giovedì 28 febbraio 2013

Bersani's Beautiful Laundrette e il M5S



I modi e i toni usati da Pierluigi Bersani nella conferenza stampa di mercoledì sera, in cui ha sostanzialmente chiesto l’appoggio del M5S ad un eventuale “governo di scopo” a guida PD con al centro pochi e qualificati punti di programma, dimostrano ancora una volta che non ha capito né che il vento è cambiato e  cosa sia accaduto con l’esito del voto né con chi sta parlando e ritengo che Beppe Grillo gli abbia risposto come si merita. Se Bersani credeva di avere trovato qualcuno che togliesse le macchie del ghepardo al posto suo, ha semplicemente sbagliato indirizzo: è il PD che si è proposto per governare questo Paese negli attuali frangenti all’interno delle “compatibilità di sistema”, dunque se la veda da solo e si rivolga al lavaggio automatico invece di pensare che gli sia dovuto che i parlamentari del M5S gli facciano da inservienti e il servizio lavanderia gratis. Fuor di parabola, faccia le sue proposte, e se sono compatibili con il programma del M5S ben vengano, si discutano in Parlamento e il M5S non farà mancare il suo voto (come già sta facendo alla Regione Siciliana con la Giunta Crocetta), ma si tolga dalla testa una maggioranza precostituita. Non vedo perché si debba deflettere da questa linea, a maggior ragione con chi ha coperto fino a ieri di contumelie inaccettabili sia chi guida il movimento sia chi l’ha votato. Per parte mia non dò alcun “consiglio” ma la vedo così: ciò che la politica politicante non ha capito e si ostina a non capire è che il voto al M5S non è stato dato solo per mandare a casa questa classe politica nel suo complesso ma per cercare di scardinare il sistema stesso su cui si regge e metterne in discussione le premesse semplicemente perché ha dimostrato di essere in crisi e di poter soltanto peggiorare le cose. Non per “governarlo” o “migliorarlo”. Questo è quantomeno il senso del mio voto alle ultime elezioni. Al ravvedimento del PD non ci credo, il suo scopo dichiarato è comunque di operare all’interno della logica del sistema liberista e globalizzato imperante, temperandone semmai gli aspetti più aspri, usando insomma la vaselina per renderne più accettabili i costi, non di cambiarlo o, meglio scardinarlo. Ma non gli bastano i voti che ha nemmeno allo scopo di gestirne la sopravvivenza: gli tocca chiederli. Se li vuole dal M5S, basta che presenti dei disegni di legge credibili e si impegni a votarli, alcuni urgenti sono già stati elencati: nuova legge elettorale, normativa stringente sul conflitto di interessi (o applicazione di quella sull'ineleggibilità dei concessionari statali in sede di giunta delle elezioni, come ha opportunamente ricordato e rilanciato Paolo Flores d'Arcais ancora una settimana fa: nessuno chiede l'impossibile, ma il minimo dovuto), reintroduzione del reato di falso in bilancio, riduzione effettiva dei costi della politica con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (come da referendum) e restituzione dei “rimborsi elettorali” attuali e pregressi, a cui aggiungerei, nel caso il PD volesse ottenere la fiducia per un governo di minoranza, il ritiro immediato delle truppe italiane dalle missioni internazionali che non siano chiaramente di pace (Afghanistan), il congelamento dell’acquisto degli F-35, lo stop definitivo ai cantieri del TAV, rinuncia formale a ogni velleità riguardo al Ponte sullo stretto di Messina e, dulcis in fundo, impegno esplicito a ridiscutere i trattati con l’UE, a cominciare dal “Fiscal Compact”. A quest’ultimo proposito, è evidente che le crepe che annunciano il crollo del sistema si manifestino dove esso sia gestito da inetti, imbecilli e/o disonesti, e quindi ecco colpiti Grecia, Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna, Italia, ma le prime avvisaglie si stanno avvertendo anche laddove esso sia governato da un personale politico e burocratico preparato e decente come in Francia, e ai cari alleati tedeschi andrebbe per l’appunto ricordato e ribadito chiaro e tondo che se cade un partner come l’Italia, cui farebbero seguito a stretto giro di posta i cugini d’oltralpe, salterebbero in aria pure loro e i loro compari batavi, austriaci e finnici, che sull’inettitudine, inefficienza, corruzione e dabbenaggine degli altri hanno campato e costruito il loro benessere. Tornando alle vicende di casa nostra, è chiaro che un programma siffatto non è realizzabile coi D’Alema, le Finocchiaro e i Violante ministri. Si chiama ricatto? No, si tratta di condizioni politiche. Bersani ci sta? Bene. Verificheremo. Il PD si spacca? Affari suoi. Preferisce allearsi con l’energumeno brianzolo e Monti? Faccia pure: ci vediamo alle prossime elezioni. Sempre che ce le facciano tenere e non ci sia un golpe prima, per cui nel piatto della bilancia ci metterei anche, una volta risolta in maniera accettabile la questione delle presidenze delle camere e delle commissioni parlamentari, l’impegno a sostenere come candidato a presidente della Repubblica un nominativo che sia seriamente di garanzia, tagliando così le gambe a qualsiasi ipotesi non solo Berlusconi, ma Monti, Letta, Amato, Bindi, Marini e compagnia cantante. Mandare giù questi bocconi significherebbe la sparizione del PD? Poco male: è quello che desidero da quando questo partito senza identità e senza idee ha visto la luce. Perché, mentre il PDL è semplicemente ed esplicitamente un comitato d’affari malavitoso, e lo “zoccolo duro” del suo elettorato francamente irrecuperabile a qualsiasi forma non dico comunitaria, ma di convivenza civile, il PD ha ancora in sé una parvenza e delle pulsioni di forza politica, ma snervata, incapace di capire la realtà, figurarsi gestirla, alla fine dannosa, che ritengo impossibile rigenerare; un avversario che va comunque combattuto politicamente, non una mera pratica giudiziaria da evadere una volta per tutte. Non solo: è il Movimento Cinque Stelle che deve sottrarsi al ricatto della “governabilità” di questo sistema. Il voto non gli è stato dato per garantire quest'ultima bensì per cambiarne i termini, la sostanza e ottenere leggi che lo permettano. In definitiva: non si è in Parlamento per garantire la “governabilità” di un sistema allo sbando, ma per farlo saltare definitivamente per aria e ricominciare su altre basi. Da concordare e decidere senza la mediazione dei tradizionali apparati partitici e con logiche di rappresentanza fittizia ormai insostenibili, nocive e improponibili.

