Ha compiuto sette anni due giorni fa questo blog non solo itinerante, nella sua reincarnazione "googhliana" dopo la gloriosa epoca della piattaforma Spilnder, e aveva preso l'avvio in occasione del mio compleanno del 2007 che avevo trascorso anche allora nel cuore dei Balcani, tra Mostar e Sarajevo, secondo l'abitudine di regalarmi una breve escursione in luoghi che mi sono particolarmente congeniali per la ricorrenza, tanto più necessaria di questi tempi per disintossicarmi dall'aria che tira nella Terra dei Cachi, che sta confermandosi altresì anche dei macachi, considerato come continua a votare la stragrande maggioranza dei suoi abitanti. E' ben vero che, essendo quella del viaggio la dimensione in cui mi riconosco di più e che gradisco di per sé, difficilmente mi capita che un posto non mi piaccia (è successo però negli USA e a New York in particolare: niente di strano, considerato quanto mi ripugni quel Paese e il suo modus vivendi et operandi, ma anche in quel caso non mi hanno lasciato indifferente), però Belgrado occupa un posto particolare nel mio cuore, e sono contento di esserci tornato per una visita più approfondita  di quelle precedenti, sempre di passaggio e ormai remote. Sarebbe buona regola non svelare le isole felici e le "chicche" che si scoprono vagabondando, e questo non vale solo per quelle gastronomiche, per evitare che si sparga la voce e che vengano invase da profanatori che finiscono per rovinarle, però so che, salvo chi capiti da queste parti per caso, i mie lettori sono scelti oltre che rari, per cui si tratterebbe di rivelazioni fatte in via del tutto confidenziale. Nel caso di Belgrado, il primo e unico suggerimento è di venirci e semplicemente viverla, dedicandole due o tre giorni, sufficienti per farsene una buona idea mentre bastano poche ore per essere travolti dal suo spirito e dalla vitalità e simpatia dei suo abitanti, e seguire semplicemente l'onda: ce n'è per tutti i gusti, tutte le età e tutte le tasche, e anche il solo limitarsi agli acquisti dei più svariati prodotti può rivelarsi interessante oltre che conveniente. La città, affacciata da un lato sul Danubio, su cui domina la fortezza del Kalemagdan, e dall'altro sulla Sava, nel punto in cui quest'ultima vi confluisce, ha grosso modo gli abitanti di Milano, 1.300.000, mezzo milione in più con i sobborghi, anche se più estesa perché mediamente gli edifici sono più bassi e, essendo strutturata come una capitale con una sua funzione di rappresentanza, i viali sono più larghi e i parchi e giardini più numerosi: il suo centro lo si gira comodamente a piedi e comunque i mezzi pubblici sono numerosi e convenienti, come anche i taxi, numerosi e a ottimi prezzi sia di giorno sia di notte. Il segreto del suo fascino sta proprio nella sua eterogeneità: tra le più antiche città d'Europa, è stata distrutta e ricostruita a più riprese, anche negli ultimi due secoli (sono dell'Ottocento gli edifici più antichi e, sotto molti aspetti, è notevole la somiglianza con Vienna). Non mancano musei, gallerie, cinema, teatri, locali per tutti i gusti, negozi di ogni genere e soprattutto tantissime "kafane", concetto onnicomprensivo che sta per bar-ristorante-caffè-ritrovo, frequentate a ogni ora del giorno e disseminate in tutta la città, con le cucine in funzione non stop dal mattino fino almeno alle 10 di sera. Già ho accennato alla cattiva fama e ai pregiudizi che circondano la Serbia, e la sua capitale è il posto giusto per smentirli tutti in blocco: innanzitutto perché è una città multietnica, aperta, curiosa, accogliente; pulita e curata come mai ci si aspetterebbe dai famigerati e "temibili" balcanici, manco fossero dei selvaggi (o forse sì: nel senso che noialtri, ormai americanizzati e disumanizzati, siamo diventati degli alieni, pronti per farci sistemare un chip nel cervello), tra l'altro con una prevalenza di bella gente dalle facce intelligenti e sveglie. I serbi, in generale, poi, sono il popolo di gran lunga più simpatico, disponibile e accogliente di tutta l'area, e dunque il Paese quello in cui uno straniero si sente più a suo agio. Allegri, passionali, schietti, sono dotati di un umorismo sagace e di un forte senso dell'autoironia: popolo di carattere, non si è mai fatto mettere i piedi in testa da nessuno, come ben sanno turchi, tedeschi e, da ultimo gli americani, che non si piange addosso e reagisce nei momenti difficili che, nella sua storia, abbondano. Anche ora la situazione economica non è brillante (certo i danni alle strutture e infrastrutture causati dai criminali bombardamenti NATO su tutto il Paese e la capitale in particolare di 15 anni hanno contribuito in tal senso) e la gente ne parla apertamente, così come critica in gran parte una classe politica anche qui inetta e corrotta che non sa che pesci prendere, salvo rubare, e in questo tutto il mondo (globalizzato) è paese, però vanno avanti a vivere e a prenderla con lo spirito giusto e con energia, come testimonia la loro musica travolgente che scatena una voglia irresistibile di muoversi: una città energetica, come del resto la sua gastronomia. Zdravlje!


Il Danubio visto dalla Fortezza del Kalemagdan

giovedì 29 maggio 2014

mercoledì 28 maggio 2014

First "Exit": Novi Sad

Vista di Novi Sad dalla Fortezza di Petrovaradin
NOVI SAD - Seconda città della Serbia per numero di abitanti (quasi 400 mila), adagiata sulle sponde del Danubio, capitale della provincia autonoma della Vojvodina (patria, fra l'altro, del compianto Vujadin Boskov, scomparso di recente), fertile regione pianeggiante dove la Pannonia si incontra coi Balcani, da sempre crocevia di popolazioni e culture diverse, è una città vivace, benestante, ordinata, pulita, dove le diverse etnie (serbi in maggioranza, ungheresi, rumeni, slovacchi, tedeschi, ruteni e rom) si integrano felicemente: chi accusa ancora oggi la Serbia di essere dedita alla "pulizia etnica" dovrebbe venire a fare un giro da questa parti e comunque informarsi meglio, perché la Repubblica di Serbia, tra gli Stati emersi dalla sciagurata disintegrazione della Jugoslavia, è sicuramente quello che possiede la popolazione più composita, sia da un punto di vista etnico (ammesso e non concesso che tale concetto abbia un senso) sia da quello religioso. Ciò non giustifica la responsabilità per le bestialità commesse durante le guerre jugoslave dalla banda di Milosević, ma sarebbe anche il caso di guardare in casa d'altri, ma quando si tratta della Croazia, di fatto un protettorato della Germania con il supporto del Vaticano, o del Kosovo, avamposto degli USA, non si fa e non lo si è mai fatto, chiudendo non uno ma entrambi gli occhi. La Vojvodina, che gode della stessa autonomia di cui si avvaleva il Kosovo, si è però ben guardata dal separarsi dalla Serbia, pur essendone il "granaio", la regione più ricca e che produce la gran parte di ciò che finisce sui mercati e sulle tavole del Paese. Cereali, frutta e verdura di ottima qualità, che conservano colori, sapori e dimensioni autentici, gioia per gli occhi e, soprattutto, il palato (e il portafoglio), che niente hanno a che fare con le schifezze standardizzate che troviamo sui banchi dei nostri supermercati di plastica, tutte uguali da Berlino a Lisbona come da Palermo a Londra, per disposizioni UE e come risultato di una politica agricola comunitaria che ha distrutto qualità e specificità in nome della omogeneizzazione industrializzata. Ricca di chiese, bei palazzi, teatri, alcuni musei interessanti, tra cui quello della Vojvodina e quello di città, situato nella Fortezza di Petrovaradin, che domina Novi Sad da uno spuntone di roccia vulcanica che sorge sulla sponda meridionale del Danubio, e da cui si gode un'ampia vista della città e dei suoi dintorni oltre che del maestoso fiume transeuropeo, la vena aorta del Continente. Centro culturale e artistico di primaria importanza (ce ne si accorge subito vedendo la programmazione di teatri e sale da concerto, scuole di balletto e di musica in piena attività, musicisti di strada, tradizionali e moderni, attivi a ogni ora nelle vie principali, mai invadenti e assordanti), esplode in occasione dell'Exit Festival, il più grande di tutta la Serbia (che già ne è ricca) che si terrà quest'anno dal 15 al 17 luglio, bissato da un secondo festival cittadino dedicato al jazz che si tiene in novembre: c'è da divertirsi e per tutti i gusti!

