martedì 30 aprile 2013

The Rolling Stones Crossfire Hurricane

"The Rolling Stones Crossfire Hurricane" di Brett Morgen. Con Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts, Bill Wyman, Ron Wood, Mick Taylor, Brian Jones. USA 2013 - Senza giudizio
E' dal 1970 che dò il mio tributo di presenza ad ogni apparizione europea della Greatest Rock and Roll Band in The World: non considero Europa la Gran Bretagna, per cui non mi ritengo latitante per l'assenza al doppio concerto di Londra del 25 e 26 novembre scorsi delle mie vecchie e amate cariatidi, né alle prossime esibizioni in programma per fine giugno al Festival di Glastenbury e, il 6 e 13 luglio, a Hyde Park, Londra. Non ho potuto però esimermi dal fiondarmi a Trieste ad assistere, al primo spettacolo possibile, dell'anteprima di questo documentario che non aggiunge nulla a ciò che già si sapesse o avesse visto in precedenza a proposito della band nata nell'East End londinese che celebra in questo 2013 i 50 anni di attività. Attraversati da un "uragano di fuoco incrociato", come dice il verso tratto da "Jumping Jack Flash" che dà il titolo a questa specie di film celebrativo, e che rievocava i cieli di Londra di quando i membri fondatori della band vennero al mondo, tra il lampeggiare delle V1 tedesche e delle contraeree (ma questo, il regista, che è un giovane pirlone statunitense - superficialità di Mick Jagger che lo ha ingaggiato - lo ignora e quindi non è in grado di fare un collegamento). Uniche "chicche", per i conaisseurs, sono le voci attuali e, alquanto segnate dal tempo, dei sei membri sopravvissuti (più quella sconosciuta ai più del morto, Brian Jones) che, intervistati in sottofondo, ricordano la loro versione odierna delle vicende, filtrate, lo dicono loro stessi, attraverso una più o meno volontaria "memoria selettiva", che diventa sempre più tale con l'aumentare dell'età (e dell'esperienza): tanto selettiva da dimenticarsi perfino di nominare Ian "Stu" Stewart, cofondatore del gruppo "sesto stone" effettivo nonché per anni pianista della band; il resto sono filmati d'epoca, accuratamente restaurati, e spezzoni tratti da altri film conosciuti, dalle sequenze dello storico concerto di Hyde Park del luglio del 1969 a quelle di Altamont del dicembre dello stesso anno; a "Sympathy for the Devil" tratta dal negletto "Rock and Roll Circus", a "One Plus One" di Godard, infine al Tour USA 1972-Europa 1973 che seguì la pubblicazione di "Exile on Main Street" (il doppio album la cui registrazione in una villa della Costa Azzurra nell'estate del 1971a sua volta è stato di recente documentata con un ottimo DVD). Il documentario si concentra sui primissimi anni per oltre metà della pellicola, riservando la seconda all'interferenza delle vicende giudiziarie, spesso una persecuzione, con la carriera degli Stones: elemento che poteva distruggerla, è stato invece il carburante per mettere il missile Rolling Stones sulla rampa di lancio, trasformandone la carriera, dall'essere espressione, diretta o per interposta persona, della "rivolta" e del disagio dell'epoca, alla svolta della maturità musicale che ha coinciso anche con quella dell'attività commerciale della ditta Rolling Stones & Associated. Da parte loro ne sono consci e non fanno fatica ad ammetterlo, ma ascoltandoli e vedendoli in scena sappiamo anche che non hanno mai preso in giro nessuno, perché se anche "It's Only Rock and Roll", we like it, but they do too, ancora adesso, e non possono farne a meno: nati nello spirito del blues, hanno senso e funzionano solo in quanto band come, ad contrarium, ha dimostrato l'esito miserando delle velleità solistiche di un front-man pure carismantico e talentuoso come Jagger. Musicalmente, ho apprezzato la pulizia di alcune tracks dal vivo degli anni Sessanta e, la sala in cui ho visto il film (apprezzandone l'audio: l'"Ambasciatori" di Trieste) lo consentiva, la pienezza di suono e feeling col pubblico che la band era in grado di produrre al suo apice, tra il 1972 e il 1976, dovuti all'amalgama perfetto tra le due chitarre di Richards e Taylor (un duetto Fender/GIbson) integrate dal basso di  Bill Wyman e dal metronomo posticipato che risiede nelle bacchette jazzistiche di Charlie Watts: qualcosa che ti dava il ritmo delle pulsazioni del sangue e che partiva dal cuore: il massimo che postessero sognarsi di raggiungere dei bluesmen che suonano il rock come dei neri pur essendo nati e cresciuti in un sobborgo di Londra. 