martedì 26 febbraio 2013

Le colpe degli italiani

A chi vede il bicchiere mezzo vuoto ed è rimasto sconcertato dalla "rimonta" di Burlesquoni, per quanto putrescente comunque un gigante in confronto ai suoi competitors e fino a ieri alleati Bersani e Monti, ricordo che mai in vent'anni i risultati usciti dalle urne hanno espresso un'Italia più antiberlusconiana. Per un'analisi puntuale, chiara, breve ed esaustiva rinvio qui, ma i conti sono presto fatti: innanzitutto rispetto alle politiche del 2008 l'affluenza è calata del 5,3%, dall'80,5% al 75,19%: un quarto degli aventi diritto si è rifiutato di recarsi a votare. Il PDL perde 6,3 milioni di voti dai 13,6 che aveva: glie ne rimangono 7,3, indubbiamente troppi, ma i dati dicono che è calato dal 37,38% al 21,56 e i berluscones ancora si compiacciono: una "rimonta" impressionante solo rispetto a sondaggi condotti due mesi fa su telefono fisso nell'era degli smartphone e del web 2.0 e commissionati da TV e giornali conniventi. I suoi alleati della Lega hanno più che dimezzato i loro voti: da 3 milioni a 1,4. Sempre troppi pure questi, ma in calo comunque di oltre il 50%: dall'8,3% al 4,08%. Il PD, che come sempre pensava di avere vinto le elezioni gratis e per dono divino, ha preso 8,6 milioni di voti, il 25,41%, mentre quello disastrato condotto alla sconfitta da Walter Cialtroni nel 2008 ne aveva 12 milioni pari al 33,18%: sono 3,4 milioni di voti volatilizzati. Insieme al 3,2% totalizzato da SEL e grazie a una legge elettorale truffaldina, per il rotto della cuffia prende la maggioranza relativa alla Camera dei Deputati per via del premio di coalizione, quello che invece gli sfugge al Senato. Scelta Civica dell'ultimo premier Mario Monti, voluto da Napolitano, dalla UE e dai "mercati", il rassemblement di mal tra insema per cui tifava Angela Merkel, ha raccolto 2,8 milioni di voti superando per un pelo, assieme ai suoi alleati di UDC e FLI (Fini non è neanche stato eletto) lo sbarramento per entrare in Parlamento con una pattuglia miseranda. Di Pietro, cui pure va riconosciuto il merito di essere stato l'unico serio oppositore di Berlusconi durante la passata legislatura, si è colpevolmente imbarcato nella sciagurata impresa di Rivoluzione Civile schiantandosi alle porte del Parlamento con un misero 2,24%. Infine, il primo partito del Paese, con 8.668.545 voti raccolti alla Camera dei Deputati, il ramo del Parlamento eletto a suffragio universale anche col voto dei maggiorenni under 25, risulta il neonato Movimento Cinque Stelle, col 25,55%. L'unico a evitare le TV e a presentarsi nelle piazze e a parlare con le persone in carne e ossa. Che avrà drenato i voti a destra e a manca e di cui tutto si può dire, salvo che sia filoberlusconiano e corresponsabile della situazione disastrosa in cui versa l'Italia. Cosa che non si può affermare né del PD né di Monti, che col PDL hanno governato da novembre del 2011. Insieme all'altro quarto di astenuti, fanno più della metà degli aventi diritto al voto che si sono rifiutati di votare per chi ha governato negli ultimi 20 anni. Tanto per fare chiarezza. Il nuovo mantra, naturalmente, è "ingovernabilità" e c'è già chi, guarda caso il direttore di Repubblica, lo house organ del PD, Ezio Mauro, ha già proposto una proroga in carica del capo dello Stato, l'87 enne Giorgio Napolitano (che stamattina, ma vedi che coincidenza, ha preso il volo per la Germania e non rientrerà fino a domenica 3), ossia il primo responsabile di non aver sciolto le camere nell'autunno di due anni fa e della creazione del mostro a tre teste chiamato Governo Monti, un personaggio di cui da cinque anni almeno chiedo le dimissioni e se possibile l'incriminazione per attentato alla Costituzione. Il cui mandato scade in maggio e che non può né sciogliere nuovamente le camere, essendo entrato nel "semestre bianco", né dimettersi, che sarebbe il "minimo sindacale" in un Paese decente dopo i danni che ha procurato, perché il suo vicario (Schifani, il presidente del Senato) non è più in carica. Questa la situazione creata dagli esperti di "ingegneria costituzionale" che hanno come eminenza grigia l'89 enne Eugenio Scalfari, un sedicente "liberale" che nella sua carriera è stato fascista, socialista, filodemocristiano e infine filocomunista, fino a diventare il guru indiscusso dei centrosinistrati guidati all'ennesima sconfitta da Bersani, lo smacchiatore di giaguari. E che ieri sera su SKY, oltre a incolpare dall'alto della sua insopportabile spocchia e con sommo disprezzo gli italiani per un risultato elettorale non collimante coi suoi desiderata, ha avuto almeno il merito di dire loro con chiarezza quello che né il PD, né Monti, né il PDL, e nemmeno Ingroia che non sa nemmeno di cosa si stia parlando, hanno avuto il coraggio di spiegare agli elettori, ossia come funziona il Patto di Bilancio Europeo, conosciuto come "Fiscal Compact", firmato dall'ultimo governo Berlusconi, ratificato nel marzo del 2012 ed entrato in vigore il 1° gennaio di quest'anno e che prevede il pareggio di bilancio in Costituzione, oltre a un un sostanziale commissariamento della politica economica del Paese nel caso di mancato rispetto degli impegni assunti, con successive salatissime multe nel caso non venissero emanati i provvedimenti richiesti dalla Commissione UE e dalla BCE, multe inevitabili perché sottratte "alla fonte" dall'ammontare del trasferimento dei fondi destinati dall'UE all'Italia. In sostanza ci hanno legato mani e piedi a nostra insaputa con la collusione dei media, nella stragrande maggioranza complici di questo regime di speculatori e malversatori: il solo a parlarne durante la campagna elettorale è stato non per niente il "guitto" Beppe Grillo. Ora non hanno vie di uscita e l'inciucione, che sia una riedizione di governo tecnico o uno di "larghe intese" o "solidarietà nazionale", come previsto è inevitabile. La buona notizia è che in Parlamento ci sarà qualcuno a controllare e ad "aprirlo come una scatoletta di tonno" perché più di un quarto degli elettori ha aperto gli occhi. Gli altri protagonisti del teatrino politicante sono morti che camminano, in grado senz'altro di fare ancora danno, ma preferisco vedere la metà piena del bicchiere. 

