sabato 31 agosto 2013

Addio vecchia Pechino - La preveggenza di Luigi Barzini

Militare italiano davanti all'ingresso principale del Palazzo Imperiale, Pechino 1901
Oh! cinesi, ciechi che non siete altro, lasciate una buona volta le vostre idiote utopie! Non vi curate se l'inviolabile tempio del Cielo diviene una Railway Station of the temple of Heaven - come c'è scritto a grandi caratteri -; lasciate che i padiglioni siano trasformati in buffet e l'arco d'ingresso al tempio in un "ufficio bagagli". Non badate se la ferrovia passa sopra la vostra antica fede. Infine il vostro culto, il vostro cielo, il vostro Shen-ti che cosa sono? parole, fantasie. Ridete se tutti i vostri parlamenti sacri del tempio del Cielo sono stati rubati, se le tavole degli antenati imperiali, che vi erano custodite da secoli in triplice urna, sono scomparse per riapparire forse in qualche museo - se non sono finite nel fuoco del rancio -; non ve la prendete se tutto è devastato dentro al sacro recinto. Pensate piuttosto agli infiniti benefici che questa ferrovia vi porta. Vedete noi? Noi siamo tutti felici dalla nascita perché abbiamo la ferrovia. Pensate che le vostre donne non avranno più bisogno di tesservi le loro tele e i loro damaschi; la ferrovia vi porterà delle cotonine bellissime a trenta centesimi il metro. Vi porterà dei bottoni fatti a macchina per le vostre brache, del Pear Soap e del cioccolato; vi porterà dei cappelli lobbia, delle sigarette americane, dell'oppio che non vi costerà neppure un terzo di quanto lo pagate ora. Vi abituerete al comfort, al benessere; questa è la felicità. Questa è la civiltà. Tutto quanto non è materia non conta più: i numi protettori, gli dèi, la punizione dei malvagi, il premio dei buoni, le anime dei morti, gli spiriti del bene e del male, e tutte le altre vostre sciocchezze, la vostra poesia, la vostra arte, sono cose che non vi porteranno una sapeca in tasca. Far quattrini, ecco il vero scopo della vita. Si studia, si crea, s'inventa, si lavora, si lotta, si fa la guerra al prossimo con un solo scopo: far quattrini. Imparate questo una buona volta, e sarete finalmente civili!
Da "Addio vecchia Pechino", del 19 marzo 1901, di Luigi Barzini, inviato in Cina dal Corriere della Sera durante la Rivolta dei Boxer (1899-1901)

giovedì 29 agosto 2013

La variabile umana

"La variablie umana" di Bruno Oliviero. Con Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Sandra Ceccarelli, Alice Raffaelli, Giorgia Senesi, Dafne Masin, Renato Sarti, Arianna Scommegna. Italia 2013 +
Un noir metafisico? Psicologico? Psichiatrico? Non saprei: di sicuro tremendamente lento e palloso: dura 83' ma sembrano due ore e mezzo e non si vede l'ora che arrivi la conlcusione, peraltro intuita all'incirca dopo 10'. L'ispettore Monaco (Silvio Orlando) da tre anni vive sepolto in ufficio a studiare carte, caduto in depressione dopo la morte della moglie. Il ritrovamento del cadavere dell'imprenditore Mario Ulrich, colpito da alcuni colpi di pistola e dissanguato, è il pretesto per il suo dirigente di rimetterlo in azione ma, combinazione, è la sera stessa in cui la figlia dell'ispettore, Linda (Alice Raffaelli: una patata bollita), viene portata in questura per una apparente "ragazzata": beccata a sparare contro delle bottiglie con la pistola d'ordinanza sottratta al padre. Da questo punto di vista il poliziotto e la figlia vengono "coperti" dal collega Levi (Giuseppe Battiston, una parte quasi irrilevante) e dal suo "capo", mentre per quanto riguarda Ulrich, frequentatore di discoteche dove girano coca e giovani escort (il démi monde che gravita attorno a Corso Como, per chi conosce Milano), viene inizialmente sospettata la moglie, la sempre brava e mai abbastanza  utilizzata Sandra Ceccarelli, ma Monaco non ne è per niente convinto. Nemmeno quando lei confessa di avere trovato il marito ancora vivo e averlo lasciato dissanguare, probabilmente per vendicarsi di tutti i tradimenti subiti per correre dietro alle sue "Lolite" pressoché adolescenti. Naturalmente la nemesi per un poliziotto sfigato, che ha perso la moglie e non riesce ad avere un rapporto con la figlia, alquanto turbata e psicopatica di suo, è una sfiga ancora maggiore: scoprire, a dispetto della "copertura" dei colleghi, che l'assassina di Ulrich è stata la figlia, per di più con la sua pistola (come se fosse credibile che un'insicura e fragile diciottenne maneggi disinvoltamente una calibro 9 con cui non ha dimestichezza, centrando il bersaglio al primo colpo): svelo il finale, così chi mi legge si evita di andare a vedere questa immane e pretenziosa rottura di coglioni, che si prende pure sul serio. Non so cosa abbia convinto tre bravissimi attori come Orlando, Battiston e Ceccarelli ad accettare di girare questo film, e mi dispiace per loro; la giovane Raffaelli sarebbe meglio che cambiasse mestiere, ammesso che la si possa definire attrice, o frequentasse per almeno un quinquennio una buona scuola di recitazione ammesso e non concesso che la accettino. Dopo un mese di astinenza dal cinema, il primo film della nuova stagione è assai deludente. E ora arrivano quelli di Venezia... La vedo male.