domenica 28 aprile 2013

Treno di notte per Lisbona

"Treno di notte per Lisbona" (Night Train To Lisbon) di Bille August. Com Jeremy Irons, Mélanie Laurent, Martina Gedeck, Bruno Ganz, Jack Huston, Lena Olin, Charlotte Rampling, August Diel, Christopher Lee, Beatriz Batarda, Tom Courtenay. Svizzera, Portogallo, Germania ★★★
Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Pascal Mercier alias Peter Bieri (che non ho letto), racconta di un solitario e malinconico professore di latino che vive a Berna e un giorno salva la vita a una donna portoghese intenzionata a buttarsi nel fiume: la donna sparisce e a Raimund, il protagonista, non rimane che il suo cappotto e un libro. Incuriosito da quest'ultimo, in cui l'autore, un medico-filosofo legato alla resistenza contro Salazar, si produce in meditazioni esistenziali che sembrano parlare proprio a lui, monta sul treno notturno per Lisbona, come da titolo, e si mette sulle sue tracce. Una volta giunto nella capitale portoghese, scopre che l'autore del libro è morto per un aneurisma (che sapeva di avere e con cui ha convissuto) proprio il giorno in cui scoppiò la Rivoluzione dei Garofani, il 25 aprile del 1974, che mise fine alla pi lunga dittatura europea del XX Secolo, e si mette a indagare contattando le persone a lui vicine, a cominciare dalla sorella che aveva con lui un rapporto con aspetti morbosi agli amici, tutti coinvolti nella resistenza e nella preparazione della sollevazione. Attraverso colloqui con ognuno di essi, riesce a ricostruire le vicende del passato e la figura del medico-scrittore, in un intrico di rapporti di amicizia, amori, gelosie, lotte politiche, brutalità poliziesche, e gli efficaci flash back usati nel film riescono a rendere efficacemente l'atmosfera oppressiva che incombeva sul Portogallo negli anni del crepuscolo di Salazar. La pellicola appartiene senz'altro al genere del polpettone storico-melodrammatico-filosofico (l'argomento di fondo, se vogliamo, sono le svolte impreviste che può prendere l'esistenza a causa di avvenimenti banali, e a questo destino non si sottrae il malinconico professore, che deciderà di rimanere in una città dalla struggente bellezza che nella saudade ha la sua cifra, e dove troverà, forse, l'amore di una affascinante e matura farmacista) ma è ben girata e la storia è a suo modo avvincente: ammetto che molto gioca nel mio giudizio positivo il mio amore Lisbona, che ritengo la capitale europea più bella, architettonicamente meno deturpata e quella più a misura d'uomo, e il sicuro mestiere del gruppo di attori che compongono il ricco cast fa il resto. Un film di altri tempi, ma che ha un suo perché proprio nel suo gusto rétro