E quindi uscimmo a riveder le stelle


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domenica 24 febbraio 2013

sabato 23 febbraio 2013

A furor di populisti

Tsunami Tour, Roma, Piazza San Giovanni, ieri sera
Avevo preso con me stesso l'impegno di rifiutarmi di andare a votare finché fosse rimasta in vigore una legge come quella che regola attualmente le elezioni parlamentari, ma sono giunto alla conclusione di recarmi lo stesso alle urne e questo a prescindere dalle perplessità che nutro sullo stesso concetto di democrazia rappresentativa, considerata la piega malata che essa ha preso ovunque, e dal fatto che considero il voto come un'opportunità, un diritto e non un "dovere". Meno che mai attaccano con me richiami al "voto utile" giustificati su base ideologica, così ho deciso e voterò Movimento Cinque Stelle. Per tre ordini di motivi. Il primo è che le sue liste sono le uniche con candidati scelti dal basso democraticamente e appartenenti alle circoscrizioni elettorali di provenienza, senza "blindati del segretario", come le liste-fuffa (e truffa) del PD, e capolista che si presentano, ubiqui, in tutte le circoscrizioni (cfr il compagno Ingroia). Inoltre, oltre ad avere la fedina penale pulita e a non essere iscritti a partiti e consorterie varie, non solo si impegnano a limitarsi al massimo a due mandati ma si considerano portavoce più che rappresentanti del movimento e di chi li ha eletti, il che viene incontro alla mia propensione per gli strumenti della democrazia diretta. In secondo luogo, ogni parlamentare in più al M5S ne significa uno sottratto a quella che con giusto disprezzo si chiama "casta", bastando questo fatto di per sé a illustrare fuori di ogni ombra di dubbio la tanto reclamata utilità del voto. Terzo motivo, il programma in 20 punti "per un'economia del bene comune". Ingenuo, irrealizzabile, vago, naturalmente populista, "incompatibile con gli impegni presi", che "non indica i mezzi con cui realizzarlo": è stato definito in ogni modo però mai discusso né confutato nel merito. Rimane però l'unico programma degno di questo nome presente in tutta la campagna elettorale che vada oltre alle consuete ricette "richieste dall'Europa" che hanno già portato al tracollo la Grecia e che si rivolga al cervello come al cuore delle presone andando oltre a un sistema che non si regge in piedi e dimostra ovunque il proprio fallimento: tutti gli altri sono pannicelli caldi all'interno della stessa logica che al più possono tapparne qualche buco momentaneamente rinviando un collasso che è già nelle cose, inevitabile. Populisti, fascisti, antipolitici: così sono stati dileggiati Grillo e Casaleggio e i loro "seguaci". Gente che ha abbindolato le folle (manco si trattasse di una setta), che però a decine di migliaia in carne e ossa hanno affollato le piazze durante le 77 tappe dello "Tsunami Tour" nonostante il freddo, la neve, la pioggia di questa campagna elettorale per la prima volta in versione invernale, e questo mentre le sale dei loro convegni erano semideserte e gli ascolti dei teatrini televisivi in cui si esibivano penosamente tutti gli altri protagonisti del caravanserraglio politicante crollavano al solo annuncio della presenza di un politico. Si è parlato di circonvenzione di incapaci, perché questa è la considerazione che delle masse hanno i dirigenti e attivisti dei partiti sedicenti, per l'appunto, di massa, a cominciare da quelli del PD, geneticamente afflitti dal complesso dei "migliori" per non parlare della spocchia dei loro supporter radical chic nel mondo della disinformazione a mezzo stampa, il clan scalfariano di Repubblica/L'Espresso su tutti. "Antipolitica", ha tuonato per mesi lo spregevole inquilino del Quirinale che, probabilmente per non sentire il boom che lo sommergerà, ha pensato bene di dileguarsi da Roma per rifugiarsi per sei giorni in Germania subito dopo la chiusura delle urne: il golpista a capo di questo Stato di cartapesta ha probabilmente fiutato l'8 Settembre suo personale e quello della indecente classe politica che gli ha conferito la carica più alta della nazione. E invece il messaggio più forte del M5S, con tutte le perplessità che uno possa avere, non è quello del rifiuto della politica tout court ma di questa politica, delegata a personaggi improbabili, ripugnanti, sconnessi con la realtà, cui deve sostituirsi l'impegno di ciascun cittadino (e non più suddito) per la propria parte e le proprie competenze, il che implica un coinvolgimento personale per prendere in mano le sorti del Paese che è l'esatto contrario dell'antipolitica che questi morti viventi continuano a evocare e l'antidoto per l'ignavia e la viltà che sono la tara storica dell'Italia. Con una chiosa: qui il voto non lo si "consegna" a nessuno, come dice Bersani, evidenziando la sua struttura mentale deviata, ma lo si utilizza per dare la propria voce a qualcuno in cui si ha fiducia per portarla all'interno del Parlamento. Se con questo si evita che ci torni il maggior numero possibile degli impresentabili che ne hanno fatto scempio finora, tanto meglio. Tutto qui.