martedì 27 agosto 2013

USA, NATO e "Modello Kosovo"

Bombardamenti NATO su Belgrado, primavera 1999
Leggo, condivido in ogni suo punto e quindi riprendo e ripropongo l'analisi di Olivier Turquet  pubblicata ieri su Pressenza, International Press Agency, a proposito dell'"azione militare stile Kosovo allo studio dell'amministrazione Obama cui accennavo nel post di due giorni fa sulle "bufale chimiche" che aleggiano sulla Siria.
La recente evocazione del “modello Kosovo” da parte degli Stati Uniti come “modello” per una sempre più incombente campagna di guerra contro la Siria non intende concretizzare semplicemente una “opzione militare” (come la gran parte degli analisti tende a ritenere) bensì vuole rappresentare un vero e proprio “disegno strategico”: quello di una aggressione militare, fondata sugli interessi nazionali e la propensione imperialistica del sistema statunitense e mirata ad un “cambio di regime” in Siria, nell’ottica di un nuovo “Medio Oriente” da plasmare ad uso e consumo degli interessi e della presenza strategica degli Stati Uniti e dei loro alleati nell’area. Ritenere il “modello Kosovo” semplicemente alla stregua di una opzione militare tra le tante a disposizione degli Stati Uniti significa infatti negare alla guerra del Kosovo quel carattere, al tempo stesso paradigmatico costituente, da essa assunto anche nei piani del Dipartimento di Stato e della NATO.
La complessità della guerra del Kosovo, con il suo lungo dopo-guerra, può essere riassunta in almeno tre fattori:
a) il carattere “costituente” della campagna militare dell’Alleanza Atlantica per il ridisegno dello scenario regionale, l’assestamento della competizione strategica con Russia e Cina e l’insediamento di un vero e proprio protettorato strategico (di ordine politico e militare come dimostra l’installazione della base di Camp Bondsteel) nel cuore dell’Europa e della UE, a crocevia di ragioni geopolitiche e di interessi economici,
b) la mortificazione del ruolo dell’ONU, tenuta ai margini del processo decisionale di legittimazione internazionale dell’iniziativa militare, chiamata di conseguenza ad intervenire solo ex-post, con una sorta di legittimazione spuria ed un rinnovato impegno nella ricostruzione civile di ordine non militare (UNMIK),
c) la conferma del carattere etno-politico delle cosiddette nuove guerre (M. Kaldor) con tutto ciò che questo significa in termini di strumentalizzazione politica della questione etnica e religiosa, frammentazione delle composizioni multi-nazionali e multi-confessionali, successo dell’aberrante principio di “Stato della Nazione”.
Raffrontare questi fattori con gli elementi presenti sulla odierna scena siriana può fornire qualche utile indicazione per orientarsi nel ginepraio medio-orientale, sullo sfondo della competizione strategica con la Russia, l’Iran, e, soprattutto, la Cina, nella regione, e con la disgregazione di Stati che, a prescindere dalla loro corrispondenza agli standard, peraltro in vulgata occidentale, di “libertà” e “democrazia”, rappresentano degli ostacoli o avversari al progetto neo-imperialistico degli Stati Uniti e dei loro alleati in quello scacchiere.
La guerra del Kosovo, datata 1998-1999, vede nella primavera del 1998 il momento di avvio di una più ampia repressione della popolazione albanese da parte della polizia jugoslava, innescata dall’intensificarsi della guerriglia separatista e dell’attività terroristica dell’UÇK (Ushtria Çlirimtare e Kosovës), la formazione para-militare albanese-kosovara che si opponeva militarmente al governo legittimo nella regione. Nel corso dell’autunno del 1998 si contano già, secondo stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, oltre 200.000 profughi, sebbene risalga proprio all’autunno del 1998 la proposta di mediazione conseguita nella negoziazione di alto livello tra R. Holbrooke (inviato degli Stati Uniti) e S. Milosevic (presidente della Jugoslavia), la quale prevedeva il sostanziale ritiro di buona parte delle forze armate jugo-slave dalla zona e l’ampia smilitarizzazione dell’UCK che avrebbe dovuto cessare le proprie attività terroristiche, sotto il controllo di una missione di osservazione, monitoraggio e verifica internazionale da parte dell’OSCE.