La Fortezza di Petrovaradin

martedì 27 maggio 2014

Ce lo chiede il mercato / 1

Al mercato di Novi Sad (Voivodina)
NOVI SAD - Siccome "ce lo chiede il mercato", il mantra infallibile del nuovo millennio nel mondo globalizzato e lanciato in una corsa demenziale verso il baratro, sono venuto a vedere come vanno le cose laddove le lancette scorrono meno velocemente e tutto quanto, dai rapporti con le persone, all'aria, al paesaggio, al cibo, al muoversi sembrano riacquistare un senso, una percezione, un odore, un sapore e una dimensione più umani e meno plastificati: in Serbia. Il Paese che gode probabilmente della peggior fama in Europa, del tutto immeritatamente, vittima di un'aggressione vigliacca e forsennata soltanto 15 anni fa da parte dei suoi vicini (compresa l'Italia il cui governo era capeggiato allora dal compagno D'Alema") e dal loro cane pastore, gli USA del democraticissimo presidente Clinton, che ne ha distrutto infrastrutture e apparato produttivo ma non la formidabile tempra della sua gente. Non è distante, la Serbia: Belgrado dista poco più di 600 chilometri da Trieste, meno di Roma, per capirci, ma per fortuna è lontana nel senso che intendevo sopra. Motivo per cui ci torno sempre volentieri e lo farò ancora più spesso in futuro.

lunedì 26 maggio 2014

Per sempre democristiani


Alcune considerazioni sul voto europeo di ieri in Italia, il cui esito è andato completamente contro alle mie previsioni, e ai miei auspici, almeno nel suo aspetto più sorprendente: la misura della distanza tra il PD e il M5S, sostanzialmente un 2-1, su cui nessuno, nemmeno Renzie, avrebbe scommesso e i sondaggi non hanno nemmeno percepito coi loro sensori:
1) il PD è l'unico partito di governo in Europa che vince le elezioni insieme alla CDU di Angela Merkel: in Italia come in Germania si va di "Grandi Intese", quelle che saranno necessarie a Strasburgo per eleggere il nuovo commissario dell'UE;
2) posizioni poco chiare sull'Europa, spettacolarizzazione eccessiva, gestione autocratica e confusionaria non pagano, e un talebanismo fuori luogo ha impaurito un Paese già pavido e accomodante di suo, abituato a prostrarsi al potente di turno e incline a salire sul carro del vincitore, l'uomo nuovo al comando, in questo caso individuato nel frenetico paninaro fiorentino: e di un vincitore si tratta, se è diventato presidente del consiglio senza nemmeno passare dal via, spazzando via vecchie cariatidi di partito e un mollusco come Letta;
3) ha pagato invece, eccome, la campagna mediatica di supporto in primo luogo a Renzie (e in subordine a Berlusconi e Alfano), in sostanza ai "riformatori" (e quindi distruttori) dell'attuale sistema costituzionale, con il patrocinio della presidenza della Repubblica (e di Repubblica intesa come gruppo editoriale), di manipolazione delle posizioni del M5S e di oscuramento nei confronti della Lista Tsipras (una delle rare note positive di ieri, anche se non l'ho votata, il superamento, per un pelo, della soglia di sbarramento posta al 4%). Per la prima volta da che ho memoria, il "bacio della morte" del fondatore Eugenio Scalfari non ha prodotto i suoi effetti (in questo caso, da me auspicati)
4) questa volta la maledizione delle "piazze piene e urne vuote", che storicamente si abbatteva sul PCI-PDS-DS-PD, si è spostata sul M5S;
5) l'evocazione reiterata, durante la campagna elettorale, dello spettro di Enrico Berlinguer da parte dei due principali concorrenti, il democristiano Renzie e l'oltrista Beppe Grillo, si è rivelata fatale per quest'ultimo: l'elettorato del PD, una miscellanea di comunisti e democristiani che da un qualsiasi cambiamento serio avrebbe soltanto da perdere, ne ha colto il riferimento alla necessità e ineluttabilità del compromesso storico (invenzione del mitico segretario del PCI ai tempi del suo massimo fulgore, di cui fu espressione la solidarietà nazionale messa in opera nel 1978) e non la parte relativa alla cosiddetta questione morale; 
6) esiste da sempre in Italia un'area del consenso, o del "conformismo", che oscilla tra il 70 e l'80% dell'elettorato attivo, sempre disponibile a consorziarsi in caso di necessità, ossia appena percepisce il pericolo che il "tirare a campare" e "l'arte di arrangiarsi", i due pilastri su cui si regge l'esistenza della nazione, vengano messi in pericolo: è quell'area che per 40 anni è stata coperta da DC-PCI-PSI (quest'ultimo con alcuni rari sprazzi di autonomia) e cespugli vari; per il ventennio precedente si era unita in un partito unico (quello fascista, di fatto trasfromatosi in un Golem social-clericale quando diventò regime) e per quello successivo dal PCI e dai suoi derivati e il partito berlusconiano nelle sue varie declinazioni, uno scenario che si ripete ancora una volta come si può verificare sommando il 16% di Forza Italia, il 4 e rotti degli "alfanidi" del NCD e il 41 del PD, le tre forze che, nel parlamento italiano, stanno tentando di modificare criminalmente la Costituzione e sfornare una legge elettorale a loro uso e consumo. L'altro risultato positivo di ieri, oltre a un astensionismo a quota 43% e al relativo successo della Lista Tsipras, sta proprio qui: con un PD oltre il 40% (che Forza Italia non ha mai raggiunto nemmeno al suo massimo), se entrasse in vigore l'italicum voluto da Renzie, quest'ultimo diventerebbe padrone assoluto del Parlamento e non ce lo toglieremmo di torno per almeno un altro ventennio, ché questa è la misura temporale delle nostre epoche politiche. 
Buona digestione a tutti: io parto per Belgrado, e mi informerò sui requisiti per ottenere asilo politico. Vi terrò informato.

