giovedì 27 giugno 2013

A Hvar, sfuggendo all'idiota globalizzato: si può fare!

Campo di lavanda a Hvar
L'isola di Hvar (Lesina), in cui mi trovo felicemente da nove giorni e senza alcun desiderio di far ritorno nella Terra dei Cachi, è la terza più estesa dell'Adriatico, dopo Veglia e Cherso, e la più grande della Dalmazia propriamente detta oltre che senz'altro la più lunga, con il suoi 68 chilometri da Est a Ovest e una larghezza  media di cinque chilometri. Slanciata, pur se posizionata in orizzontale è, assieme a Meleda (Mljet), la più bella della costa croata: se ne è accorta anche la Lonely Planet, che l’ha inserita tra le 10 isole “top” al mondo, col risultato che il suo capoluogo, Hvar, è invaso da anglosassoni di varia declinazione.
Hvar
Modaiola Hvar lo è sempre stata, essendo da tempo tra le mete diportistiche più frequentate dell’Adriatico; ora, con l’invasione di mandrie di cazzoni tra cui svettano per bruttezza, scurrilità, cattivo gusto, idiozia come sempre gli yankees, secondi per ignoranza e buzzurraggine solo agli aussies (di cui circolano qui agli antipodi della terra dei canguri rari esemplari, ma quei pochi micidiali), è diventata altresì meta della “movida” del "popolo da happy hour " (la consiglio ai milanesi, i più titolati competitors italioti degli imbecilli di cui sopra). In tre anni dalla mia ultima visita la situazione è precipitata, col risultato che questa cittadina, di per sé un gioiellino, si è riempita di negozi di souvenir, locali trendy e della solita spazzatura proposta a livello globalizzato a prezzi che solo dei dementi prendono in considerazione di pagare, e che di conseguenza anche gli indigeni sono diventati discompiacenti, con in testa l’unico obiettivo di spennare il grullo di turno (che del resto se lo merita ampiamente). Tutto ciò è un male, perché ha reso Hvar improponibile se non per una toccata e fuga (la mia visita di due giorni fa si è risolta in un’ora scarsa), in compenso il resto dell’isola, per il viaggiatore o turista avveduto è, specialmente in bassa stagione come in giugno e settembre, un paradiso a prezzi più che abbordabili. 
Vrboska
Per un soggiorno stanziale e che permetta facili escursioni sull’isola una prima opzione è l’altro centro principale, Stari Grad (Cittavecchia), dove attraccano i traghetti da Spalato per chi giunge in auto o moto, l’antica Pharos fondata dai greci nel IV secolo A.C., cittadina gradevolissima e molto più “autentica” di Hvar; le altre sono Vrboska, 6 chilometri più a Est sulla costa settentrionale, che si trova in fondo a un fiordo che si insinua nel paese fino a diventare un canale, dove ho preso alloggio io, o Jelsa, un paio di chilometri ancora più a Est: qui non si corre il rischio di incontrare la fauna che spopola a Hvar: in questo periodo la zona è frequentata prevalentemente da croati e bosniaci (la frontiera è a sue passi e Sarajevo è poco distante) e poi, a scendere, polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi, austriaci, italiani. Assenti i russi, che sono l’equivalente europeo degli aussies, che si muovono in gruppo ammassandosi, peraltro a prezzi impraticabili, nel vicino Montenegro, della cui costa hanno fatto uno scempio ecologico, e dove, tra mafiosi, si sentono a proprio agio. I tedeschi, mi chiederete? Certo, ci sono (come fanno a mancare?), ma fortunatamente si autoconfinano nei campeggi per nudisti oppure arrivano con la barca, per cui non danno troppo fastidio. Taccagni come sono, difficilmente frequentano trattorie, osterie e bar. 
Terra rossa, viti e ulivi vicino a Pitve
Se si desidera una soluzione ancora più tranquilla, un’ottima alternativa è Zavala, sulla costa Sud, che si raggiunge da Jelsa salendo lungo una strada scoscesa a Pitve (un paesino quasi spopolato in cima a una collina che domina una zona ricchissima di vigneti e oliveti: Hvar è sì pietrosa, come tutte le isole dalmate, e boscosa: ma dove c’è, la terra, rossa e ricca di ferro come in Istria, è fertilissima) e prendendo da lì l’omonimo tunnel a senso unico alternato (tranquilli: c’è un semaforo collegato a un sensore) così stretto da essere inquietante: al proposito è diventato leggendario il fatto, realmente accaduto, del camper, ovviamente condotto dal solito tedesco, che vi rimase incastrato; sempre la leggenda narra che la soluzione per farlo uscire da lì la trovò un bambino che assisteva alla scena della folla che si arrabattava attorno al mezzo rimasto intrappolato: sgonfiargli le ruote (tutto questo lo riporta Alessandro Marzo Magno in “Il leone di Lissa” - Viaggio in Dalmazia”, il Saggiatore, 2003, il mio personale Baedeker che mi accompagna da qualche anno nelle mie incursioni da questo lato dell’Adriatico). 
Vigneti a Zavala, con le isole di Torcola (Scedro) e Curzola sullo sfondo