giovedì 21 febbraio 2013

Viva la libertà

"Viva la libertà" di Roberto Andò. Con Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Michela Cescon, Valeria Bruni Tedeschi, Anna Bonaiuto, Eric Trung Nguyen, Gianrico Tedeschi, Massimo De Francovich. Italia 2013 ★★★
Toni Servillo e il suo doppio: avere l'opportunità di vedere il grande attore campano interpretare due personaggi alla volta è già un motivo sufficiente per non farsi sfuggire questo film, tratto dal romanzo "Il trono vuoto" scritto dallo stesso regista: e si conferma una volta di più il vizio tutto di mettere i titoli a capocchia alle pellicole: non si comprende il motivo per cui non andasse bene quello originale, ma se perfino l'autore non è d'accordo con sé stesso nessuno può farci nulla. Il secondo è un film fresco, godibile e particolarmente attuale in questo periodo elettorale, che racconta molto bene il mondo della politica, in particolare quello pseudoprogressista, il vuoto pneumatico in cui si muovono i suoi personaggi, la loro totale estraneità al mondo reale e la loro totale mancanza di cuore e di fantasia. La vicenda è quella di Enrico Oliveri, segretario del principale partito d'opposizione che, violentemente attaccato in un'assemblea nazionale, oggetto di sondaggi disastrosi e sotto agguato da parte degli altri dirigenti, fugge a Parigi, presso una ex fidanzata di gioventù, che lavora nel cinema, per recuperare un minimo di dimensione di sé stesso e "per vedere di nascosto l'effetto che fa", parafrasando Jannacci. Il fido assistente Andrea Bottini, un eccellente Mastandrea, prima si inventa una malattia diplomatica del leader; quindi, d'accordo con la moglie di Oliveri, provvede a "riempire" il trono vuoto sostituendolo con il gemello del segretario, il filosofo Giovanni Ernani, appena dimesso da una clinica psichiatrica perché affetto da un disturbo bipolare. Va da sé che il "matto" possiede antenne molto più adatte a captare la realtà della situazione politica del gemello "sano" e a trovare non solo le parole giuste per entrare in sintonia con la gente e galvanizzare così il corpaccione immobile del partito, la moglie stessa di Oliveri scopre in Giovanni il marito che non aveva mi avuto, mentre a Parigi anche Enrico ritrova un minimo di sintonia con quel sé stesso che non è mai riuscito a essere e con il prossimo grazie soprattutto al rapporto con la figlioletta di Danielle, la sua ex fidanzata, il marito di lei, Mung, un saggio regista di origine asiatica, e il contatto con una realtà, per quanto fittizia, come quella cinematografica, prima passione di Enrico, in cui è attiva Danielle ed Enrico si trova, per puro caso, a lavorare da apprezzato attrezzista. Unico neo del film la voce insopportabile di Valeria Bruni Tedeschi, disgraziatamente non doppiata per l'occasione, agghiacciante come un'unghia che stride su una lavagna, ma per il resto perfetta nell'interpretazione della puzzona radical chic d'esportazione. Un Toni Servillo sontuoso, accompagnato da un cast all'altezza, vale due volte il prezzo del biglietto; se uno poi vuole farsi masturbazioni mentali sulla relazione tra politica e recitazione, realtà e finzione e altri significati reconditi della pellicola in chiave psicanalitica liberissimo di farlo, a me basta molto meno.                                                

martedì 19 febbraio 2013

Autostop

Dalla pagina Facebook di FARE / Fermare il cretino
Missione compiuta. Quell'altro genio di Zingales si è arreso un attimo prima.

lunedì 18 febbraio 2013

Promised Land

"Promised Land" di Gus Van Sant. Con Matt Damon, Frances McDormand, John Krasinski, Rosemarie DeWitt, Hal Holbrook, Scoot McNairy. USA 2012 ★★★½
Ritorno alla sceneggiatura, per Matt Damon, in un eco-thriller, come è stato definito, che ne avrebbe dovuto segnare l'esordio alla regia, affidata invece, per precedenti impegni dell'attore, all'amico Gus Van Sant. Poco male, perché tra i due da sempre c'è sintonia. Steve Butler, agente di una grossa compagnia del settore energetico, la Global, viene spedito insieme alla sua collega Sue, con cui costituisce il team di venditori di punta, a McKinley, cittadina rurale dell'America profonda realtà che conosce bene essendo a sua volta cresciuto in una fattoria dell'Iowa. Scopo è convincerne gli abitanti a cedere i diritti di trivellazione sui loro terreni alla ricerca di gas naturale di scisto, attraverso la controversa tecnica del "cracking". Stretto dai morsi della crisi e dall'abbaglio di una vita diversa (probabilmente è questo il "promised land" cui allude il titolo della pellicola) l'operazione di convincimento sembra andare per il meglio, quando si mette di traverso, sollevando leciti dubbi nel corso di un'assemblea cittadina, un anziano insegnante del liceo locale, ex ingegnere della Boeing in pensione, affiancato in seguito da un attivista di una fantomatica  organizzazione ecologista, Dustin Noble. Che di "noble" ha in realtà assai poco: conduce una costosa campagna sugli effetti nocivi dell'estrazione del gas di scisto, che Steve scopre presto essere basata su alcune foto contraffatte; in realtà Dustin è un doppiogiochista, dipendente della stessa Global, che l'ha inviato a sostegno del uo di venditori senza che essi ne fossero al corrente, perché come dice il nome stesso, le "Companies" si muovono a livello globale, prevedono ogni cosa, di fatto giocano tutti i ruoli in campo. Nè più né meno di quel che accade nella campo politico, dove le decisioni sono giò state prese in un imprecisato "altrove" che risiede nel mondo della finanza, e in cui la competizione si limita a un gioco delle parti. Per Steven, la presa di coscienza di essere un semplice ingranaggio oltre a essere stato manipolato significherà un limite che non vuole oltrepassare se vuole mantenere una dimensione umana e una propria dignità; per Sue, ragazza madre non più giovane, "è solamente un lavoro". Lo è per molti, senza che ne valutino le conseguenze. Metterlo in dubbio è il merito migliore del film, oltre a essere ben girato e interpretato, in una dimensione reale e con personaggi autentici.