sabato 24 maggio 2014

EXPO Milano 2015: MasterCazz

* Un'accademia per la penoplastica
Milano capitale del sex design

Aprirà i battenti nel 2015 e formerà specialisti del settore tramite master




 - Un'accademia del sex design aprirà i battenti a Milano nel 2015. Per far fronte alle crescenti richieste di penoplastica, l'istituto formerà chirurghi specializzati nell'allungamento o nell'ingrossamento del membro maschile. Ad annunciare il progetto, Alessandro Littara, specialista in chirurgia generale e andrologia, co-fondatore e responsabile del "Centro di medicina sessuale" del capoluogo lombardo.
Master per specialisti del settore - Littara spiega: "Il progetto prevede master formativi di alcuni giorni rivolti a urologi, andrologi e chirurghi plastici, che impareranno le tecniche direttamente in sala operatoria".
Un'ora e un quarto e tutto cambia - L’obiettivo dell’Accademia è, nelle parole di Littara: "Standardizzare un metodo, per poi riprodurlo con tutte le garanzie di efficacia e sicurezza per il paziente".

Lo specialista aggiunge: "Per gli interventi di allungamento e ingrossamento del pene non utilizziamo nessuna sostanza estranea all’organismo del paziente, ma soltanto materiale autologo. Viene utilizzato il grasso e stiamo valutando anche la possibilità di addizionarlo con staminali adipose, sempre autologhe. L’operazione, un solo intervento per aumentare lunghezza e diametro, si esegue in Day Hospital e dura un’ora e un quarto".

I costi - La spesa per l'intervento oscilla tra i tre e i settemila euro. Ma prima del bisturi è necessario analizzare il caso e le motivazioni. Tuttavia "su 3 mila richieste raccolte in 10 anni, dal 2003 al 2013, il 60% è arrivato all’intervento".

L'esperto, inoltre, rassicura: "Utilizzando materiale autologo le complicanze sono quasi inesistenti. Secondo la nostra esperienza sono inferiori all’1%, proprio perché senza usare sostanze estranee non c’è il rischio di rigetto e infezione. Inoltre, rispetto a tanti anni fa quando si trattava di interventi pionieristici, le tecnologie si sono evolute verso metodiche molto sicure. Anche se è stato dimostrato che il tasso di complicanze dipende tanto dalla mano che opera".
* fonte TGCOM24 Mediaset
Per una "Real Democracy", cazzo standard per tutti!

venerdì 23 maggio 2014

Solo gli amanti sopravvivono

"Solo gli amanti sopravvivono" (Only Lovers Left Alive) di Jim Jarmusch. Con Tom Hiddlestone, Tidla Swinton, Anton Yelchin, Mia Wasikowska, John Hurt, Jeffrey Wright, jasmine Hamdan e altri. GB, Germania, Francia, Cipro, USA 2013 ★★★★★
Presentato l'anno scorso a Cannes, esce soltanto ora nelle sale italiane, con incomprensibile ritardo, questo film suggestivo, delicato, per nulla macabro, che attraverso la storia d'amore che dura da secoli tra due vampiri, parla metaforicamente dell'attuale epoca di disfacimento, di un sistema impazzito e giunto a un punto di non ritorno, effetto di una perdita totale di coscienza di sé, che ha ridotto gli umani a esseri senz'anima, un esercito di zombie che ha inquinato ormai il pianeta intero, dall'acqua all'aria al sangue stesso, diventato indigesto per gli stessi vampiri, rimasti pressoché unici testimoni della memoria e della bellezza, costretti ad approvvigionassi di plasma DOC e selezionato presso laboratori specializzati e medici compiacenti. I protagonisti di questa poetica storia d'amore si chiamano, significativamente, Adam ed Eve, lui malinconico, pessimista, musicista e collezionista di bellissima chitarre d'epoca, autore anonimo di ispirati brani di musica elettronica, che vive isolato in un vecchio edificio di Detroit, città ormai fantasmatica, simbolo del collasso del capitalismo industriale (la "centrale operativa" degli zombie ormai è diventata Los Angeles) ma anche centro musicale di primaria importanza, e il cui pressoché  unico contatto con l'esterno è un giovane appassionato come lui di strumenti musicali e marchingegni elettronici; lei, raffinata, eterea, ben disposta verso l'esistenza, vive a Tangeri, in una bellissima casa arredata con estrema cura, stracolma di libri in tutte le lingue che legge avidamente e testimonianze di genio artistico di vario genere, che trascorre le giornate in compagnia del poeta maledetto Christopher "Kit" Marlowe, suo fornitore di sangue non infetto, al caffè "Mille e una notte". Quando Eve si accorge che Adam sta cedendo alla depressione (tanto che si è perfino fatto costruire un proiettile di legno, versione tecnologica del paletto di legno con cui trafiggere il cuore e opre definitivamente fine all'esistenza del vampiro) decide di raggiungerlo per distoglierlo dai suoi intenti, ma il senso di pace svanisce e gli eventi precipitano con l'inopinato ritorno sulla scena della sorella minore di lei, una giovane vampira squinternata e irresponsabile, che rovinerà il tutto "bevendosi" il giovane collaboratore di Adam (grandiosa l'idea di affidarne il ruolo a Mia Wasikowska, peraltro bravissima, il cui solo aspetto suscita un'insopprimibile senso di fastidio e irritazione) e costringendoli a riparare a Tangeri, dove nel frattempo la fonte di approvvigionamento viene meno con la morte di "Kit", per cui i due eterni amanti dovranno provvedere altrimenti per sopravvivere... Tilda Swinton e Tom Hiddlestone sono magnifici; idea, sceneggiatura, colonna sonora di un film, visto l'argomento, completamente notturno, perfetti: un caso più unico che raro di poesia underground per immagini e suoni, il gradito ritorno, non abbastanza sottolineato di un artista geniale come Jim Jarmusch. 

mercoledì 21 maggio 2014

Gente seria

Il premier contro i 5 Stelle: "In Ue l'Italia non ha bisogno di chi sale sui tetti. Serve gente seria"
(ASCA) - Roma, 17 mag 2014 - ''Il tempo dei pagliacci e' finito''. Lo afferma il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel corso di un comizio elettorale del Pd a Forli'. Il premier invita gli elettori a ''mandare in Europa gente che non ci faccia vergognare. Il tempo dei pagliacci e' finito. Tocca a gente seria, che vada a portare alta la bandiera Tricolore e che non fischi l'inno nazionale''.