Sbucati sul versante meridionale dell’isola, a Zavala si trovano ottime ed economiche soluzioni in camere o appartamenti in affitto e numerose spiagge di ciottoli e non soltanto i consueti scogli. Proseguendo verso Ovest si incontrano i borghi Ivan Dolac e infine Sveti Nedjelja, regno di Zlatan Plenkovic, propritario della maggiore azienda vinicola privata della Croazia, di cui ho già parlato nella mia escursione di tre anni fa sull’isola, quindi vigneti su vigneti: colate di verde intenso che sembrano gettarsi a capofitto in un mare che dal turchese all’indaco ha tutte le sfumature di blu che si possono immaginare. 

lunedì 24 giugno 2013

Ma non è una cosa seria...

Anche se nei prossimi giorni in Italia se ne disquisirà fino allo sfinimento, dando naturalmente ampio spazio a questo mascalzone di fare la vittima e aizzare i suoi cani da guardia, a me questa sentenza di condanna, senza effetti pratici immediati di alcun genere, sembra una via di mezzo tra una petizione di principio e una presa per il culo. E non sono disposto a ricredermi finché non vedrò il manigoldo assicurato dietro le sbarre, buttato fuori una volta per tutte dal Parlamento (a dispetto della Giunta delle Elezioni) dove soggiorna abusivamente da 19 anni grazie alla connivenza di tutti i suoi colleghi, e messo finalmente nelle condizioni di non nuocere. Quindi personalmente non mi associo ai peana alla magistratura. A proposito, domanda incidentale: verrà disposto il ritiro immediato del passaporto a questo individuo? Per togliercelo definitivamente di mezzo, preferisco fare affidamento sulla Grande Mietitrice piuttosto che sulla magistratura nostrana: non certo sulle "forze politiche" e sugli elettori che si ostinano a dar loro il voto. La bottiglia di Dom Pérignon è sempre in fresco, all'occorrenza...

venerdì 21 giugno 2013

Solstizio a 43°08′N 16°44′E

Vigneti a Zavala (Hvar) con l'isola di Scedro e Curzola sullo sfondo
Ancora una volta mi è riuscito di celebrare il solstizio d'estate in riva al mare, su un'isola, e col sole. A distanza di sicurezza dagli effluvi nefasti emanati dalla sempre più marcia Terra dei Cachi, vicino ma lontano, per tanti aspetti anni luce, dall'Italia, per quanto Lesina (Hvar in croato, Pharos in greco) italiana o, meglio, veneziana, lo sia stata per diversi secoli. L'isola della lavanda (introdotta nel 1925 da qualche marinaio che aveva portato con sé i semi dalla Provenza: da queste parti ha trovato terreno e clima ideale per attecchire e profumarne l'aria, specie in questa stagione), delle vigne (spesso a picco sul mare: mai viste così tante su un'isola dalmata, nemmeno nella vicina Curzola) e dell'ulivo. Già visitata di corsa, questa volta me la godo da stanziale. Con camera a 20 € a notte, connessione internet a velocità invidiabile e ovviamente gratuita, volendo aria condizionata (ma non serve proprio) e niente TV tra i coglioni, perché tanto la "Confederation's Cup" non frega niente a nessuno. Volendo, un piccolo angolo di paradiso c'è: poi qualcuno mi chiede perché amo questi posti in cui mi sento invariabilmente nella mia dimensione, come dire "a casa". 