domenica 17 febbraio 2013

Girlfriend in a Coma

"Girlfriend in a Coma" di Annalisa Piras. Con Bill Emmott. GB 2012 N.V.
Bill Emmott è quel giornalista inglese che, quando era direttore dell'Economist, in un numero dell'aprile 2001 mise il faccione di Berlusconi in copertina col titolo "I motivi per cui è inadatto a governare l'Italia", suscitando un polverone a destra e a manca, da un lato perché "interferiva" con le elezioni, dall'altra perché si ritiene che uno straniero non sia capace di districarsi tra i reconditi significati dei bizantini rituali della nostra vita politica. Non è cambiato nulla in 12 anni, e questa volta è stata Giovanna Melandri, messa a capo Fondazione MAXXI proprio a motivo della sua insipienza e cortigianeria, a vietare per "lesa par condicio" preelettorale la presentazione al pubblico di questo film-documentario che avrebbe dovuto tenersi martedì scorso a Roma. Di tutt'altro avviso SKY, che l'ha trasmesso l'altroieri sera all'interno del ciclo "CultPolitiK" dedicato al mondo politico italiano e non proprio negli ultimi giorni di campagna elettorale. Non è cambiato nulla nell'analisi di Emmott salvo che negli ultimi dodici anni il degrado del Paese si è aggravato ulteriormente, e la sua è un'indagine giornalistica di buon livello e piuttosto equilibrata verso un Paese che ama profondamente e conosce come pochi, che non ha nulla di rivoluzionario e nulla aggiunge a cose che già sappiamo, o almeno dovremmo sapere, solo a voler aprire gli occhi. In questo viaggio nel declino dell'Italia, quella "Mala", prevalente, ma anche quella "Buona", e non esclusivamente centrato sugli effetti del berlusconismo ma che indaga sulle sue origini più profonde (che Emmott e parecchi suoi interlocutori individuano nella presenza del Vaticano e nel suo influsso nefasto sulla psiche e la mentalità nazionale), l'autore si fa accompagnare da diverse voci nazionali: Roberto Saviano, Umberto Eco, Nanni Moretti, Toni Servillo, Marco Travaglio, Nicola Gratteri, Carlo Petrini, Giovanni Ferrero ma anche Mario Monti, Sergio Marchionne, Elsa Fornero, John Elkann, a dimostrazione di un'eterogeneità delle testimonianze, per finire con quelle degli esponenti di quel milione di italiani costretti alla "nuova emigrazione", quella dei cervelli. Un lavoro corretto, un'analisi in parte discutibile ma onesta, e nulla di nuovo sugli schermi: altri film e documentari hanno descritto il fenomeno della deriva dell'Italia nell'ultimo ventennio, colpita da un virus unico tra i Paese "sviluppati" ma che potrebbe presto contagiare gli altri. La sostanziale censura di cui è stato oggetto da parte del mondo politico lo testimonia. Utile da vedere, specialmente per chi non è uso farsi molte domande sullo stato dell'arte, ma niente di clamoroso. 