lunedì 19 maggio 2014

Padre Vostro

"Padre Vostro" (Svećenikova Djeca") di Vinko Brešan, Krešimir Mikić, Marija Škaričić, Jadranka Djokić, Drazen Kühn, Nikša Butlijer e altri. Croazia 2013 ★★★★
Gustoso e divertente film croato, in realtà una commedia tragicomica irriverente non solo nei confronti della chiesa cattolica ma anche del nazionalismo che ha distrutto la ex Jugoslavia, l'ambiguo e discutibile rapporto tra il Paese del regista e la Germania, il tutto con un tono sorridente, leggero, seguendo una sceneggiatura puntuale ed efficace, ricca di colpi di scena e che lascia la possibilità all'affiatato cast di interpreti di esprimersi al meglio.  La vicenda si svolge in una piccola isola dalmata (per la precisione a Prvić, nell'area di Sebenico) e vede protagonista il giovane sacerdote Fabijan che, sia per scalfire l'indiscussa popolarità dell'anziano parroco, onnipresente in ogni aspetto di vita dell'isola, sia per contrastare il fenomeno della denatalità che colpisce tutta la Croazia e la Dalmazia in particolare, ha la geniale idea di bucare, con la collaborazione del gestore del chiosco che li vende, tutti i preservativi che vengono acquistati nell'isola. All'operazione partecipa anche Marian, il farmacista, un nazionalista xenofobo perennemente in guerra, che sostituisce le pillole anticoncezionali con compresse vitaminiche che aiutano le gravidanze, che improvvisamente aumentano dando prima notorietà all'isola, sulla quale cominciano a sbarcare coppie di turisti finora sterili, ma causando non pochi problemi tra scoperta di scheletri nell'armadio, rapporti inconfessabili, situazioni paradossali. Anche se il tono rimane sempre  sorridente e stralunato, con qualche tocco macabro che non manca mai nell'irriverente, autoironico e spesso "nero" umorismo slavo, ce n'è per tutti: ipocriti, preti pedofili, perfino per il Papa, politici fanfaroni, sulla politica delle nascite come su quella delle adozioni, il razzismo e l'omofobia. Il tutto in una cornice rigorosa e senza la ridondanza dei personaggi e le esagerazioni tipicamente balcaniche di Kusturica, mentre comune è il tratto surreale e un tipo di comicità capace di parlare a tutti. Tutti bravi gli attori, divertimento assicurato e senza mai cadere neanche per sbaglio nello spot turistico da cartolina, che non sarebbe di certo mancato in una pellicola prodotta dall'altra parte dell'Adriatico: la Dalmazia non è posto per "fighetti" e modaiolo, che è bene che continuino a starne alla larga. 

sabato 17 maggio 2014

Non dico altro

"Non dico altro" (Enough Said) di Nicole Holofcener. Con Julia Louis-Dreyfus, James Gandolfini, Catherine Keener, Toni Collette e altri. USA 2014 ★★
Mah! Come credo sia il caso di molti, ciò che mi ha spinto a vedere questo film è stata l'ultima interpretazione di James Gandolfini prima della sua morte avvenuta quasi un anno fa nonché l'accoglienza positiva ricevuta dalla pellicola, che però ho trovato banale e piuttosto sciatta, e dove l'unica cosa davvero convincente è stata la recitazione dell'attore italo-americano, la cui fama rimarrà per sempre legata al protagonista della fortunatissima serie TV de "I Soprano", e specializzato in ruoli cinematografici di gangster o poliziotto hard boiled: meritava una chance migliore di quella offertagli da questa regista incerta e poco convincente. Eppure qui dimostra tutto il suo talento e la sua sensibilità di attore fuori dal comune per la finezza con cui si mette nei panni di Albert, un single di ritorno di mezza età, che comincia una relazione con Eva, una massaggiatrice coetanea, che come lui  è divorziata e ha una figlia in procinto di andare al college, conosciuta a una festa. Le cose sembrano andare bene, ma Eva scoprirà che una sua cliente, Marianne, che è anche una sua amica, una donna che le elenca tutte le pecche del proprio ex marito, è proprio l'ex moglie di Albert, e invece di chiarire subito la questione, tiene nascosta a entrambi la circostanza e lascia avvelenare il nuovo rapporto con l'uomo dalle parole dell'ex moglie, che lo definisce un disordinato, inetto a letto, un uomo senza pregi, in definitiva un perdente. Ovviamente alla fine il sotterfugio viene a galla, anche se Albert si era già accorto che man mano la loro storia si stava inceppando, tanto che gli sembrava di uscire con la sua ex consorte. Insomma, per stupidità, ipocrisia e per il diffuso desiderio di cambiare l'altro, non accettandolo in definitiva per quello che è ma volendolo trasformare  in ciò che "gli altri" ritengono che debba essere, la relazione va incontro all'inevitabile fine, ma siccome siamo negli USA, o meglio, a Santa Monica, California, non lontano da Hollywood, l'ultima scena lascia spazio a un possibile Happy End. Il film sta a galla unicamente per le prove di Gandolfini, che mi ha ricordato il John Belushi di "Chiamami Aquila" per l'anomalia del suo personaggio rispetto a quelli che interpretava solitamente, e quella di Catherine Keene, di ben altro spessore rispetto a quella di una disorientata Julia-Louise Dreyfus, tutta mossette e smorfie (e poi dicono che sono gli italiani a gesticolare...), un'attrice che non sembra capace di uscire dalla dimensione meramente televisiva, mentre la pur brava Toni Collette si limita a fare la macchietta di una psicologa nevrotica alle prese con una colf latinoamericana furba e impertinente (questo sì un personaggio azzeccato). Insomma, niente di che. Peccato. 

giovedì 15 maggio 2014

E se c'ero, dormivo

Rivelazioni Geithner, Napolitano: mai stato a conoscenza di pressioni straniere


Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, non ha mai saputo di «pressioni e coartazioni subite dal presidente del Consiglio nei momenti e nei luoghi di recente evocati» a proposito degli eventi che portarono alle dimissioni di Silvio Berlusconi dalla carica di presidente del Consiglio. Gli episodi "rivelati" dall'ex segretario di Stato al Tesoro Geithner e da altri sono relativi «a riunioni, tenutesi nell'autunno del 2011, di consessi europei e internazionali cui il presidente italiano - al pari degli altri capi di Stato non dotati di poteri esecutivi - non aveva titolo a partecipare e non partecipò», si legge in una nota del Colle.