lunedì 17 giugno 2013

Il fondamentalista riluttante

"Il fondamentalista riluttante" (The Reluctant Fundamentalist) di Mira Nair. Con Riz Ahmed, Kate Hudson, Lijev Schreiber, Kiefer Sutherland, Om Puri e altri. USA, GB, Qatar 2012 ★★★+
Un buon film, che affronta da angolazioni diverse dal solito sia la supponenza tutta statunitense la propria way of life e il conseguente modo di interpretare la realtà siano gli unici a rappresentare il "progresso" e che questo li legittimi a intervenire in ogni parte del mondo per esportarli, difendendo così i propri interessi, sia i motivi che possono spingere perfino esponenti del mondo islamico cosiddetto "moderato", inclini ad essere attratti dal modello americano, a schierarsi contro la superpotenza. E' quel che capita a Changez Khan, già giovane e brillante analista finanziario nel rampante mondo di Wall Street, un vero e proprio figlio di puttana che valuta le società da mettere in vendita e le "razionalizza" tagliando teste senza alcuna pietà, tanto bene inserito nella upper class newyorchese da diventare il più giovane socio, benché straniero, della finanziaria per cui lavora, sia di avviare una relazione sentimentale profonda con Erica, nipote del presidente della company e "artista fotografica", alquanto sciroccata ma stronza almeno quanto lui. Arriva però l'11 settembre 2001 e con il crollo delle Torri Gemelle cambia tutto e il giovane pakistano viene percepito e spesso trattato come un intruso e un "sospetto" e comincia a farsi delle domande. La pellicola ruota attorno a un'intervista che Changez, nel frattempo rientrato a Lahore, dove insegna all'università, concede al giornalista USA Bobby Lincoln nel bel mezzo del rapimento di un suo collega statunitense che insegna nella stessa università e di forti tensioni tra studenti e polizia alla caccia dei sequestratori. In essa Changez, a sua volta proveniente dalla buona borghesia pakistana, benché decaduta, racconta il realizzarsi del suo "sogno americano" e la sua vicende sentimentale con Erica, causa non ultima della suo ritorno in patria e dell'avvicinamento (in realtà solo parziale) alla causa dei mujaheddin. In questo racconto, e negli spunti che offre (compreso il rapporto col padre di Cangez, un letterato che non condivide l'aridità affaristica del figlio), la pellicola dà il suo meglio, mentre è farraginosa e piuttosto confusionaria la parte dell'azione, con un improbabile commando misto CIA-FBI che sta dietro al giornalista, un tempo ammiratore di Ahmad Shah Massud, il "Leone del Panshir" e passato a sua volta, in seguito all'11 settembre, a libro paga della CIA, arruolato proprio dall'insegnate sequestrato. Solo alla fine si renderà conto della sincerità di Changez, che l'acuta "Intelligence" USA sospettava essere la "mente" del sequestro, mentre questi si rivela essere un uomo che attraverso la propria esperienza ha capito quanto sia necessario, per ragionare sulla realtà e interpretare le situazioni, stare alla larga da ogni fondamentalismo, religioso così come economicista, ossia proprio i due modelli che si scontrano in Pakistan come altrove nel mondo, e che alla fine ha interiorizzato il messaggio del padre e ora è ben cosciente del ruolo che può svolgere nel suo Paese, ma non certo in quegli USA che si ostina a dire di amare. Io molto meno, e per questo trovo positivo il messaggio del film.

sabato 15 giugno 2013

Dai colpi di "tonfa" ai colpi di spugna una sola certezza: l'impunità

E' da quando ho raggiunto l'età della ragione, arrivata "di botto", è il caso di dirlo, un  pomeriggio di dicembre di 44 anni fa, che non mi sono mai più fatto illusioni di vivere in uno Stato di diritto (che in Italia assume, quando va bene, una valenza puramente formale), con la certezza, anzi, di essere sottoposto all'arroganza e alle angherie di uno Stato di-storto, ma è sempre bene tenere a mente la situazione e gli occhi  bene aperti, e allo scopo giungono a proposito le recenti sentenze di primo grado sull'omicidio di Stefano Cucchi mentre era in custodia all'ospedale Sandro Pertini di Roma, e quella della Corte di cassazione sulle violenze avvenute alla caserma-carcere di Bolzaneto nel luglio del 2001 in coda al G8 di Genova (a 12 anni dai fatti). Agenti assolti (e scene di tripudio da stadio da parte di questi ultimi alla lettura del dispositivo) e condanna per omicidio colposo per sei medici (con sospensione della pena) nel primo caso; quattro assoluzioni, la conferma delle sette (lievi) condanne inflitte in appello e ben 37 prescrizioni nel secondo caso, rendendo ancora più difficile ottenere il risarcimento del danno in sede civile. Insomma viene ribadito, se ve ne fosse stato bisogno, che chi detiene l'Autorità in questo Paese può abusarne a man salva su chi non può difendersi mentre è cieco, sordo e muto di fronte alle violazioni della legalità di chi può permettersi di cambiare le norme a suo piacimento o di assoldare stuoli di legulei esperti nel districarsi nei meandri della giungla legislativa da loro stessi creata: non a caso sono la categoria più rappresentata in Parlamento assieme a quella dei pennivendoli sedicenti giornalisti, scherani di ogni potere e complementari ai primi nell'opera indefessa di mistificazione dei fatti e manipolazione della realtà. Salvo rare eccezioni, ecco chi sono gli ingranaggi parassitari ma necessari di un sistema capace di reggersi unicamente sulla sopraffazione e l'intimidazione: è sempre bene ricordarlo. Estote parati...

