lunedì 2 settembre 2013

Sempre attuale: "Il culo e lo stivale"


Pubblicato oggi sul "Fatto Quotidiano"
ESTATE PARATI
Tra Siria e B: mi (ri)dimetto da contemporaneo
 di Oliviero Beha
Leggo i giornali italiani, in questa fine estate senza estate, e mi vengono i brividi, quelli di tanti anni fa alla vigilia della Prima Guerra del Golfo: come allora, di fronte al dissolversi di ogni illusione sulle “magnifiche sorti e progressive” di un’umanità stupida, anche oggi sono assalito dalla tentazione di “dimettermi da contemporaneo”. Ma se allora le paure erano materia per il pianeta, ora ad esse si aggiunge il ludibrio prettamente nostrano del linguaggio e della sua confusione. Da giorni il precipitare della crisi siriana si mischia alle evoluzioni di Berlusconi, Letta jr e company. Per cui fino ad oggi formule come “guerra civile”, “ultimatum”, “dichiarazioni di guerra” ecc. sono state usate indifferentemente per Damasco e Palazzo Chigi, e con evidenza grafica troppo spesso maggiore per il secondo. Anche trovare un’analogia tra il metodo Berlusconi, il suo ormai annoso “stop and go” declaratorio che polverizza il significato delle parole lasciandone però una scia nella percezione comune, e le contraddizioni di Obama sul ciglio del conflitto mi parrebbe un esercizio idiota, irrispettoso della gravità della situazione. Ma prima o poi anche questa analogia farà capolino… Da “dimissionario” cultural-politico in servizio permanente effettivo cerco rifugio da tale ludibrio nella realtà, nelle facce, nella fisicità delle persone. Mi trovo occasionalmente nell’Emilia del post-terremoto, colma fino all’orlo di problemi eppure viva, vivissima. Le ferite del sisma ripetuto dicono di comunità ancora incerottate all’esterno , in palazzi chiese portici che continuano ad essere malgrado noi la nostra storia e la nostra ricchezza, ma convalescenti e sulla via della guarigione all’interno, in fatto di “rapporti umani”. Che tengono, o sembrano tenere. Parlando all’impronta con le persone, che non si lamentano neppure più di tanto, che riconoscono amaramente che “la Siria è vicina”, che danno alla politica, almeno a questa, un’importanza periferica, si recupera molto di quell’umanesimo che latita nelle stanze (per la giostra) del potere, reale, virtuale, mediatico. E i luoghi più visibili delle comunità di cui parlo sono perlomeno qui le “feste democratiche” e i mercati e mercatini (non gli outlet né i centri commerciali). Paesani, cittadini, rionali, sia le une che gli altri. Senza star qui a farla troppo pallottolosa con Renzi (sempre più gradito anche dai meno giovani, non solo di area mancina, presumo per esclusione) e Bersani o con contrasti/ripicche/correnti e più o meno vere rottamazioni, resta nel Dna di queste feste come nella natura dei mercati (a Bologna dici “mercato” e non pensi a Piazza Affari ma alla Montagnola) quella fisicità che altrove si è assolutamente persa, a partire dalla fisicità semantica, del senso e del significato della parola. Nei mercati e nelle feste di questo tipo “malgrado tutto” la fisicità resta, quasi una sorta di resistenza naturale opposta a una contro-natura politica e mediatica. Sarà una via di salvezza?

1 commento:

  1. La "fisicità" è l'unico mezzo a disposizione per tentare una qualche salvezza, sia questa personale, collettiva o perfino spirituale, ché non è dato conoscere "spiritualità", senza l'umano che la incorpori.
    E la fisicità impone un ritorno al reale, al tattile, allo scambio occhio/occhio - bocca/orecchio, all'interazione puzza contro puzza e sorriso contro ghigno.
    In questi orribili tempi dove anche la guerra uccide realmente il nemico ma per solo per via virtuale, così che non se ne sentano le grida o la puzza, il solo riprendersi il diritto ad avere un corpo come mezzo, di offese e difese, può salvare quell'ultima traccia di umano che (forse) ancora ci abita.
    A nostra insaputa, ça va sans dir...

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