venerdì 15 febbraio 2013

Zero Dark Thirty

"Zero Dark Thirty" di Kathryn Bigelow. Con Jessica Chastain, Jason Clarke, Joel Edgerton, Jennifer Ehle, Mark Strong e altri. USA, 2012 ★★½
E' probabile che questo decimo film di Kathryn Bigelow nella gara degli Oscar venga preferito ad "Argo", ma secondo me non lo vale. Niente da dire sul fronte interpretazione, perché tutti gli attori sono convincenti, e in particolare Jessica Chastain nei panni della protagonista, Maya, una giovane ufficiale della CIA al cui intuito e cocciutaggine, che sconfina nella paranoia ossessiva, si deve la scoperta del rifugio del supposto Nemico Numero Uno dell'Impero Americano, Osama Bin Laden, e la sua uccisione in una villa-fortezza ad Abbottabad, in Pakistan, nel maggio di due anni fa; e niente da obiettare sulla regia della Bigelow, che da sempre si trova a suo agio nell'esprimersi in film d'azione che non si limitano a essere tali, ma c'è qualcosa che non convince, e questo a prescindere da ogni considerazione sulla veridicità della storia in sé, e intendo quella ufficiale e semi-ufficiale cui fedelmente si rifà la sceneggiatura, che puzza di montatura dei Servizi USA. E' chiaro che uno si siede in sala già sapendo che andrà ad assistere alla rappresentazione di una tipica ossessione americana, quella della vendetta sui presunti autori degli attentati dell'11 settembre 2001, e sull'assassinio premeditato, ché altro non si può chiamare, del loro ispiratore: perché mai nemmeno per un attimo in tutta la vicenda ripercorsa dal film della caccia al rifugio di Bin Laden, si è affacciata l'ipotesi di una sua cattura e, sia mai, di un eventuale processo. Nella prima parte del film, interminabile, la regista prova a raccontare, in maniera credibile e quasi documentaristica, affidandosi a dialoghi così fitti e concitati da risultare incomprensibili, i meccanismi di lavoro all'interno della CIA e, a parte egoismi, opportunismi e giochi di potere che vengono accennati ma mai chiariti fino in fondo, visti mille volte nei film sulla "Compagnia", si finisce per non capirci un accidente; anche la scena iniziale dell'interrogatorio sotto tortura di un prigioniero, che tanto aveva fatto storcere il naso ai benpensanti, è perfino innocua a fronte di quanto si è venuto a sapere con documentata certezza: insomma un quadro verosimile ma alquanto annacquato e spesso confuso. C'è di buono che la Bigelow non giudica, anche se sembra dare per buono il grosso della versione ufficiale, e così traspare in ogni occasione, probabilmente in maniera non intenzionale,  la profonda imbecillità, superficialità e stupidità che caratterizza non solo i funzionari ma anche i normali cittadini USA alle prese con realtà che non sono in grado di capire: ossia qualsiasi entità estranea al loro cortile di casa. Anche i più intelligenti di loro. Il film, inutilmente lento e arzigogolato nelle prime due ore, si riscatta nei 25' finali dell'azione del comando di "Canarini" che, partiti con particolari elicotteri "invisibili" da una base USA in Afghanistan, penetrarono abusivamente in Pakistan con obiettivo l'uccisone dello "sceicco del terrore", il cui rifugio da tempo era stato individuato grazie alle facoltà quasi divinatorie di una Maya sempre più anoressica, nevrotica e frustrata per l'inazione dei suoi superiori: operazione militare di infiltrazione nutturna, qui la Bigelow è una maestra, e anche in questa fase a un osservatore appena distaccato non sfuggono alcuni lati grotteschi: la sindrome da "arrivano i nostri" che è scolpita nella mentalità dell'americano medio, figurarsi i militari; uno dei due elicotteri che si incastra sul muro di cinta per una manovra errata e viene fatto esplodere all'evidente scopo per non farlo trovare integro ai pakistani (che sarebbero in teoria alleati), la sovrabbondanza di mezzi: addirittura candelotti di dinamite e strisce di plastico per far saltare dei  banalissimi lucchetti, il tutto per accoppare, in fondo, tre tizi ricercati e in camicia da notte, oltre ai danni collaterali di qualche moglie, parente o figlio (ma la verità non la sapremo mai) mandati pure loro sotto terra. Il cadavere del Grande Nemico, peraltro individuato da un militare che non l'aveva neanche visto per bene, verrà identificato dal capo della spedizione, che al più l'ha visto in foto e in video, e successivamente da Maya, la grande esperta. A noi deve bastare questo per avere la certezza che "giustizia è fatta" e che il "bene" ha trionfato sul "male supremo". Alla fine, un'ossessione individuale, quella della "killer" che si cela sotto le fragili sembianze di Maya, e quelle di una nazione che ha la tendenza a bersi tutte le balle che le vengono propinate da chi ne è alla guida e ha la presunzione che se le bevano pure gli abitanti di quelle che ritiene le sue colonie. E un film che in definitiva non convince: da Kathryn Bigelow è lecito attendersi qualcosa di più.

mercoledì 13 febbraio 2013

In posizione

Io sono qui


lui due sere fa a Mantova era lì



io questa volta non mi astengo e tra dieci giorni andrò a mettere la mia crocetta qui. E non  voglio sentir ragioni e corbellerie sul "voto utile". Bisogna cacciarli tutti per poi tornare a ragionare.