La proposta di mediazione cadde nel vuoto per l’assenza di ogni progresso in ordine alla smilitarizzazione e per la prosecuzione delle attività della guerriglia armata nel cuore della regione; nel Gennaio 1999, la mediazione poté dirsi completamente fallita e la situazione peggiorò drammaticamente, a causa della spirale ritorsiva tra la guerriglia albanese-kosovara e la repressione da parte delle milizie jugoslave, fino allo stallo di ogni colloquio diplomatico e all’esaurimento della missione stessa dell’OSCE. Poco dopo, nel mese di Febbraio 1999, fallirono anche i negoziati intrapresi a Rambouillet tra una delegazione albanese e una delegazione jugoslava, sotto la pressione degli Stati Membri del c.d. “Gruppo di Contatto” (vale a dire Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Francia, Germania e Italia). La proposta di accordo venne infatti respinta sia dalla delegazione albanese-kosovara (perché non sanciva esplicitamente la futura indipendenza del Kosovo), sia dalla delegazione jugoslava (perché prevedeva il dispiegamento sul territorio jugoslavo di una forza militare della NATO con libertà assoluta di movimento e di azione contro il principio medesimo di sovranità).
Nel giro di poche settimane, nel Marzo 1999, la guerriglia albanese-kosovara, convinta dalle pressioni, rassicurazioni e raccomandazioni statunitensi, dichiarava di accettare la proposta di Rambouillet, lasciando così la parte jugoslava sola nel rifiuto della proposta, peraltro ampiamente viziata dall’aperta faziosità del tavolo di negoziazione e dal carattere-capestro delle clausole imposte. A tutto ciò si somma, da parte dei comandi militari della Jugoslavia, la convinzione di riuscire a sconfiggere “sul campo” la guerriglia dell’UÇK nonostante l’ormai probabile intervento militare dell’Alleanza Atlantica, fino a prefigurare l’eventualità di una ipotetica spartizione della regione, per rivendicare l’acquisizione di un’area del Kosovo etnicamente omogenea.
Nel giro di appena cinque giorni, dal 20 al 24 Marzo 1999, si sviluppò una dura campagna repressiva tra quelle messe in atto sin dall’autunno precedente dalle forze jugoslave nella regione, al punto da causare, in un lasso di tempo così breve, ca. 15.000 profughi. Tale circostanza venne manipolata e strumentalizzata dai circuiti mediatici e politici “occidentali” al punto da farne il presupposto “oggettivo” dell’aggressione. Lo stesso 24 Marzo 1999, i Paesi dell’Alleanza Atlantica cominciarono i bombardamenti su tutto il territorio della Serbia, ufficialmente in chiave dissuasiva, senza mandato di legalità da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dunque in conclamata, aperta e palese violazione della legalità e della giustizia internazionale.
La strategia seguita dall’Alleanza Atlantica mostra chiaramente come l’obiettivo immediato non fosse quello di evitare un’incombente tragedia umanitaria e proteggere la popolazione albanese-kosovara in pericolo, piuttosto quello di sconfiggere militarmente la Jugoslavia di Slobodan Milosevic, al fine di accelerarne la disgregazione e di consentire una rimozione del gruppo dirigente socialista, imponendo l’abbandono del Kosovo come contropartita della salvaguardia della Serbia, ovvero – se necessario – procedendo ad una vera e propria debellatio del governo, del sistema e del principio stesso della Jugoslavia in quanto tali. Lo mostrano la scansione e l’intensità dei bombardamenti (al ritmo di centinaia di raid aerei giornalieri): vennero attaccati e distrutti, anche in tal caso in violazione della giustizia internazionale, obiettivi non-militari e infrastrutture civili, impianti industriali, raffinerie di petrolio, oleodotti, ponti, ferrovie e strade, sino al bombardamento di Belgrado (il precedente più vicino era stato il bombardamento nazista, del 6 Aprile 1941) e di obiettivi quali la sede della televisione jugoslava e perfino il palazzo dell’ambasciata cinese in Serbia, per non parlare degli edifici governativi e delle centrali elettriche (inizialmente bombardate a ripetizione con “bombe alla grafite”).