venerdì 26 aprile 2013

Uno di quei giorni che... fai il brindisi più caro della tua vita

La componente veneziana (e pordenonese) nonché il rigoroso antifascismo della mia famiglia d'origine fanno sì che da sempre tenga di più al mio onomastico che al genetliaco, e dato che il giorno di San Marco Evangelista coincide con quello dell'anniversario della Liberazione, nonostante ieri fosse uno di quei giorni che... ti svegli con la gnàgnera addosso, giunto finalmente a sera, e rinfrancato dagli auguri di chi conosce questa mia peculiarità, per festeggiare ho stappato una bottiglia di vino, con l'intenzione di brindare a me stesso mentre ero intento ad armeggiare sul portatile, dato che non c'era niente di degno da vedere in televisione. Mal me ne incolse perché il contenuto del bicchiere, che nel frattempo mi era sfuggito dalle mani, l'equivalente di un'ombra, si è spantegato sulla tastiera. Lestamente, tra una madonna e l'altra, ho provveduto ad asciugare, usando perfino un getto di aria compressa, e al momento tutto sembrava a posto, ma la sfiga era in agguato e ha operato complice la notte. Stamattina la sorpresa: il tasto della r non funzionava più. Nessuna reazione (infatti sto usando il metodo copia-e-incolla). Salto in macchina, corro al centro d'assistenza di fiducia (a 30 chilometri da casa) che, consueto "culo nella sfiga", in questi giorni di "ponte" è aperto, ma la botta è di quelle dure: per come è assemblato il MacBook Pro (sei mesi di vita, candalostia), da quel che ho capito (ero sotto shock), non è possibile sostituire soltanto il singolo tasto ma occorre cambiare tutto lo chassis. Preventivo: due giorni di lavoro e 280 €, IVA compresa. Prego, grazie, scusi: torneròLunedì mattina, in modo che facciano in tempo a riconsegnarmelo il pomeriggio successivo. Siccome al massimo giovedì prossimo mi serve nel pieno delle sue funzioni, va a puttane la gita che avevo in programma in Istria anche perché la cifra che avevo stanziato per farla finisce inopinatamente in tutt'altra direzione. Mi sembra già di sentire i commenti di quelli a cui sta sui coglioni la Apple ("vedi a essere un fissato di quei computer da fighetta? Per avere i tasti illuminati, ma pensa te") e di quelli a cui sto sui coglioni io ("ben ti sta, brutto stronzo") nonché le prediche dei salutisti ("non fa bene bere vino fuori dai pasti") e degli invidiosi ("così impari a sbevazzare da solo senza invitare gli amici") infine di mio cugino Ado ("ho sempre detto che hai le mani ciompe"). Manco fosse stato un Dom Pérignon d'annata, a quel prezzo!  Che in questo periodo non girasse particolarmente bene l'avevo intuito da diversi segnali, specie ieri mattina quando avevo ripreso in mano un libro sulla vita quotidiana nell'antica Roma la cui lettura languiva da tempo e mi sono imbattuto in un capitolo dedicato al concetto di tempo e al calendario, con la suddivisione in giorni fausti e infausti (ieri era senz'altro uno di questi ultimi, come del resto oggi) e poi tutta una dotta disquisizione sulla differenza tra gli aruspici e gli àuguri, e ieri era per l'appunto la mia giornata degli auguri (per quanto con l'accento sulla u): fossi in grado di interpretare la volontà degli dei dal volo uccelli avrei capito fin dalle prime ore che sarebbe stata una giornata di merda e che bisognava stare all'occhio per limitare il più possibile i danni, ma spendere 2800 € al litro per un'ombra di pinot grigio con cui brindare con sé medesimi al proprio onomastico è un evento che lascia il segno. Indelebilmente. Stasera finisco la bottiglia: con un prezzo simile è un vino che va centellinato (è ottimo e lo produce l'amico Alessandro Vicentini Orgnani, che magari mi fa un ulteriore sconto sulla prossima fornitura).

giovedì 25 aprile 2013

Karlito's Way


La Liberazione è una cosa seria...

...perciò mi sono ripromesso di festeggiarne il quarantennale l'anno prossimo a Lisbona, capitale di un Paese piccolo, dimenticato, bellissimo, povero ma dignitoso, che non ha perso la sua anima. In Italia, 68 anni dopo, siamo ancora a Umberto II Napolitano e agli avvisi di "non disturbare il manovratore". Un miserabile che in giornata avrà occasione di prodursi in altri moniti in occasione delle retoriche e repellenti celebrazioni ufficiali. Disgustoso.

mercoledì 24 aprile 2013

Nina

"Nina" di Elisa Fuksas. Con Diane Fleri, Luigi Catani, Luca Marinelli, Ernesto Mahieux, Andrea Bosca, Claudia Della Seta. Italia 2013 ★★★
Un elegante elzeviro architettonico, si potrebbe definire così l'opera prima di Elisa Fuksas, una predestinata, con tale cognome, e architetto lei stessa, ma il film non si limita a un esercizio di stile, anche se l'ambientazione in un'EUR desertificata dall'esodo agostano si presta a mettere in risalto un uso magistrale della fotografia e un talento fuori dal comune per l'allestimento delle scene (se non proseguirà in campo cinematografico, è assicurata alla giovane Fuksas una straordinaria carriera in campo teatrale). E' proprio l'ambientazione, sia degli esterni sia degli interni a sottolineare la situazione di vita in sospeso di Nina, giovane insegnante di canto e al contempo allieva di un corso di calligrafia cinese, single e al tempo stesso alla ricerca di una relazione, ma soprattutto di dare un senso a una vita precaria, in un'immobilità che acuisce però la capacità di osservare ciò che si muove attorno a lei, disposta a rimanere in città per accudire il piccolo zoo allestito da un amico: il cane Omero, il porcellino d'india Armando, i pesci dell'acquario, in un palazzo deserto se non fosse per la presenza dell'undicenne Ettore (anch'egli sembra a fare da sostituto portinaio). E' con lui, anziché con il violoncellista Fabrizio che la corteggia con delicata ed elegante insistenza, che Nina finisce per instaurare una relazione duratura, fatta di una comprensione autentica che va al di là delle parole, e a cui si renderà disponibile anche in seguito alla contingenza di un agosto metropolitano. "Il caos lascia il posto al caso", è una citazione che apre il film, e sulla "necessità del caso" si chiude una pellicola che è ricca sì di citazioni e riferimenti però mai casuali, per l'appunto. Non amo in genere il cinema autoreferenziale e masturbatorio ma non è il caso di "Nina", una pellicola raffinata, accurata e al contempo sensibile e attenta alle sfumature che meriterebbe un successo e un'attenzione ben maggiori di quelli che ha avuto. Mi auguro vivamente che a Elisa Fukas vengano concesse ulteriori occasioni di esprimersi con un mezzo che sa usare con una perizia inconsueta per un'esordiente.