lunedì 11 febbraio 2013

Rassegnate dimissioni

In un Paese in cui la parola dimissioni quasi mai genera conseguenze e le abitudini, mentali e no, sono dure a morire, è venuto il tempo che io le dia da lettore dell'Espresso. Così come le avevo date il 31 gennaio del 2007 da fedele lettore di Repubblica, in seguito alla decisione di pubblicare in prima pagina una famosa lettera di Veronica Lario in Berlusconi, dopo esserlo stato dal primo numero del 14 gennaio del 1976. Ne dò il "triste annuncio", per quel che può importare a chi mi segue, per pura coincidenza in un giorno di rinunce eccellenti e che è anche, combinazione, l'anniversario della firma dei Patti Lateranensi del 1929, sostituiti poi dal "Nuovo Con cordato" sottoscritto da Bettino Craxi nel 1984: ai tempi in cui la mia generazione andava a scuola, si festeggiava la ricorrenza con un giorno di vacanza. Lo faccio con rammarico, perché all'Espresso ero abituato da sempre, insieme al Corriere era una presenza costante in casa quando era ancora un settimanale in formato "lenzuolo", prima di assumere quello tabloid a metà degli egli anni Settanta, e somigliava alle edizioni domenicali dei grandi quotidiani anglosassoni. Con la differenza che all'Espresso si credeva e si aderiva alle sue battaglie, come quelle sul divorzio e sull'aborto, mentre il Corriere "lo si interpretava", come diceva mio padre. Era un giornale da battaglia e da inchiesta, laico, libertario, non convenzionale, schierato a sinistra ma criticamente: un simbolo. Che pian piano si è però andato sbiadendo fino ad afflosciarsi nel conformismo radical-chic, passando dalle grandi inchieste al pettegolezzo e agli ammiccamenti tutti interni al Palazzo, spesso palestra per messaggi in codice all'interno della casta sinistrorsa o di sue fazioni. L'appuntamento del giovedì in edicola era d'obbligo e prima ancora di dare una scorsa all'editoriale correvo alla pagina della rubrica televisiva di Sergio Saviane, un rito: che mi sorbivo come il prete il calice di vino, e l'effetto era ugualmente esilarante. Bocca, Cederna, Corbi, Ajello, Pansa nei suoi momenti migliori: giornalismo di razza. Anche ora è rimasta qualche ottima firma: da Gatti a De Feo a Travaglio a Riva, alla Bianchi e a Giglioli, ma sono sommersi da una montante mediocrità e dal gossip dilagante. Sono particolarmente legato alla lunga direzione di Livio Zanetti, durata dal 1970 al 1984 (del resto erano anche i miei "anni ruggenti"), cui seguirono quelle altrettanto valide di Giovanni Valentini e Claudio Rinaldi. Non ero entusiasta della piega presa con Giulio Anselmi, ma ho apprezzato il giornale sotto la guida sicura di Daniela Hamaui. Ora trovo sempre più insopportabile il conformismo, l'eccesso di "correttezza politica", la tendenza modaiola e accomodante, l'ecumenismo, la banalità e spesso la sciatteria (troppi errori, una grafica scadente). Non reggo i pistolotti di Roberto Saviano e le cronache dall'interno del Palazzo di Denise Pardo, che vorrebbero essere brillanti ma sono al contempo pedanti, criptiche e autoreferenziali: semplicemente irritanti. E', insomma, la fine di un amore. Avevo tentato di rianimarlo, due anni fa, convertendo l'abbonamento digitale in uno cartaceo, sperando che avere la copia cartacea