La campagna militare, tuttavia, non raggiunse l’esito dichiarato: non è servita alla rimozione dal potere di Slobodan Milosevic e non ha concorso in alcun modo alla protezione della popolazione albanese del Kosovo. Si assiste così al sorprendente – voluto – paradosso di una guerra, non combattuta direttamente dalle presunte controparti, mediata dalla retro-azione di specifici interessi internazionali, fomentata dalle pressioni delle maggiori potenze imperialistiche, mirata a ri-legittimare in termini di potenza la presenza USA e NATO nella regione e conclusa con uno stallo spettacolare che avrebbe portato, quale unico esito plausibile, l’alternativa secca tra la cancellazione della statualità Jugoslava e la liquidazione della comunità albanese del Kosovo. Quella che, prima della guerra, con il finto negoziato di Rambouillet, si proponeva di avviare il processo dell’auto-determinazione, della separazione e dell’indipendenza del Kosovo, dopo la guerra, la tragedia umanitaria e i 78 giorni di cosiddetti “bombardamenti umanitari”, si traduceva negli Accordi di Kumanovo, che riconoscevano l’integrità territoriale e la sovranità serba sul Kosovo pur garantendo a quest’ultimo una “ampia e sostanziale” autonomia, costituendo le basi per il mandato della missione ONU e di quella NATO.
Dopo l’accettazione della Jugoslavia del piano di pace elaborato dai Paesi del G8 e dell’incorporazione di tale piano di pace nella nota Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, i Paesi NATO misero ufficialmente fine ai bombardamenti il 10 Giugno 1999. La guerra è costata come nessuna precedentemente combattuta in Europa, salvo quella di Bosnia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ed a pagarne il prezzo, come sempre, i civili indifesi: 78 giorni di bombardamenti di crescente intensità, che hanno pesantemente colpito sia il tessuto industriale sia le principali infrastrutture della Serbia (dal grande impianto automobilistico Zastava alle fabbriche di elettrodomestici, dalle raffinerie di petrolio alle autostrade, dai ponti sul Danubio, tutti distrutti tranne uno, agli aeroporti civili, alle strade e alle ferrovie), con stime che sono state peraltro tutte riviste in crescita. Secondo una valutazione del quotidiano “Borba”, i danni inferti ammontano a oltre 10 miliardi di dollari nella sola Belgrado, con 600 edifici danneggiati o distrutti, e oltre 100 miliardi di dollari nell’intero territorio della Serbia. Tanto per intenderci, due volte e mezzo l’interno prodotto interno lordo della Serbia (40 miliardi di dollari) del 2013. Infine, secondo valutazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ca. 280.000 profughi, tra serbi, montenegrini e Rom provenienti dal Kosovo, senza contare i danni del lungo dopo-guerra: imposizione della maggioranza etnica albanese sugli affari della vita pubblica del Kosovo, marginalizzazione delle minoranze, ghettizzazione dei serbi-kosovari nelle loro enclavi chiuse, distruzione dell’economia e della società e disoccupazione stimata al 50% della popolazione.
Ecco, in breve, il piano strategico racchiuso all’interno dello sbandierato “modello Kosovo” che si va pro-pagandando anche per l’odierna Siria: un progetto di disgregazione e devastazione, umana e materiale, in spregio del diritto e della giustizia, indifferente a qualsiasi autentica ragione “democratica” o “umanitaria”, alimentato da una virulenta strumentalizzazione dei fatti e da una spietata manipolazione dell’informazione, cui è necessario opporsi con tutte le energie, a partire dalle forze democratiche, per la pace e contro la guerra.