martedì 23 aprile 2013

Quelli che... applaudono al proprio funerale


Ecco il nuovo inno nazionale, sempre una marcetta come quello di Mameli ma più adatta a un Paese ridicolo. Un parlamento imbelle, intriso di un concetto di democrazia da politburo, senza il mimino rispetto per sé stesso che applaude al proprio funerale e all'incoronazione del primo monarca repubblicano, come da programma della P2, l'unico che una classe politica ripugnante e per cui la galera sarebbe ancora poco è in grado di mettere in atto in piena unità d'intenti: uno spettacolo grottesco se non fosse la parola fine sulla Costituzione così com'era, peraltro mai applicata. 

Altro che tsunami ci vuole per spazzare via questa feccia.

lunedì 22 aprile 2013

Nella casa

"Nella casa" (Dans la maison) di François Ozon. Con Fabrice Luchini, Ernst Umhauer, Kristin Scott Thomas, Emmanuelle Seigner, Denis Menochet, Bastien Ughetto, Jean François Balmer e altri. Francia 2012 ★★★★★
E' raro che io apprezzi in pieno un film francese, prevenuto come ammetto di essere nei confronti dei cugini d'oltralpe e fiero antipatizzante dell'Esagono, ma qui devo riconoscere, con malcelata invidia, che siamo a un livello di eccellenza, sia per l'originalità  della storia, tratta da una pièce teatrale dello spagnolo Juan Mayorga, sia per la bravura degli interpreti (Luchini, Scott Thomas e il giovane Umhauer su tutti), sia per la precisione chirurgica della regia di Ozon. Germain è un bravo e appassionato insegnante di letteratura in un liceo (intitolato, guarda caso, a Gustave Flaubert), che riconosce in un suo allievo di umili origini, Claude, uno straordinaria capacità di osservazione e descrittiva a partire da un tema in cui quest'ultimo racconta l'impatto con la "famiglia perfetta" di Rapha, un compagno di classe a cui aveva cominciato a dare ripetizioni di matematica, e soprattutto con la casa stessa che aveva cominciato a perlustrare mentre l'amico era impegnato a risolvere esercizi, incappando nell'inequivocabile "profumo di una donna borghese" (Esther, la madre di Rapha) e chiudendo il racconto con un "continua". A partire da questo primo tema ne seguono altri, che vedono il coinvolgimento sempre maggiore prima del solo Germain, poi anche di sua moglie Jeanne, una straordinaria Kristin Scott Thomas, del cui crescente voyeurismo gli occhi e le parole di Claude diventano lo strumento, una telecamera in mano al regista (Claude) per le riprese di un film di cui Germain e la consorte sono gli sceneggiatori e, al contempo, gli spettatori. Non solo: a pari passo con l'avanzare dell'intrusione dl Claude nelle vicende della "famiglia normale", si sviluppa un intrigo con aspetti dark ed evocativamente erotici dove diventano protagonisti essi stessi, in un gioco di specchi in cui la finzione si mischia sempre più alla realtà fino a un epilogo che non lo è propriamente (perché è in quel "continua" che campeggia alla fine dei vari capitoli scritti da Claude la cifra del racconto). E' un film che parla di rapporti: tra coppie, tra genitori e figli, tra docenti e allievi (Germain incoraggia in Claude il talento letterario che lui stesso ammette di non possedere); ma anche e soprattutto, mettendo lo spettatore al centro del processo creativo, di manipolazione: parabola di quella,  reciproca, tra scrittore e lettore, autore ed editore, regista e produttore. Come ha affermato lo stesso Ozon, che nel soggetto del film ha visto l'occasione per una riflessione sul suo stesso lavoro. Un divertissement molto raffinato e di grande intelligenza, autentico nutrimento per il cervello. Da applausi. 

domenica 21 aprile 2013

Altro che rimborsare l'IMU!

E poi dicono che non mantiene le promesse... Santo subito! E' riuscito là dove si era dovuto arrendere perfino Wojtya: disintegrare la sinistra più ottusa e incapace del mondo, in preda agli psicodrammi identitari dei neurocomunisti ed esistenziali dei reduci democristiani. Grazie Silvio!