* dal sito de il Sole-24 Ore

mercoledì 14 maggio 2014

Chi mente sapendo di mentire (e di tradire)

QUANDO NAPOLITANO ERA CONTRO L’EURO

ANNO 1978 La direzione del Pci in cui l’attuale capo dello Stato spiegò perché non entrare nel Sistema monetario europeo. Con argomenti validi anche oggi


di Marco Palombi
*da il Fatto Quotidiano in edicola questa mattina

   L’anno è il 1978. Il giorno il 12 dicembre, ed entro pochi mesi si terranno le prime Europee. È il giorno in cui il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, si presenta alla Camera per dire che l’Italia sarebbe entrata subito, dal 1° gennaio, nel Sistema monetario europeo (Sme), un regime di cambi fissi tra le monete comunitarie che è il vero papà dell’euro (anche allora, peraltro, Londra disse no). È una sorpresa perché solo poche settimane prima, il governo aveva respinto le pressioni francesi e tedesche per un’entrata immediata . Non solo: è anche una crisi di maggioranza visto che il governo – nato il giorno del rapimento di Aldo Moro – è sostenuto da Dc, Pci e Psi e i due partiti di sinistra sono contrari a un’ingresso nello Sme come s’è andato delineando. Le motivazioni dei comunisti sono strettamente tecniche e assomigliano molto a quelle di chi oggi si oppone all’euro (che, a differenza dello Sme, non è neanche un sistema flessibile).
   IL PCI, subito dopo il discorso di Andreotti, riunisce la sua direzione alla Camera. La relazione introduttiva – si legge nei verbali del partito conservati all’Istituto Gramsci – la tiene l’attuale presidente della Repubblica Giorgio, Napolitano. Per dire il nostro sì allo Sme – spiega il futuro capo dello Stato, all’epoca responsabile economico del Pci – chiedevamo tre condizioni: “Garanzia sui tassi di cambio” (cioè riallineamento periodico del valore delle monete); “garanzie sui prestiti del Fmi” e “misure di trasferimento di risorse a favore delle economie più deboli”. Siccome irrigidire il cambio comporta degli svantaggi per “le economie più deboli”, questo va pagato da chi ci guadagna: un principio dimenticato nel recente dibattito sui “compiti a casa” dei Piigs. Napolitano lo spiega con incredibile, profetica chiarezza: “Inserendoci in quest’area, nella quale il marco e il governo tedesco hanno un peso di fondo, dovremo subire un apprezzamento della lira e un sostegno artificiale alla nostra moneta. Nonostante ci sia concesso un periodo di oscillazione al 6%, saremo costretti a intaccare l’attivo della bilancia dei pagamenti. Lo Sme determinerà una perdita di competitività dei nostri prodotti e un indebolirsi delle esportazioni. C’è un attendibile pericolo di ristagno economico” (tutte cose puntualmente successe).
   I DIRIGENTI del Pci, lo dice chiaramente più d’uno, sono convinti che il voltafaccia di Andreotti e della Dc sia dovuto alla scelta di far cadere il governo per spostare l’asse politico a destra, sulla linea indicata da Giorgio La Malfa, segretario repubblicano: “Nelle più nobili motivazioni di La Malfa – insiste Napolitano – vi è alla base un giudizio catastrofico sull’Italia” ed “emerge una concezione strumentale degli impegni internazionali in funzione interna (antisindacale)”. Il cosiddetto “vincolo esterno” usato e teorizzato da molti anche oggi: “Ce lo chiede l’Europa”. Il giorno dopo, la direzione del Pci si riunisce ancora: Enrico Berlinguer spiega che il vertice di maggioranza sullo Sme – tenutosi proprio quella mattina – è andato 
male, che Andreotti conferma l’entrata immediata nello Sme nonostante siano ormai pubbliche le perplessità della Banca d’Italia (“Scalfari mi ha confermato che Paolo Baffi ha spiegato al governo la sua opposizione tecnica, ma ha concluso che la scelta è politica”), la contrarietà di più di un ministro e di due partiti della maggioranza (per il Psi, nell’aula di Montecitorio, la esprimerà Fabrizio Cicchitto). Non mancano i particolari di colore. Alfredo Reichlin: “Poco fa mi ha telefonato da Berlino Gerardo Chiaromonte (migliorista come Napolitano, ndr) e dice che i giornali della Germania Ovest sono in festa”.
   IL PROBLEMA per il Pci, a questo punto, è non essere additato come “nemico” dell’Europa: Ugo La Malfa, per dire, sosteneva che non aderire allo Sme significava abbandonare l’occidente e la Nato. “Campagna terroristica”, la definisce seccamente Napolitano in quella riunione. La pietra tombale sulla questione, di fronte alle preoccupazioni “europeiste” di alcuni come Paolo Bufalini) la mette con la consueta icasticità l’economista Luciano Barca, padre dell’ex ministro Fabrizio: “Europa o non 
Europa questa resta la mascheratura di una politica di deflazione e di recessione anti operaia”. La linea, ovviamente, la detta invece Berlinguer: “Noi dobbiamo entrare nel merito delle questioni monetarie ed economiche, poi fare una polemica di demistificazione della retorica europeista”. Il “terrorismo” di Napolitano, insomma. Sarà proprio lui, com’è noto, a intervenire alla Camera, spiegando il no del Pci con un lucidissimo discorso sugli squilibri regionali che l’irrigidimento del cambio rischia di accentuare (e il dato è sotto gli occhi di tutti, compreso il “rigore a senso unico”): “Si è finito per mettere il ‘carro’ dell’accordo monetario davanti ai ‘buoi’ di un accordo per le economie”, anche per “le sollecitazioni pervenuteci dai governi amici”, scandì Napolitano. Il pericolo che questo costituiva per la sinistra italiana gli era chiaro: se qualcuno volesse “far leva sulle gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio per porre la sinistra e il movimento operaio dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario, non meno di quelli che hanno spinto pezzi della Dc a premere per l’ingresso immediato nello Sme in funzione di meschine manovre anticomuniste, destinate a sgonfiarsi rapidamente”. Poi, in realtà, s’è sgonfiato prima il Pci.

martedì 13 maggio 2014

EXPO 2015 - Non ci voleva un genio...

Pubblicato su Abasto, allora su piattaforma Splinder, all'indomani dell'assegnazione a Milano dell'Expo 2015

MARTEDI' 1° APRILE 2008

Milano: è qui la festa!

Letizia Brichetto detta Moratti alias Donna Nequizia, al tempo sindaco di Milano balla con Roberto Formigoni, detto "Il Celeste", allora governatore della Regione Lombardia