domenica 25 agosto 2013

Bufale chimiche

Per gentile concessione di Enzo Apicella
Siccome a proposito di un possibile intervento militare occidentale in Siria sembra di assistere allo stesso, identico format usato dall'amministrazione Bush dieci anni fa per giustificare l'attacco all'Irak (allora si trattava della "pistola fumante", ossia della prova, insussistente, dell'esistenza di "armi di distruzione di massa" a disposizione del regime di Saddam Hussein, come oggi riferendosi ad armi chimiche), mi chiedo per quale motivo pressoché tutti i media, ovvero i più micidiali "mezzi di distrazione di massa", insistano a riproporlo tale e quale, senza farsi venire alcun dubbio anche davanti a bufale conclamate. Probabilmente ritengono l'inclito pubblico in possesso di una memoria da pesce rosso, e quindi disposto a bersi quella versione che si vuol far passare per buona: si sa, una fandonia ripetuta all'infinito, come teorizzava il dottor Göbbels, diventa verità. Premetto che non ho alcuna particolare simpatia per la dinastia Assad, sia nella versione Hafez (padre) sia in quella Bashar (figlio), che succedette al primo nel 2000, ma constato che, fino alle rivolte del 2011, la Siria fosse un Paese piuttosto sicuro, dove le minoranze (numerose) erano garantite e i tribalismi sotto controllo; così come era l'Irak sotto il regime di Saddam Hussein: una paradiso rispetto al caos, alla macelleria quotidiana e alla miseria che lo affliggono oggi. Inoltre, Bashar al Assad, di educazione europea, godeva inizialmente di ampie credenziali "democratiche" in Occidente e viene quasi il sospetto che il caos sia stato scatenato proprio quando cercava di mettere in atto i suoi intenti riformistici: difficile farlo con "interlocutori" che, armati all'estero, scatenano una vera e propria guerra civile contro uno Stato di cui è legittimo presidente. Secondo le notizie diffuse a metà settimana, il governo avrebbe lanciato un attacco con gas chimici (Sarin) in una zona di Damasco adiacente a quella residenziale in cui abita prevalentemente la classe media filogovernativa causando un numero imprecisato di morti, specialmente bambini, comunque nell'ordine di diverse centinaia, proprio mentre nel Paese erano presenti ispettori internazionali inviati all'uopo e quando la situazione sta volgendo a favore del regime, considerate le spaccature e le guerriglie interne a un'opposizione tutt'altro che omogenea e unita negli intenti. Ora: Bashar sarà anche un despota, ma non è un deficiente. Per un elenco di obiezioni ben argomentate che, smascherando una serie di falsità e imprecisioni, conferiscono alla vicenda un sentore di bufala, potete aggiornarvi qui. Io ne aggiungo una mia personale. E' di oggi la notizia di una sorta di conferma della "strage chimica" da parte di una fonte "indipendente" e apparentemente attendibile come Medici Senza Frontiere, la quale asserisce che sono "circa 355 le persone che presentavano sintomi neurotossici" morte negli ospedali in cui opera la ONG (e 3600 il totale delle persone ricoverate nelle medesime strutture dal 21 agosto, data del presunto attacco chimico). Il che di per sé non vuol dire un accidente, perché non specifica né i luoghi né costituisce prova della responsabilità del governo ufficiale. Faccio però notare che MSF è legata a doppio filo a un certo Bernard Kouchner, che ne è uno dei fondatori, un personaggio così ambiguo e discusso che la sua credibilità è pari a zero. Già comunista sessantottardo, poi socialista di scuola mitterrandiana, dal 1999 al 2001 è stato "Alto rappresentante speciale dell'ONU nel Kosovo" (ma guarda un po': è un "azione militare stile Kosovo" quella che sta valutando l'amministrazione Obama...); è stato uno dei teorici del "diritto d'ingerenza umanitaria" (anche il nostro Adriano Sofri ha avuto un percorso simile, fulminato sulla via di... Damasco, che nel suo caso fu Pristina); nel 2003 si pronunciò a favore dell'intervento USA in Irak in nome della liceità delle guerre, per l'appunto, "umanitarie" fino a diventare ministro degli Esteri della Repubblica Francese sotto la presidenza Sarkozy (altro bel personaggio). Considerando la smania interventista dei nostri cugini tricoleurs in tutto l'universo panarabo (vedi Tunisia e Libia, i casi più recenti) perché dovremmo berci senza fare un plissé le cifre e le congetture propalate dall'organizzazione che non ha mai smesso di controllare e manipolare? Di certo da me non vedranno più un solo euro. E non me la bevo. 

