mercoledì 11 settembre 2013

Cile / 3 - I due 11 Settembre


A completamento del trittico dedicato al Cile nell'anniversario del criminale golpe del 1973, aizzato e organizzato dagli USA attraverso la CIA, come risulta ufficialmente dai relativi documenti declassificati durante l'amministrazione Clinton, su gentile nulla osta de Il Ribelle ripropongo l'acuto editoriale di Ferdinando Menconi sulle diversità tra i due eventi di cui corre l'anniversario nella giornata odierna e la continuità delle paranoie egemoniche degli USA, le cui azioni sono rimaste esattamente uguali, nel metodo come nella sostanza, dall'11 settembre del 1973 a quello del 2001 e fino a oggi. 


Il palazzo presidenziale preso d’assedio da insorti, istigati e foraggiati dagli Stati Uniti, mentre un Presidente legittimo si difende armato di Kalashnikov e combatte fino al suicidio: questo però non è quanto sta per accadere in Siria, ma quanto già accaduto l’11 settembre 1973 in Cile, e quel Presidente si chiamava Salvador Allende.
Non si può certo paragonare Allende con Assad. L’eroe del Palacio de La Moneda non era certo il tirannello mediorientale che regge la Siria, ma un uomo che voleva aprire una nuova via di libertà e giustizia al popolo cileno. Non si creda, però, che allora godesse di così buona stampa come oggi: egli era un “comunista”, un uomo che apriva alla dittatura e a cui quel mostro di Fidel aveva regalato l’AK che avrebbe brandito nel suo ultimo combattimento.
No. Allende non è Assad, ma gli USA di allora sono gli stessi di ora, e oggi più che mai i due 11 settembre si incrociano. Quello di Ground Zero ha segnato l’inizio della linea politica egemonica USA del terzo millennio, è stato l’offesa subita che tutto permette agli Stati Uniti, almeno nei confronti del mondo islamico. Poco importa qui se hanno ragione i complottisti o le relazioni ufficiali sugli eventi delle Twin Towers: ai fini del ragionamento basta registrare che è da quell’11 settembre che la politica estera USA subisce una brusca svolta, che però si mantiene in linea con le vecchie pratiche, quelle in uso fin dall’11 settembre ‘73.
Nel 2001 l’offensiva degli States fu possibile e necessaria perché era venuto a mancare quel nemico assoluto che legittimava le violazioni statunitensi del diritto internazionale: l’assenza dell’URSS da una parte permetteva la politica di aggressione e dall’altra la rendeva necessaria. Senza un “male assoluto” da combattere chi mai avrebbe potuto essere dalla parte degli sceriffi di Washington?
Negli ultimi mesi sono però emerse tutte le contraddizioni di questi esportatori di democrazia che fondano la loro legittimità sulla guerra al terrore: da una parte si finanziano le stesse organizzazioni terroristiche accusate delle stragi di Manhattan, dall’altra ci si appoggia alle tiranniche teocrazie sunnite del Golfo.
In realtà, tuttavia, ben poco è cambiato nei metodi statunitensi dai tempi dell’11 settembre di Santiago del Cile: demonizzazione dell’avversario, insurrezione interna sostenuta e finanziata dai servizi e insediamento di un Quisling che riporti legge ed ordine. Certo va ribadito quanto già detto sopra: Assad non è Allende, nessun paragone può essere fatto fra i due, ma i parallelismi fra le situazioni sono leciti.
La differenza risiede forse nel fatto che all’epoca gli USA non avevano neppure l’ipocrita bisogno di spacciarsi per esportatori di democrazia, anzi potevano bellamente rovesciarla in nome dello scontro col blocco sovietico: le dittature filoccidentali erano migliori dei regimi socialisti vicini all’URSS, anche quando questi ultimi non tendevano a sfociare in tirannide, ma solo in giustizia sociale. Era, però, proprio questo per l’Impero Nordamericano delle Multinazionali il rischio più terribile e da scongiurare a tutti i costi.
Quello di Santiago fu anche un monito per tutti coloro che cercavano di sfuggire alla tutela USA: a nessuno sarebbe stato permesso, neppure per via democratica, anzi soprattutto non per via democratica, di mandare al potere regimi anticapitalisti in zone che gli USA ritenevano di loro esclusiva influenza. Anche in Italia il messaggio fu recepito forte e chiaro e la politica del PCI mutò radicalmente una volta compreso che una vittoria elettorale sarebbe sfociata in un golpe che avrebbe spodestato l’aspirante bieco dittatore comunista Enrico Berlinguer.