Già qualche giorno fa avevo scritto che mi sarebbe dispiaciuto  se la scelta come sede dell'Expo del 2015 fosse caduta su Milano anziché su Smirne, ma ormai è fatta, e non rimane che stare a vedere cosa saranno capaci di fare gli amministratori milanesi, a parte esternare il loro entusiasmo in forme non esattamente austere e in contrasto con quelle un po' calviniste che sarebbero nell'indole dei meneghini autentici: questi sì una rarità, che andrebbero tutelati dall'UNESCO in quanto patrimonio dell'umanità. Rientro dunque in Italia sulle ali di un entusiasmo smodato, con manifestazioni di tifo da stadio da parte di tutti i personaggi coinvolti, da Prodi a Formigoni, da Dalemullah alla sindachessa Letizia Brichetto. Spettacoli davvero indecorosi, per una manifestazione che peraltro ha un po' il sapore di un premio di consolazione, perché scorrendo la lista delle città che hanno ospitato l'Expo Universale negli ultimi decenni troviamo sì città come Siviglia o Lisbona che hanno saputo sfruttare l'occasione per rilanciarsi, ma anche altre non esattamente di primo piano. 1970 - Osaka, Giappone - Expo '70 (Esposizione mondiale del Giappone) 1974 - Spokane, Stati Uniti - Expo '74 (Esposizione internazionale dell'ambiente); 1975 - Okinawa, Giappone - Expo '75 (Esposizione internazionale degli oceani); 1982 - Knoxville, Stati Uniti - Esposizione mondiale 1982 (International Energy Exposition) - Sunsphere1984 - New Orleans, Stati Uniti - Esposizione mondiale della Louisiana 1984; 1985 - Tsukuba, Giappone - Expo '85; 1986 - Vancouver, Canada Expo '86; 1988 - Brisbane, Australia - Expo '88; 1992 - Siviglia, Spagna - Seville Expo 92, 1992 - Genova, Italia - Genova Expo 92 (entrambe in occasione del cinquecentenario della scoperta dell'America. Sul diverso impatto della manifestazione fra Siviglia e Genova lascio giudicare a voi); 1993 - Daejeon, Corea del Sud - Expo '93; 1998 - Lisbona, Portogallo - Expo '98; 2000 - Hannover, Germania - Expo 2000; 2002 - Bienne, Murten, Neuchâtel e Yverdon-les-Bains in Svizzera - Expo 2002; 2005 - Aichi, Giappone Expo 2005; 2008 - Zaragoza, Spagna Expo 2008; 2010 - Shanghai, Cina - Expo 2010; 2012 - Yeosu, Korea - Expo 2012; fino al 2015, appunto: Milano, Italia - Expo 2015. Per usare dei termini calcistici, tanto cari ai nostri politicanti che in queste occasioni si lasciano andare a un pecoreccio tifo da curva, è un po' come partecipare all'Intertoto dopo avere puntato alla Champions League. Sarebbe quindi il caso di moderare l'entusiasmo. Per una volta sono d'accordo con quanto ha scritto "prezzemolo" Michele Serra su Repubblica di oggi, secondo il quale questa scelta forse indurrà la città a scuotersi, perché la costringe a cambiare, dopo trenta e passa anni di immobilismo e disfacimento. Come ho già ricordato più volte è un record mondiale quello di una città che in tre decenni perde un terzo dei propri abitanti. Tra cui me (che ci sono nato, cresciuto, vissuto e infine fuggito) e Serra (che il milanese lo fa da romano-bolognese): che però sbaglia quando afferma che la città è talmente fossilizzata che "un londinese partito nel 1990 e tornato in città non la riconoscerebbe più. Un milanese ritroverebbe, oltre al solito bar, anche il barista". Magari: si vede che non li frequenta più, per sua fortuna, i bar milanesi. Dove i baristi del nuovo corso, oltre che inetti e discompiacenti riescono perfino ad essere più sgradevoli di quello che ti mettono nel bicchiere e della somma che scrivono sul conto. A questo proposito, per ironia della sorte, l'Expo 2015 ha come tema "Nutrire il pianeta, energia per la vita", che mi pare perfetto per una città che ha prima dimenticato come mangiava e quindi come parlava (parla come mangi è un detto tipicamente milanese), poi inventato la Milano da bere di craxiana memoria negli Ottanta, quindi è stata la capitale della nouvelle couisine alla meneghina, con le pietanze evanescenti ma dal nome esoticamente evocativo del nulla, e infine della oramai mondializzata "Happy Hour", che in realtà è un geniale e bieco sistema di riciclaggio dell'immondizia propinata come cibo proveniente dalle paninerie del centro, ad uso dei disgraziati schiavi del buono pasto presso i bar-tavole calde per la pausa pranzo, agli stessi sfigati però in ora (e versione) serale in zona Ticinese o Brera o in quelle che si stanno ticinesizzando come le metamorfosi di un cancro: Porta Romana-Vittoria, ad esempio. Dove vanno a riempirsi di alcol scadente per dimenticare la giornata di merda appena trascorsa e non avendo soldi per la cena la saltano accontentandosi dei loro stessi avanzi del mezzogiorno. Se rimane qualche euro, meglio investirlo in qualche tiro di "bamba", che in città si trova con la frequenza degli escrementi dei cani sui marciapiedi o le buche nelle strade. Serra si riferiva, in realtà, alla skyline, immutabile da decenni a parte i palazzoni in stile ligrestiano soppalcati abusivamente di quattro o cinque piani, magari a cupola o con elementi assiro-babilonesi, che hanno dato la mazzata definitiva a un panorama già raccapricciante. Personalmente non ho nulla in contrario ai grattacieli progettati dagli architetti di fama mondiale di cui si parla in zona ex "Portello": ho qualche perplessità in più sul quartiere Santa Giulia presso San Donato (fermo per mancanza di fondi) progettato da Norman Foster dopo aver visto con i miei occhi il sostanziale buco nell'acqua del decantato maestro a Puerto Madero, a Buenos Aires; mi chiedo però che senso ha parlare di riscoprire le vie d'acqua, scoperchiando i Navigli, dopo aver prosciugato la Darsena per creare parcheggi il più possibile vicino al centro che, al contempo, si dice di voler svuotare dal traffico veicolare; pavoneggiarsi prospettando  una ridicola riduzione del 15% di biossido di carbonio nell'aria da qui al 2015, che a spanne si otterrebbe automaticamente adeguando le emissioni delle automobili alla ultima normativa Euro 4 o 5; blaterare di quinta linea della metropolitana quando ancora non è stata costruita la quarta: il tutto in sette anni, dopo un immobilismo durato oltre trenta. Intanto in televisione scene di giubilo, manco si fossero vinti i Mondiali, e tutti a fare a gara, squallidamente, per accaparrarsi il merito della bella riuscita, in stile perfettamente Veltrusconiano: questo sì in linea con un futuro che ritengo assai probabile per i prossimi cinque anni. Politici, finanzieri, costruttori, modaioli e merdaioli pronti al banchetto, e a far baldoria, amplificata dal sottobosco dell'informazione-spettacolo che campa di aria fritta, incensamenti e pettegolezzo, mentre il cittadino medio se ne frega ed è anche piuttosto incazzato per quello che va avanti a non funzionare e con una esistenza grama in una città di zombie dediti al suicidio lento da lavoro inconcludente. Testimoni oculari mi hanno riferito che all'ora del fatidico annuncio, ieri pomeriggio tardi, sotto l'Arengario, e in Piazza del Duomo, non c'era nessuno che si fermasse e i passanti non degnavano nemmeno di un 'occhiata l'annuncio che passava sui tabelloni luminosi. Ma loro ballano, fanno i trenini e cantano vittoria. Perché, come sempre, è festa.