martedì 20 agosto 2013

Fogón de los Arrieros: un compleanno speciale


Celebra oggi i 70 anni di vita la Fundación El Fogón de los Arrieros, e lo fa nel giorno del genetliaco del suo fondatore, il rosarino Aldo Boglietti, che oggi compirebbe 105 anni e aveva risalito il Paraná fino a Resistencia, capitale del Chaco, terra d'italiani d'oltremare al Nord dell'Argentina. Intuizione modernissima e creazione di Aldo, il "Fogón" è una straordinario centro che sostiene e promuove qualsiasi forma artistica in ogni sua manifestazione in questa città "lontano da dio e dagli uomini" però incredibilmente viva, e la sua scoperta fu l'esperienza più sorprendente e che più mi è rimasta nel cuore di un viaggio nel "Norte" che feci sei anni fa e ne avevo scritto in quell'occasione. Denominato "club, tempio dell'amicizia, museo, istituzione culturale", è a suo tempo ciascuna di queste cose diverse e al contempo le riassume, ma soprattutto è una straordinaria esperienza umana: un "modo di vita" che esprime l'anima chaqueña, la cultura e l'identità di un popolo, ma in maniera che non potrebbe essere meno provinciale. "Vi aspettiamo alle 20 e 20 per berci almeno 20 copas", recita il tradizionale invito alla Villetta di Brown 350 inviato a tutti i fogoneros, e lo diventano di diritto tutti quelli che partecipano, anche per puro caso, ai suoi eventi: veri e propri happening in cui più sempre succedere qualcosa di inaspettato. E intonare 20 volte l'inno di Aldo, quello che è riprodotto nell'invito che riporto quei sopra. In alto i calici, dunque, (idealmente 20 volte) e un abbraccio da quassù a Raúl Maderna, alla sua splendida famiglia e a tutti i collaboratori nonché fogoneros e al perro Fernando: lunga vita!

venerdì 16 agosto 2013

Da Pannella alle Piramidi: cercando un altro Egitto

Poi così è come si autopresenta (e celebra) sul suo sito la ministronza radicula degli Esteri: pensavo che con Talibalema e Frattini avessimo raggiunto il fondo. Ma non c'è mai un limite. Però Francesco De Gregori cantava...

