sabato 15 febbraio 2014

La coscienza di Zeno


"La coscienza di Zeno" di Tullio Kezich, adattamento dal romanzo di Italo Svevo. Con Giuseppe Pambieri, Silvia Altrui, Nino Bignamini, Giancarlo Condé, Guenda Goria, Margherita Mannino, Marta Ossoli, Antonia Renzella, Raffaele Sincovich, Anna Paola Vellaccio, Francesco Wolf. Regia di Mauriuzio Scaparro, scene di Lorenzo Cutúli, costumi di Carla Ricotti e musiche di Giancarlo Chiaramello. Produzione Teatro Carcano di Milano. Al Politeama Rossetti di Trieste fino al 16 febbraio.
Nato, cresciuto e vissuto per 45 anni a due passi dal Teatro Carcano di Milano che l'ha prodotto, era destino che assistessi a questa versione de "La coscienza di Zeno" nella città, Trieste, che diede i natali a Italo Svevo, autore del romanzo da cui è tratto il felice e godibile adattamento che ne fece nel 1964 Tullio Kezich, altro triestino scomparso qualche anno fa e in cui è ambientata questa acuta, ironica e al contempo malinconica pièce. Al bravissimo e versatile Giuseppe Pambieri, in scena dall'inizio alla fine, calzano a pennello i panni di Zeno Corsini, figlio di un uomo di affari di successo, apprendista commerciante senza grande entusiasmo e aspirazioni che, convinto di essere malato, si rivolge a uno psicanalista che gli prescrive di raccontare, in forma diaristica, i fatti salienti della propria esistenza. Che è ciò che fa, con leggerezza e non prendendo mai troppo sul serio né sé stesso né la vita, che subisce, più che determinarla, scandendone le tappe significative con l'eterna, ricorrente, "Ultima Sigaretta" che, in quanto tale, è la più saporita e gustosa di tutte. Studente universitario poco convinto, che si barcamena tra giurisprudenza e una facoltà scientifica e vittima di un rapporto conflittuale col padre; apprendista commerciante alla Borsa, sotto la guida di un affarista che diventerà suo suocero: ne sposerà quella tra le quattro figlie che gli piace di meno, Augusta; socio d'affari  del cognato, l'imprudente Guido che va a picco giocando in borsa e si suiciderà; amante di Carla, aspirante cantante che mantiene fino a che non si invaghisce del suo maestro nonché "artista vero", Zeno ripercorre in tarda età, nel pieno della guerra (siamo nel 1916), la sua vita trascorsa in una città cosmopolita in un'epoca di grandi cambiamenti, dove la sua asincronia e incongruità rispetto ai tempi, questi sì malati e forieri di guai peggiori (che Zeno/Svevo intravvedeva già nel 1923 quando scrisse il romanzo), sono in realtà la sua salvezza perché gli consentono di veleggiare e adeguarsi ad essi più di quanto possano farlo i "sani", i "normali", ingessati nei loro ruoli che non hanno più senso, perché è la realtà stessa ad essere insana. Parlando della psicanalisi, "scienza" che proprio in quel periodo stava prendendo piede, Svevo aveva certamente presente la definizione che ne dette Karl Kraus, ossia che fosse "quella malattia  di cui pretende di essere la cura" e non stupisce certo che fu a Trieste che avrebbero avuto successo, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, gli esperimenti antipsichiatrici di Franco Basaglia. Accoglienza calda e affettuosa in un teatro come il Rossetti "amico" di Scaparro e Pambieri, e convincenti tutti i suoi compagni sulla scena: uno spettacolo cui vale la pena assistere. 

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