domenica 11 maggio 2014

The German Doctor - Wakolda

"The German Doctor - Wakolda" (El médico alemán) di Lucía Puenzo. Con Alex Brendmühl, Natalia Otero, Diego Peretti, Florencia Bado, Elena Roger, Guillermo Pfening, Ana Pauls, Alan Daics, Abril Braunstein, Juani Martínez. Argentina, Francia, Spagna, Norvegia, Germania 2013 ★★★★
Convincente ricostruzione ambientale e storica di uno scorcio della lunga latitanza sudamericana di Josef Mengele, conosciuto come l'Angelo della morte, il medico, antropologo e genetista tedesco famoso per gli esperimenti che conduceva ad Auschwitz. In particolare il film narra del tratto argentino della sua eterna fuga, durata fino alla morte, avvenuta in Brasile nel 1979 per cause naturali, attorno al 1960. In quel periodo si rifugiò vicino a Bariloche, primo ospite di un albergo (che esiste tuttora) appena riaperto da una famiglia che aveva seguito, in un viaggio "in carovana", lungo una delle rutas del desierto  che attraversano la Patagonia per raggiungere il celebre centro turistico ai piedi delle Ande e al confine col Cile famoso per avere ospitato Erich Priebke come decine di altri criminali di guerra nazisti fuggiti con la complicità del Vaticano e accolti con compiacenza dal regime di Perón così come dai suoi successori. Pur sottolinenando questo aspetto, così come l'appoggio concreto fornito dalla nutrita e ben organizzata comunità tedesca ai fuggiaschi (ma sono ancora di più gli italiani, e piemontesi in particolare, in quella zona), lo sguardo di Lucía Puenzo (giovane e valente scrittrice e sceneggiatrice, che qui porta sullo schermo un suo romanzo, "Wakolda", come fece già nel 2007 con "XXY", tratto dal racconto "Cinismo" di Sergio Bizzio), in questo erede del padre Luís (regista de "La storia ufficiale" del 1985), è intimista e scandaglia la relazione tra Mengele e la famiglia che lo ospita, e di cui riesce a conquistare la fiducia tanto da affidargli la "cura" della figlia Lilith, nata settimina e, a 12 anni, sottosviluppata per la sua età, verso cui si era posata immediatamente l'attenzione scientifica di Mengele, che non ha mai nella sua vita rinunciato a fare le sue sperimentazioni, come testimoniano i suoi quaderni su cui annotava minuziosamente ogni dato, faceva disegni di una perfezione rara, avanzava ipotesi. In quel momento si dedicava alla veterinaria e a un laboratorio che aveva a Bariloche, ma alla prima occasione, e Lilith nonché la gravidanza di due gemelli della sua giovane madre, costituivano un boccone prelibato, non esitava a provare i suoi preparati ormonali e chimici sugli umani, convinto, attraverso la scienza, di poter migliorare la razza umana fino alla perfezione dei "Sonnenkinder", i bambini del sole risultato del progetto "Lebensborn" (Sorgente di vita) di hitleriana memoria. Come spesso accade nei film argentini molto è lasciato alla capacità di esprimere una sensazione di straniamento, talvolta di tensione angosciosa verso l'ineluttabile, da parte degli interpreti, in gran parte attraverso sguardi, silenzi, piccoli dettagli: dove poche sono le parole ma dense, e necessaria una grande capacità di interpretazione più che il seguire un copione infarcito di battute e una sceneggiatura ridondante. Un cinema di tipo evocativo, quasi subliminale, cui contribuiscono non poco, anche in questo caso, paesaggi isolati e spesso inquietanti nella loro spettacolarità talvolta spettrale. Anche la parte d'azione del film che pure non manca, tesa senza bisogno di usare mezzi speciali, segue questa traccia: il padre di Lilith, un progettista di bambole di origine italiana, diffida del medico che cura la figlia ma i suoi sospetti si basano su sensazioni più che su fatti concreti, mentre la fotografa e archivista della locale scuola tedesca, un'ebrea infiltrata nella comunità dal Mossad che individua l'identità di Mengele basandosi sui fatti, lo segnala ai suoi superiori a Buenos Aires ma questi, appena coinvolti nel rapimento di Adolf Eichmann, arriveranno in ritardo, quando Herr Doktor Mengele avrà già preso il volo per il vicino Paraguay, dal 1954 al 1989 governato da Alfredo Stroeßner (un nome, una garanzia). Vivamente consigliato.

venerdì 9 maggio 2014

La sedia della felicità

"La sedia della felicità" di Carlo Mazzacurati. Con Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Giuseppe Battiston, Katia Ricciarelli, Natalino Balasso, Raul Cremona, Marco Mazzocca, Roberto Abbiati, Mirco Artuso, Milena Vukotic, Maria Paiato e altri. Italia 2013 ★★★½
E' una favola a lieto fine, il film d'addio di Carlo Mazzacurati, scomparso prematuramente nel gennaio di quest'anno, un regista garbato, ironico, sensibile, aggraziato, che sempre nei suoi lavori ha raccontato storie di gente comune, spesso perdenti, sradicati, ma cui non viene mai meno la speranza, quasi sempre ambientate nel Veneto profondo che conosceva così bene, essendo nato e vissuto a Padova e che amava, anche se ne vedeva, e non mancava di raccontarlo, il mutamento antropologico, la disgregazione del tessuto culturale e umano. Riusciva però sempre a individuare il lato positivo delle cose e dei protagonisti delle sue storie. Anche qui, come in altri suoi film, c'è un lato surreale: Bruna, la bravissima Isabella Ragonese, un'estetista indebitata e perseguitata da un fornitore esoso, oltre che tradita dal fidanzato, raccoglie la confidenza, in punto di morte, di Norma Pecche, la madre di un famoso bandito (il riferimento a Felicino Maniero è evidente), cui fa il manicure nel carcere femminile della Giudecca, a Venezia: ha nascosto un tesoro in gioielli in una delle otto sedie del salotto di casa. Decisa a dare una svolta alla sua esistenza, Bruna va a cercarla nella villa abitata dalla donna prima che venisse arrestata, e rimane prigioniera nel parco, minacciata da un cinghiale. In suo aiuto viene Dino, l'ottimo Valerio Mastandrea, un tatuatore separato di recente che ha aperto bottega al Lido di Jesolo di fronte alla sua, e da quel momento parteciperà alla "caccia al tesoro", ché di questo si tratta, in definitiva, dopo che i due hanno scoperto che le sedie, poste sotto sequestro, sono state rivendute a diversi acquirenti in aste giudiziarie, e si mettono sulle tracce degli oggetti, tra l'altro esteticamente orrendi, tra collezionisti, maniaci, maghi, ristoratori cinesi e personaggi strani. Scopriranno di non essere soli: anche padre Weiner, Giuseppe Battiston, perfetto e misurato come sempre nonostante la mole, il cappellano del carcere, aveva ascoltato le ultime parole della reclusa, mentre stava dandole l'estrema unzione e Norma si era ripresa per un attimo convinta di parlare con Bruna, e per un po' si formerà un trio che batterà il Veneto dal mare, alla pianura alle Dolomiti, dove la favola avrà il suo epilogo nel maso di due fratelli allevatori di mucche, uno dei quali è anche un pittore naïf. A parte i tre protagonisti principali, in una serie di camei riuscitissimi tutti gli attori con cui Mazzacurati lavorava abitualmente ed era legato da amicizia, da Silvio Orlando a Fabrizio Bentivoglio, ad Antonio Albanese. A me il film è piaciuto, mi ha divertito, sono uscito dalla sala col sorriso sulle labbra nonostante la tristezza per la morte dell'autore, e non l'ho trovato inferiore a quelli che l'hanno preceduto: una commedia intelligente, agganciata a una realtà che il regista conosceva bene e incentrata su tipi umani solitamente trascurati, sentimentale ma non melensa, affettuosa, sorridente. Per un uomo che sapeva di essere prossimo alla fine, un messaggio di ottimismo e di serenità. Ci mancherà.