giovedì 13 giugno 2013

Killer in viaggio

"Killer in viaggio" (Sightseers) di Ben Wheatley. Con Alice Lowe, Steve Oram, Eileen Davies, Tony Way e altri. GB 2012 ★★★½
Eros e Thanatos nelle Midlands: film estremamente british, è altamente sconsigliato a chi non sopporta le eccentricità, i vezzi, le ossessioni e il modo di fare degli inglesi, nonché il loro senso dell'umorismo tendente al macabro, a meno di non voler veder corroborati i propri pregiudizi. Il cliché è perfettamente rappresentato dai protagonisti, lei, la trentaquattrenne Tina, tiranneggiata da una madre odiosa e ipocondriaca, dal sorriso equino, lui dallo sguardo evasivo quando non è maniacale, entrambi rosso criniti, lui, Chris, finalmente l'amore, con cui parte per il primo viaggio della sua vita in roulotte (è detto tutto), una sorta di delirante viaggio nella memoria e nelle passioni di Chris appunto nelle Midlands, a cominciare dal museo dei tram, dove "per caso" causano la morte di un visitatore che getta cartacce per terra alzando il dito medio quando loro, scandalizzati dalla mancanza di rispetto del suo comportamento, lo redarguiscono. Da lì ha inizio una serie di omicidi particolarmente violenti a opera inizialmente di Chris e poi della stessa Tina, in un crescendo, tra sesso compulsivo e rivelazione del proprio io profondo, che li rende degli autentitici serial killer in nome dell'osservanza delle regole di un sistema e di un mondo che li ha esclusi e resi marginali e disadattati per primi, il tutto con una sorta di innocenza pur nella brutalità anche questa molto inglese, che li porta a vedere i loro crimini come una sorta di pulizia ecologica, perché l'eliminazione di persone "inquinanti" si può pur sempre vedere come una salubre riduzione di emissioni nocive. Tecnico con velleità da scrittore lui, psicologa non esercitante e perennemente dedita al lavoro a maglia (fantastico il completino sexy rosa con tanto di apertura strategica nella mutanda), concludono il loro itinerario insieme a un cane in crisi di identità in cime a un acquedotto romano: la scena finale, che lascia presagire un epilogo alla "Thelma e Louise", è a sorpresa. Bravissimi i due interpreti principali, autori anche della sceneggiatura, perfetto il commento musicale, ottima la fotografia, una commedia dark ironica, inconsueta, cattiva al punto giusto.  

sabato 8 giugno 2013

giovedì 6 giugno 2013

Shopping and Fucking

"Shopping and Fucking" di Mark Ravenhill. Regia di Ferdinando Bruni, traduzione di Barbara Nativi. Con Ferdinando Bruni, Alessandro Rugnone, Camilla Semino Favro, Vincenzo Giordano, Gabriele Portoghese. Luci di Nando Frigerio, suono di Luca De Marinis. Produzione Teatro dell'Elfo con il contributo di Next-Laboratorio delle idee per Oltre il Palcoscenico. Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 29 giugno.
Si tratta della pièce che ha rivelato il talento di Mark Ravenhill, considerato uno dei migliori nuovo drammaturghi inglesi nel 1996, rappresentata per la prima volta in Italia già nel 2000 e che Ferdinando Bruni ripropone all'Elfo con gli stessi giovani e bravi interpreti del 2010: uno spettacolo dai ritmi serrati, cinematografici, con una quindicina di scene che si susseguono senza soluzione di continuità sul palcoscenico, ambientate tra un appartamento, una sala prove di un centro commerciale, un ufficio, un monolocale e un pub, protagonisti quattro giovani: un tossicomane omosessuale, una giovane attrice disorientata e il suo amico bisessuale, infine un fragile e abusato ragazzo che si prostituisce, destinato a un'esistenza da capro espiatorio; unico adulto un "Grande Vecchio", manipolatore e amorale, Brian, che elargisce pillole di cinismo, dimostrando come il denaro sia l'unico valore dietro a ogni rapporto umano. Lo confermano i quattro protagonisti, ragazzi senza un retroterra culturale ed etico, sprovvisti si una identità propria che non sia quella prettamente  consumistica e basata sull'immediato, lo shopping compulsivo così come il sesso, virtuale, etero o omosessuale che sia, incapaci di instaurare una relazione che non abbia come corrispettivo una somma di denaro. Le battute, in un spesso linguaggio crudo così come le esplicite scene di sesso, si susseguono incalzanti e precise, la prova dei quattro affiatati interpreti è convincente ed ineccepibile, calibrate le luci e adeguato il commento musicale. Una curiosità: i nomi dei protagonisti, Mark, Robert e Gary sono presi dai "Take That"; boy band celebre negli anni Novanta, da cui proviene Robbie Williams, e da Lulu, che collaborò a un loro single. Uno spettacolo quanto mai d'attualità anche due decenni dopo la sua realizzazione, in una realtà se possibile ancora più dominato dalla mercificazione di ogni aspetto dell'esistenza e dal dominio in contrastato del mercato e del suo unico dio: il denaro. 