Sia chiaro: neppure Berlinguer era Assad, ma tiranno come il siriano lo avrebbe fatto percepire al mondo la stampa asservita alle veline CIA, dopo di che la caduta del suo governo, inviso agli Stati Uniti, avrebbe riportato legge ed ordine nel mondo; la questione democratica all’epoca non aveva peso: bastava l’anticomunismo.
Il messaggio che gli Usa vogliono mandare tramite l’attacco alla Siria non è però cambiato di una virgola: non ci si può ribellare alla volontà degli Stati Uniti, anche se adesso sembrano incapaci di riportare legge ed ordinecome insegna la  lunga linea di fallimenti che va dall’Afghanistan alla Libia.
Ma se gli Usa si mettono in marcia deve esser chiaro che nulla li può fermare, e non ci riferiamo agli eserciti, ma al diritto ed alla azione diplomatica. A nulla può valere, per chi diventa bersaglio potenziale dei missili statunitensi, rilevare che si tratta di questioni di ordine interno, rendersi disponibile agli ispettori ONU o dichiararsi disposto a mettere sotto tutela internazionale i propri arsenali chimici e decidersi a sottoscrivere i trattati internazionali in materia. Poco importa che le atrocità siano state commesse, come in ogni guerra civile, da ambo le parti: solo l’agnello che beve a valle del lupo va punito, quello che beve col lupo piò commettere ogni crimine, sia col gas che col fosforo bianco, che non essendo cavillosamente rubricato quale arma chimica, ma incendiaria, gli Usa e i loro amici di Tel Aviv possono usare liberamente come arma di distruzione di massa. Loro non hanno firmato i trattati sulle armi incendiarie e possono, loro e sempre e solo loro, non firmare altri trattati scomodi, lasciando proliferare armi di distruzione di massa, anche nucleari, o rifiutare di sottomettersi a tribunali internazionali, cui però vogliono deferire i loro nemici che non possono far proliferare neppure l’atomo civile.
Poco è quindi cambiato dall’11 settembre che vide Allende combattere con l’AK regalatogli da Fidel contro i mercenari USA, che aprirono alla terribile dittatura di Pinochet. Oggi sono i ribelli di Al Qaeda a voler rovesciare il regime di Assad. Allora la tirannia sostituì la democrazia, ora a tirannia si sostituirà tirannia peggiore e caos, ma grazie all’11 settembre delle Torri Gemelle tutto avverrà al ritmo della ballata ipocrita dell’esportazione di democrazia e difesa dei civili inermi.
Oggi c’è, tuttavia, una variabile nuova rispetto ai due precedenti 11 settembre. La Russia si è risollevata e la logica di Yalta è stata spazzata via dall’espansione NATO. Questo implica che: gli USA non sono più la superpotenza che tutto può senza timore di essere efficacemente contrastata anche sul piano militare, mentre su quello economico le parti rispetto agli anni 80 e 90 si sono totalmente invertite. La Russia non è più vincolata al patto di spartizione del mondo voluto a Yalta e le campagne denigratorie non bastano a trasformare Putin, o la Russia in sé, nel demone che si era riusciti a fare dell’URSS.
Le linee guida restano le stesse passando di 11 settembre in 11 settembre, ma vanno registrate  alcune varabili che non sono secondarie, specie se la goffa arroganza USA trasforma Putin nel grande pacificatore e l’aggressione alla Siria in una specie di operazione simpatia per Assad, che altrimenti di simpatia non ne meriterebbe alcuna.
In questo giorno in cui si incrociano due diversi 11 settembre è il caso di fermarsi per un momento di riflessione su come, grazie alla crisi siriana, gli equilibri del mondo stiano cambiando, se non sono già cambiati. Se per il meglio o per  il peggio bisognerà attendere e vedere come i protagonisti sapranno giocare le loro carte: la storia non è ancora scritta, ma si sta cominciando a riscriverla, nella speranza che vengano sconfitti coloro che seguono logiche da 11 settembre. Ma di quello del 1973.
Ferdinando Menconi


1 commento:

  1. Credo che questo video, con intervista a Edward Corry, ex ambasciatore Usa in Cile (con quel che apertamente dice), e dichiarazione alle Nazione Unite di Salvador Allende, possa chiudere il "trittico"...

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