mercoledì 7 maggio 2014

Conigli ruggenti


"Contrastiamo e contrasteremo l’idea di un’autosufficienza del governo, che taglia non solo l’interlocuzione con le forme di rappresentanza, ma ne nega il ruolo democratico e di partecipazione”. Così il leader Cgil, Susanna Camusso, dal palco del XVII congresso del sindacato a Rimini rivendica ruolo, funzione e tradizione dell’organizzazione sindacale. Una logica, quella della autosufficienza, dice ancora Camusso, che nella lunga relazione non citerà mai il nome del premier Matteo Renzi, “che sta determinando una torsione democratica verso la governabilità a scapito della partecipazione. E ci auguriamo – conclude aspramente- che tanta autosufficienza non produca nuove vittime delle leggi di riforma come gli esodati, figli del disprezzo delle competenze”. (dal Fatto Quotidiano di oggi).

Parole al vento, quando è ormai troppo tardi.
La dirigenza della Grande CGIL (per non parlare delle altre due sigle sindacali) potrà tentare di rendersi nuovamente credibile quando:
A) in blocco, andrà ad infoltire la categoria che maggiormente rappresenta, quella dei pensionati (tra cui l'esercito di quelli "baby", grazie anche all'intervento - interessato - della Triplice)
B) dopo 60 anni di collateralismo, i suoi componenti renderanno la tessera del PD, SEL o di altri partiti più o meno centrosinistrati che appoggiano l'attuale governicchio: le cinghie di trasmissione prima o poi si logorano.
Punto.

martedì 6 maggio 2014

Locke

"Locke" di Steven Knight. Con Tom Hardy (e voci di Olivia Colman, Ruth Wilson, Ben Daniels, Andrew Scott e altri). USA, GB 2013 ★★★★
Interno notte, auto (una BMW X 5), un cellulare, in viva voce, perennemente in funzione lungo l'ora e mezzo di percorso tra Coventry e Londra sulla M1, riprese in tempo reale e telecamere costantemente puntate sull'unico protagonista in video, un magistrale Tom Hardy nei panni di Ivan Locke, felicemente sposato, due figli, un costruttore che l'indomani   all'alba è incaricato di sovrintende a una gigantesca colata di calcestruzzo, la più grande mai avvenuta per usi civili in Europa, in un gigantesco cantiere nelle vicinanze di Birmingham, ma a causa di una telefonata che riceve non sarà nelle condizioni di essere presente. Quella a cui si assiste, nell'ora e mezzo scarsa che dura il film, è la distruzione della sua vita per come l'ha vissuta fino ad allora e, al contempo, una seduta di auto-psicoanalisi: un rapporto casuale con una donna mai amata né davvero cercata, Bethan, lo renderà padre nella notte e Ivan, che nulla ha lasciato al caso nella sua esistenza, decide fin dall'inizio la sua linea di condotta e anche in questa occasione procederà organizzando puntigliosamente ogni aspetto derivante dall'adempimento di quello che considera il proprio dovere, piuttosto che un destino, anche per regolare i conti con il proprio passato, o meglio con le proprie origini. Un thriller psicologico potente, incalzante, teso e inquietante senza che occorra una goccia di sangue né un accenno di violenza, neppure verbale. Un film notevole, acuto, ben girato ma soprattutto dotato di una sceneggiatura perfetta, anzi: cronometrica. Sorprendente e fuori dal comune. Da non perdere.

domenica 4 maggio 2014

Farse dell'ordine e fratelli d'Italia


Invito chiunque transiti su questo blog e abbia ancora un residuo di fiducia in una delle svariate polizie di questo Paese grottesco di confrontare il video pubblicato ieri sera dal sito del Corriere della Sera, con riprese dall'elicottero degli "incidenti" avvenuti prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli a Roma, con uno qualsiasi di un intervento poliziesco in occasione di una manifestazione di protesta, che sia per la casa, contro il TAV o quant'altro, per esempio questo, o con la scena ributtante dell'applauso dei colleghi del Sindacato Autonomo di Polizia riuniti a congresso in appoggio agli agenti condannati per la morte di Federico Aldrovandi, avvenuta solo qualche giorno fa: la conferma che sono perfettamente in linea con chi governa questo manicomio e dovrebbe esserne responsabile, tant'è vero che a dare il via libera all'inizio dell'incontro, con 45' di ritardo sull'orario previsto, è stato Gennaro De Tommaso (nell'immagine sopra) detto poeticamente Genny 'a  Carogna, capo ultrà e conosciuto come camorrista, dopo trattative a bordo campo  con  i "pari grado" dei questurini. Un patto tra galantuomini: dopo una mitragliata di bombe-carta (e relativa fuga in diretta TV di celerini e stewart), è regnata la calma fino alla fine della partita (vinta, guarda caso, dai partenopei). Il tutto alla presenza di svariate "autorità" tra cui spiccava Matteo Renzie (che ha assistito imperturbabile alla scena senza fare un plissé e confermato di portare pégola alla sua amata Viola, una squadra già marchiata dalla sfiga di suo non fosse che per motivi cromatici), un gigione diventato capo del governo senza essere stato eletto da nessuno se non da quei minchioni dei compagnuzzi del suo partito a segretario dello stesso, il quale riforma in senso piduista la costituzione "più bella del mondo" (e allora perché cambiarla, si direbbe in un Paese appena serio?) insieme a un manigoldo pregidicadato e condannato però a piede libero e con l'avallo e la supervisione di un presidente della Repubblica abusivamente in carica che invece di esserne, come da ufficio, il garante, ne è il primo attentatore e traditore. Così vanno le cose, nella Terra dei Cachi: già un'altra volta avevo suggerito che, in un Paese dove in almeno quattro regioni lo Stato non esiste e l'unica autorità riconosciuta è la mafia locale, la cosa più sensata sia di affidarne il governo direttamente a un altro Matteo: Messina Denaro, il capo di quella più prestigiosa, conosciuta e rispettata anche all'estero; o, come alternativa, chiedere l'annessione alla Germania e farlo governare da Angela Merkel tramite un Gauleiter, come auspica Massimo Fini. A completare il quadro, l'intonazione dell'inno nazionale, peraltro degno di questo Paese ridicolo, una marcetta imbarazzante per quanto è penosa, affidata a tale Alessandra Amoroso, in mise mignottesca e tatuaggio d'ordinanza in bella vista, giustamente sommersa dai fischi, comunque anche lei perfettamente adeguata al momento attuale: è questo, oggi, lo stile del Made in Italy.