Come un tuono

"Come un tuono" (The Place Beyond the Pines") di Derek Cianfrance. Con Ryan Gosling, Eva Mendes, Bradley Cooper, Dane De Haan, Emory Cohen, Rose Byrne, Ben Mendelsohn. USA 2012 ★★★
Ottimo film, molto ben ben girato e interpretato, che racconta dei rapporti tra padri e figli, di destini che si incrociano ineluttabilmente a causa di ferite che non si possono chiudere e di una sorte di predisposizione genetica che sembra segnare la sorte di ognuno in un racconto circolare che non diminuisce mai di tensione rimanendo vibrante e ricco di colpi di scena lungo tutte le due ore e venti di durata. Luke è un ottimo motociclista che lavora in luna park producendosi in un'esibizione spericolata e spettacolare che dopo aver scoperto che Romina (Eva Mendes) ha avuto un figlio da lui dopo una breve relazione durante una tappa del tour dell'anno precedente, decide di rimanere in una cittadina di provincia dello Stato di NeW York perché il piccolo, Jason, non cresca senza padre come era capitato a lui. Trova lavoro presso un meccanico solitario e stralunato (un Ben Mendelsohn strepitoso) con cui arrotonda gli scarsi introiti facendo qualche saltuaria rapina in banca per provvedere adeguatamente ai bisogni della sua "famiglia". I soldi però non bastano mai e Luke aumenta il ritmo delle rapine finché la sua vita non si incrocia con quella di Avery Cross, ambizioso giovane poliziotto, anche lui neo-padre, che lo colpisce a morte. Quest'ultimo, interpretato da un ottimo Bradley Cooper, prende la scena nella seconda parte del film (la prima era stata dominata da Ryan Gosling, che si conferma perfetto per ruoli di uomini inquietanti e vagamente paranoici), è da un lato divorato da un rimorso che non lo abbandonerà mai, dall'altro a sua volta alle prese con un rapporto conflittuale con la figura paterna, un giudice integerrimo di cui in mezzo a mille contraddizioni cerca di seguire le orme, avviando una carriera di tutto rispetto come procuratore. Quindici anni dopo i fatti, i due figli dei protagonisti, entrambi ragazzi problematici, che frequentano lo stesso liceo, ignari dei precedenti finiscono per fare amicizia e diventano loro i protagonisti della terza e ultima parte della pellicola, che ha un epilogo non scontato che non anticipo, trattandosi davvero di un film che vale la pena vedere. Unico aspetto che mi lascia perplesso la propensione a inquadrare il destino dei protagonisti in una sorta di rigido determinismo a cui poco o nulla sfugge. O forse ci riuscirà Jason, il figlio di Luke, che dopo aver scoperto chi fosse suo padre sembra seguirne le immaginarie orme in sella anche lui a una motocicletta, ma questa volta on the road e senza fermarsi come Luke a combattere contro una sorte che sembra segnata?

sabato 20 aprile 2013

PD a pezzi


E questi mentecatti sarebbero idonei a governare l'Italia per condurla fuori dalle pesti? E' ora che si dissolvano. Tengo in fresco lo spumante per quando esaleranno l'ultimo respiro. Dopodiché, avanti il prossimo cadavere. A voi il puntuale "Contropelo" dell'impareggiabile Massimo Rocca: 

Frankly, my dear, I don't give a damn
Avuta mercoledì sera la conferma della terza legge della stupidità, nella giornata di ieri abbiamo avuto la conferma della prima: sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione. E quindi si; porgo le mie scuse a Pierluigi Bersani, lo stupido ex segretario di un partito di imbecilli. Avevo sopravvalutato la forza della sua stupidità, non mi ero reso conto, perchè anch’io sono stupido, dell’immenso potenziale di stupidità dei vertici del Pd. Avevo dimenticato la cogenza della seconda legge: la probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa. Non mi ero reso conto insomma della deriva gramsciana che ha trasformato il partito intellettuale collettivo, in un collettivo di minus habens. Resta un’unica, piccola, lama di luce speranzosa. Quella che guida gli inventori dei Darwin awards, che gioiscono per le morti particolarmente stupide perchè eliminando gli idioti, migliorano la specie. Alla fine di questa settimana dieci milioni di italiani sono finalmente più liberi, liberi dall’obbligo sentimentale, di riconoscenza, di abitudine, di pigrizia o di entusiasmo che li ha legati a questa band di dilettanti autolesionisti. Da domani ognuno di noi e di voi potrà votare solo pensando al valore reale di chi gli chiede il voto. Chiunque egli sia non potrà fare di peggio.