giovedì 15 agosto 2013

Sbraitore

Da qualche tempo opera sotto traccia e non si fa notare troppo: per questo lo temo ancora di più. Da anni penso che sia il perfetto successore di Silvio Berlusconi, bruciato ma mai abbastanza dalle sue vicende giudiziarie (in un Paese serio gli avrebbero già organizzato dei roghi in piazza da vent'anni, e invece è qui a tenere sotto eterno ricatto un governucolo servo e ridicolo), nelle preferenza masochistiche degli italioti: Flavio Briatore. Altro che la figlia Marina, quella inguardabile cafona rifatta che dirige le aziende di famiglia e ha smentito, altro insopportabile luogocomunismo giornalistico, di intendere "scendere in politica". Che bisogno c'è: già il padre fa il bello e cattivo tempo nonostante tutto, e ci sono i suoi sgherri eletti in parlamento (il secondogenito, conosciuto a Milano e dintorni come Pierpirla, come suggerisce il nome, non è capace nemmeno di allacciarsi le scarpe da solo e neppure occuparsi del Milan, ché perfino la sorella Barbara è più intelligente). Ma siccome al peggio non c'è limite, lo intravedo là, come il peggiore dei miei incubi notturni in quest'estate non molto felice: Flavio Briatore. Il perfetto clone del ciarlatano brianzolo, ma in versione langarola, che ci stiamo tenendo sul groppone da più di trent'anni (io conto anche quelli in cui gli è stato concesso di lanciare le sue televisioni, a pagamento nostro, che hanno desertificato definitivamente il cervello degli italiani), e perfetto interprete dell'essenza dell'italiota medio, o almeno di quello che va a votare (e poi abbiamo la fama di essere il Paese del buon gusto...): ignorante come una capra e orgoglioso di esserlo, metodico truffatore patentato con tanto di sentenze ultradefinitive a carico, sbruffone, arrogante, sgradevole, ma ben attento al potere dell'"immagine", che qui fa tanto successo televisivo. E quindi è anche il grande "GOL" possibile per una entrata, pardon: discesa, o salita, ché fa lo stessoin politica. Come a suo tempo per quell'altro stronzo col suo Milan Stellare (e non lo dico da interista incallito: non ne ho bisogno). Che ha, come quell'altro tipo brianzolo, il potere pericolosissimo di essere capace di incantare i serpenti. Ce ne abbiamo avuti altri, come Mussolini, ma nessuno se ne ricorda, e direi oggi Grillo, un buon epigono. Poi ci abbiamo i competitori di secondo livello, come il Gianberlusca fiorentino, naturalmente sempre in pole position nelle quotazioni dei nostri media compattamente allineati, che nemmeno ho più la fantasia di definire, per quanto mi fanno ribrezzo. E gli idioti che si lasciano abbindolare. Non so nemmeno più se questo Paese, come tale, avvelenato dalla propria coglioneria, si renda conto della gravità  della situazione: la mancanza di eticità è rappresentata da un monarca autoeletto che da anni andrebbe messo in stato di accusa per attentato alla Costituzione (che infatti, come da piani piduisti, vuol cambiare). Però se arriva Briatore, io me ne vado. Definitivamente.
A proposito: Buon Ferragosto, neologismo orrendo che la dice tutta, ma che è l'unica festa a cui è devota la Terra dei Cachi e vi si identifica.

martedì 13 agosto 2013

No comment

Rubo da quelil del "Fatto", che non me ne vorranno, perché definisce perfettamente la grottesca, se non fosse anche tragica, situazione in cui ci siamo ridotti. Comincio però a dubitare che una risata non li seppellirà.

domenica 11 agosto 2013

Radiculi


Ma lo ricordate quando questi stronzi erano i campioni del libertarismo, della non violenza, dell'internazionalismo: perfino si erano inventati il partito transnazionale e pure Gandhiano? MI vergogno profondamente di averli perfino votati, e per ben due volte.

martedì 6 agosto 2013

domenica 4 agosto 2013

Bonnes vacances!

Bertrand Russell: Uno dei sintomi dell'arrivo di un esaurimento nervoso è la convinzione che il proprio lavoro sia tremendamente importante.

giovedì 1 agosto 2013

Gotorade / Chi l'ha visto?

Qui Bersani mentre viene "allenato" da Gotor prima di un dibattito televisivo. Sul tavolo, bottiglie di "Gotorade", la nota bevanda energetica
Ve lo ricordate Miguel Gotor? Consigliere personale di Pier Luigi Bersani, è stato il guru dell'ultima, disastrosa campagna elettorale del PD, demenziale, memorabile per pochezza, gloriosamente fallimentare. Onnipresente allora come un prezzemolo, catapultato al Senato in quanto capolista in Umbria (bella forza, come Berlusconi in Brianza), dopo il miserando esito elettorale è sparito dai radar, svanito nel nulla come una scoreggia nell'Universo (© Umberto Bossi riferendosi a Pierferdi Casini). Quasi quasi ne sento la mancanza, perché col suo contributo mandi definitivamente a picco, quale nuovo Schettino di questa Costa Concordia di mascalzoni, la bagnarola del PD.