lunedì 3 giugno 2013

Tutti pazzi per Rose

"Tutti pazzi per Rose" (Populaire) di Régis Roinsard. Con Romain Duris, Deborah François, Bérénice Bejo, Shaun Benson, Nicolas Bedos, Mélanie Bernier. Francia 2012 ★★★+
Una commedia sentimentale simpatica, rilassante, molto francese, volutamente rétro però non sdolcinata, perfetta per trascorrere serenamente un paio d'ore e rinfocolare un po' di malinconia a chi è abbastanza avanti con gli anni per ricordarsi la fine dei Cinquanta, in cui la storia è ambientata, peraltro alla perfezione. Che è quella di una ragazza della provincia normanna, Rose Pamphyle, figlia di un piccolo commerciante, che aspira a trasferirsi in città per diventare segretaria, allora professione alla moda e simbolo di emancipazione femminile (ma anche, come si vedrà, di tipica competitività capitalista). Concorre a un posto presso un giovane e affascinante assicuratore, Louis Echard, già partigiano e persona colta, che la ingaggia pur essendo lei totalmente inetta tranne che nel battere a macchina in modo sorprendentemente veloce pur facendolo con due sole dita. La convince così a partecipare a delle gare di velocità di dattilografia facendole da trainer e la fa trasferire nella sua ricca magione dove vive da scapolo. Lì la allenerà facendola ribattere a macchina tutta una serie di classici della letteratura francese e acquisire una tecnica a dieci dita, prendendo pure lezioni di piano dalla ex fidanzata di lui per tenere "calda" la mano e ammorbidirne le prodigiose dita. Lei vincerà tutte le competizioni a cui prende parte, dal livello regionale a quello nazionale, e nel frattempo inevitabilmente si sviluppa la liaison amoreuse, pur con le prevedibili schermaglie e i malintesi a cui non si sfugge, fino alla rottura della relazione e del sodalizio col suo pigmalione e il passaggio di Rose alla scuderia dei produttori della portatile "Populaire", l'equivalente della gloriosa "Lettera 32" della Olivetti, quando lei parteciperà, a New York, ai campionati mondiali. Sfida finale con la campionessa USA in tre round mozzafiato, che Rose vincerà all'ultimo quando riapparirà Luois  che saprà motivarla con le parole giuste ("ti amo", ça va sans dir, ) e lei sceglierà di usare la sua vecchia macchina anziché la "Populaire" nell'ultimo, decisivo spareggio. Lo Happy End era naturalmente scontato fin dall'inizio, meno le citazioni cinéphile ma mai fastidiose, alcuni accenni letterari nonché ironie sottotraccia sul falso mito della modernità e l'affarismo a tutti i costi, che dimostrano quanto un innocente e leggero raccontino rosa possa non essere per forza stupido e banale. Assolutamente adeguati e credibili gli interpreti principali, sbalorditiva la quantità e qualità di caratteristi a fare da contorno, la forza del film sta nel sembrare un film dell'epoca, oltre che essere un film su quel tratto felice e pieno di ottimismo del secolo scorso. Niente da dire: a produrre commedie di qualità i cugini d'Oltralpe ultimamente sono proprio bravi: lo fanno con una soavità e delicatezza che da noi, con l'aria che tira, è sconosciuta.