giovedì 18 aprile 2013

mercoledì 17 aprile 2013

Il volto di un'altra

"Il volto di un'altra" di Pappi Corsicato. Con Laura Chiatti, Alessandro Preziosi, Lino Guanciale, Iaia Forte, Angela Goodwin. Italia 2011 
Non finisce di convincermi, questo regista presentato come "l'Almodóvar italiano" (paragone irrispettoso per Pedro el manchego), che qui mi sembra fare un passo indietro persino rispetto a "Il seme della discordia" che aveva in sé quantomeno l'originalità dello spunto, una gravidanza misteriosa, opera di un qualche Spirito Santo. "L'idea che mi sono fatto di una serie di sketch pubblicitari montati un po' a caso, viene suffragata dalla ambientazione palesemente falsa, in una realtà di plastica. In sostanza non ho capito il senso dell'operazione, oltre a una serie infinita di citazioni e ammiccamenti all'ambiente cinematografaro e cinephile. Una masturbazione gentile e senza martellamento sui coglioni, che non produce danni, ma tutto lì", avevo scritto all'epoca e potrei ripetere il giudizio finale, salvo eliminare il "senza martellamento" riferito alla masturbazione e sostituire l'espressione "ambiente cinematografaro" con "l'ambiente televisivo", ruotando la vicenda attorno a Bella, la conduttrice di uno di quegli osceni programmi che prevedono interventi di chirurgia estetica per migliorare le fattezze dei beceri partecipanti/spettatori, sposata con l'autore stesso dei ritocchi che è anche proprietario di una clinica in Alto Adige/Südtirol (che ha dolosamente finanziato il film) il quale sta navigando in cattive acque finanziarie. Le quotazioni di Bella, il cui volto ha ormai stancato il pubblico secondo il principale sponsor del programma, sono anch'esse in ribasso e viene licenziata, ma un incidente automobilistico grottesco, che la lascia sostanzialmente illesa, fa germogliare a questa coppia di arrivisti sfrenati l'idea per tornare al centro dell'attenzione proponendo un intervento in diretta per cambiare il volto della showgirl, che accampa una inesistente deturpazione del viso. Il tutto in mezzo a un mare di luoghi comuni, giochi di parole e sbertucciamenti dei fanatici del wellness e dell'eterna giovinezza, che però più che esprimersi in satira feroce si tramuta in carezze e perfino in strizzate d'occhio, anche quando si riscatta con la scena di una tubazione che esplode e irrora di merda il parterre di mummie clienti della clinica che assiste alla trasmissione dell'operazione in diretta (che poi salta perché Bella, in un momento di estemporaneo rinsavimento, scappa sul Mercedes nero, e dagli con la pubblicità per niente occulta che nei lavori di Corsicato è una costante insopportabile). Plastificati come il film sono gli interpreti principali, più televisivi che mai, inguardabile la Chiatti (di nome e di fatto, a parte il naso), che almeno nei film potrebbe coprire i tatuaggi puttaneschi che sfoggia dal vero, del tutto incapaci di recitare salvo la caratterista di fiducia di Corsicato, Iaia Forte. Per fortuna il film dura meno di un'ora e mezzo, anche se la tentazione di uscire dalla sala mi è venuta già dopo una ventina di minuti.

lunedì 15 aprile 2013

Onorevole? Ma mi faccia il piacere!


Mentre un ceto politico sputtanato in generale, e quello del partito più rappresentato in Parlamento in particolare, in piena nevrosi quirinalizia sta dando di sé uno spettacolo indecente, mi fa piacere ricordare un grandissimo artista e un vero signore che con grande rimpianto ci ha lasciato anzitempo esattamente 46 anni fa: Antonio De Curtis detto Totò.

sabato 13 aprile 2013

La città ideale

"La città ideale" di Luigi Lo Cascio. Con Luigi Lo Cascio, Catrinel Marlon, Luigi Maria Burruano, Massimo Foschi, Alfonso Santagata, Aida Burruano. Roberto Herlitzka, Manuel Zicarelli. Italia 2012 ★★★
E' un intenso noir "metafisico" e allo stesso un film di coerente impegno civile quello che segna l'esordio alla regia di Luigi Lo Cascio, ex giovane attore tra i migliori della sua generazione, che si conferma nella sua maturità anche come autore, e centellina le sue apparizioni sul grande schermo rifiutandosi di seguire l'onda. Metafisico perché mi hanno richiamato alla mente le atmosfere che sapevano creare Borges e Bioy Casares, due geni del fantastico-poliziesco, genere che notoriamente si presta sia all'esercizio mentale sia a descrivere i vizi e storture delle società in cui si svolgono, descrivendole spesso con più efficacia e immediatezza di un saggio antropo-sociologico. Ed è quello che fa questo bel film, ambientato a Siena: quella in cui si è trasferito l'architetto palermitano Michele Grassadonia, interpretato da Lo Cascio, che la ritiene la "città ideale" (anche perché vi ha sede il Monte dei Paschi, che ha generosamente finanziato il film: una delle più lodevoli iniziative recenti della nobile banca decaduta), un personaggio eccentrico, ambientalista integralista che per la sua pignola e quasi ossessiva osservanza delle regole si rende inviso perfino ai suoi collaboratori. Questa maniacale osservanza delle regole la applica anche a sé stesso e lo precipita in un incubo giudiziario degno del "Processo" di Kafka quando in una notte di pioggia battente ha un lieve incidente d'auto urtando contro un altro automezzo e forse contro un oggetto sconosciuto e successivamente, dopo qualche chilometro, rinviene un corpo in mezzo alla strada, scopre che si tratta di un uomo (un maggiorente della città) che respira ancora e dà l'allarme. Da questo momento in poi, da salvatore diventa indagato e infine accusato di omicidio, cadendo nella trappola di una giustizia solo formale che non è alla ricerca della verità ma di un'interpretazione verosimile e di una "soluzione", qualunque essa sia, che stia in piedi adeguandosi a degli schemi puramente astratti; ma sperimenta anche l'ipocrisia e il cinismo dei vari ambienti con cui entra in contatto, a cominciare da quello dei suoi colleghi, della cui vendetta diviene oggetto, per finire alla logica dell'"inciucio" che caratterizza la gestione di ogni potere. E', alla fine, una storia di emarginazione e di incomprensione del "diverso" (non solo Michele, ma anche quella che  diventerà l'inquilina dell'appartamento che, per mancanza di fondi, sarà costretto ad affittare) rispetto alla mentalità di compromesso dominante, che si chiude con una magistrale "lezione di vita" (e di furbesco e cinico adattamento alla "realtà" da parte dell'avvocato in odor di mafia attivo nella natìa Palermo a cui lo convince di rivolgersi la madre di Michele, personaggi questi interpretati dai due Burruano, grandissimi attori così come Santagata (il procuratore) e Foschi (l'avvocato dei VIP senese) che accompagnano degnamente Lo Cascio in questa avventura: sia mai che il cinema italiano abbia trovato un erede di Francesco Rosi...

giovedì 11 aprile 2013

Parola di mona(tto)

«L'Italia non contagia nessuno»: così il premier Mario Monti replica al commissario Ue agli affari economici e monetari europei, Olli Rehn, che aveva lanciato nuovamente l'allarme sui conti italiani. Dal Corriere della Sera on line, ore 13.03. Parola del presidente della celebre università Bocconi di Milano, fucina di geniali economisti, l'ex editorialista del quotidiano di Via Solferino, il genio della finanza che in un anno e mezzo di governo abusivo non ha azzeccato una previsione, ha sballato definitivamente i conti pubblici ed è riuscito nell'impresa di mandare il debito pubblico al 130,4% del PIL (quello previsto era del 126,1% solo qualche mese fa). Un tipo affidabile: ce l'ha chiesto l'Europa.


I figli della mezzanotte

"I figli della mezzanotte" (Midnight's Children) di Deepa Mehta. Con Satya Bhabha, Shahana Goswani, Shabana Azni, Rajat Kapoor, Seema Biswas e altri. Canada, Gran Bretagna 2012 ★★★
Tratto dall'omonimo romanzo di Salman Rushdie, che ho amato moltissimo, e sceneggiato dallo stesso scrittore, questo film pieno di vita, suggestioni e colori riesce a evocare l'originale senza tradirlo e senza cadere mai nel folkloristico e nel luogo comune. E' Salman Rushdie stesso che, dando la voce a Shalem Sinai, nato alla mezzanotte del 15 agosto del 1947, al momento stesso in cui l'India proclamò la propria indipendenza, narra le vicende tragicomiche della propria esistenza che diventano così metafora delle vicende della sua patria, per essere precisi delle sue due patrie, perché c'è anche il Pakistan. Shalem, nato da una coppia di musici-mendicanti, viene scambiato nella culla da un'infermiera, convinta di compiere un atto di giustizia sociale, con Shiva, erede di una famiglia benestante, e da lì prende il via un racconto poetico quanto ironico in forma di favola ma anche molto reale e sensuale, ricco di riferimenti filosofici e politici quanto di humour, che scorre piacevolmente lungo due ore e mezzo senza annoiare e senza essere né inutilmente arzigogolato e compiaciuto né scontato. Filo conduttore, la capacità di Shalem di chiamare a raccolta nella propria mente tutti gli altri "figli della mezzanotte", nati  come lui nel momento in cui l'India ha riconquistato la propria libertà, e tutti dotati di capacità speciali: chi la forza, chi l'invisibilità, chi di viaggiare nel tempo, ma nessuno con la capacità di autentica empatia nei confronti del prossimo, quasi una sorta di telepatia come il protagonista. Regia impeccabile dell'Indo-canadese Deepa Mehta, lontana dal genere "bollywoodiano" per cui va famosa la cinematografia del subcontinente, benché gli interpreti siano tutti delle stelle di prima grandezza in patria, per un film a mio parere sottovalutato dalla critica e che sembra non raccogliere il successo che si merita, ed è un peccato.

martedì 9 aprile 2013

C'è del metodo nell'idiozia

Mentre l'Italia è sempre più allo stremo, la nave dei folli, su cui si è imbarcata l'intera classe politica, dalle cariatidi che sono sulla scena dal dopoguerra ai neofiti pentastellati, prende il largo col vento in poppa per portarci inevitabilmente, più prima che poi, al naufragio definitivo. A un mese e mezzo dalle elezioni per le nuove camere, queste sono tutt'ora paralizzate senza che siano in grado di nominare nemmeno le loro commissioni (non perché qualche legge o regolamento lo impedisca, ma perché non ve n'è la volontà), col risultato che le uniche istituzioni che funzionano in quella che fino a prova contraria è ancora una repubblica parlamentare sono un capo dello Stato in scadenza di mandato che stravolge quotidianamente lo spirito e la lettera della  Costituzione quando non vi attenta, e un governo sfiduciato prima dal proprio azionista di maggioranza, il PDL, e poi dal 90% degli elettori. Nel frattempo, il segretario del partito che NON ha vinto le elezioni ma si ritrova con il maggior numero di eletti in entrambi i rami del parlamento grazie a una legge truffaldina e che teoricamente sarebbe tuttora incaricato di formare un nuovo governo, si dedica agli incontri con il capo del partito che sicuramente esce sconfitto dal voto di febbraio, uscendone quasi dimezzato, e che una parte del suo stesso partito, il PD, a cominciare dal capogruppo al Senato, Zanda, ritiene ineleggibile. Il confronto, inizialmente in programma per giovedì o venerdì, si è tenuto invece anticipatamente quest'oggi, è durato un'ora, e ha riguardato "il metodo per arrivare alla scelta del presidente della Repubblica": queste le parole di Bersani. Ma di quale metodo va cianciando costui? Non occorre alcun metodo: è tutto previsto dall'articolo 83 e seguenti della carta costituzionale, chi pensa di prendere per i fondelli? Lo scopo è un accordo su un nome condiviso, in cambio dell'appoggio a  quel governo di larghe intese o solidarietà nazionale che dir si voglia a cui lavora infaticabilmente il golpista Napolitano su ordine dei suoi mandanti "europei", un esecutivo che continui l'opera nefasta di occupazione di ciò che rimane dallo Stato da parte dei partiti da un lato e di disgregazione del tessuto sociale del Paese dall'altro. Come ciliegina su questa torta indigesta, il partito di maggioranza relativa non trova niente di meglio che indire per sabato prossimo, "in un quartiere della periferia romana" non meglio precisato, una delirante manifestazione "contro la povertà, per un governo di cambiamento", con intervento del segretario nazionale del PD, per l'appunto Pier Luigi Bersani. Che, se gli italiani non fossero ormai rassegnati, meriterebbe di riceverebbe l'accoglienza che che aveva avuto il suo allora compagno di partito Luciano Lama il 17 febbraio del 1977, quando la Grande CGIL cercò di occupare, manu militari, l'Università "La Sapienza" sempre nella capitale. Questi "inciuciano" a più non posso da più vent'anni a questa parte, appoggiano tuttora il governo che più di ogni altro ha divelto lo Stato Sociale e manifestano contro la povertà che hanno contribuito a creare per primi? Magari proponendo come rimedio, come già 40 anni fa, l'austerità, ma solo per chi già si è visto derubare tutto, dai diritti, al lavoro, magari a un tetto, alla dignità? Per forza si finisce per dare, almeno in parte, ragione a Grillo che, anche oggi, parla di un colpo di Stato in corso da anni per delegittimare ed esautorare il Parlamento e sostituirlo coi partiti. Sbaglia a evocare i colonnelli greci: se i militari nostrani non fossero dei pagliacci come i politicanti di cui sono gli ossequianti servi e protettori e da cui derivano le prebende, e avessero, come nel Portogallo del 1974, il polso della situazione reale, questa classe politica l'avrebbero già destituita e messa in condizione di non nuocere da un pezzo. In un Paese con delle Forze Armate più serie e al servizio dei cittadini forse non risulterebbe così strampalata l'ipotesi che tempo fa evocava Alberto Asor Rosa...