tra le mani operasse il miracolo, ma da ottobre in qua non ne ho più aperta una e quando scadrà non lo rinnoverò. A farmene passare del tutto la voglia, la copertina dell'ultimo numero in edicola, peraltro non ancora arrivato a destinazione a quattro giorni dall'uscita (perfino utilizzando dei treni regionali il tragitto da Roma al Friuli si copre in non più di dieci ore), ancora una volta dedicata al ripugnante individuo che si ostinano a chiamare Cavaliere: sarà la decima in un anno che gli dedicano. Addio: forse verranno tempi migliori e un giorno potremo tornare ad essere amici.

Abdication

E' la fine di un'era. Non ci sono più i PAPI di una volta. La mia generazione ne ha già visti passare sei, ora tocca al settimo. Però finalmente una notizia degna di un titolone a nove colonne in prima pagina invece delle solite fregnacce.

venerdì 8 febbraio 2013

Il voto nocivo

Guardateli bene: i due B. Come bitumati. Le due facce della stessa medaglia. La scelta utile sarebbe questa: o l'uno, o l'altro, comunque col contorno di Monti e di Casini, oppure tutti assieme appassionatamente. Loro la chiamano democrazia, per me è un'intollerabile e offensiva presa per il culo. Non mi stanco di ripeterlo: è venuta l'ora di rivalutare Cesare Lombroso!

mercoledì 6 febbraio 2013

Quartet

"Quartet" di Dustin Hoffman. Con Maggie Smith, Albert Finney, Tom Courtenay, Billy Connolly, Pauline Collins, Michael Gambon e altri. GB 2012 ★★+
Ultima variazione sul tema della serie filmografia da ospizio che ha preso piede ultimamente nel sedicente "Primo Mondo", non tanto e non solo per buonismo "politicamente" corretto ma a causa dei cambiamenti demografici che stanno rapidamente cambiando il target dei fruitori di cinema, "Quartet" segna il debutto alla regia dl piccolo grande Dustin Hoffman con una pellicola garbata, malinconicamente briosa e a tratti moderatamente divertente, però scontata e poco incisiva. La esile trama, un recital annuale organizzato dagli ospiti di una casa di riposo per musicisti situata nella dolce campagna inglese per consentire alla stessa di proseguire nella sua attività, è pretesto per la "réunion" di alcuni mostro sacri della scena inglese, che interpretano i protagonisti di un'altra "réunion", dei quattro ex componenti di un celebre quartetto specializzato in arie verdiane (il recital si tiene nell'anniversario della nascita del maestro di Busseto). Ai tre di loro che già sono ospiti di Beecham House, la svanita Cissy, l'eterno discolo Wilf e il serioso Reggie, ancora ferito dal fallimento del suo matrimonio, si aggiunge la ex star del gruppo, la capricciosa e insopportabile Jean, che ancora conserva atteggiamenti da diva. Il film si dipana tra prove, imbarazzi e chiarimento tra gli ex coniugi, tentativi di convincere la "star" di partecipare all'esibizione, riflessioni sul tempo che passa e l'inevitabile happy end della riconciliazione tra Jean e Reggie. Insomma un film tutto sommato modesto, che non lascia il segno, in cui il merito del regista è quello, da bravo attore, di lasciare mano libera ai suoi colleghi e a un gruppo di veri ex musicisti e cantanti, perché sceneggiatura e regia sono pressoché assenti. 

lunedì 4 febbraio 2013

Il tallone di Kyle

(AGI) - Dallas, 3 feb. - Chris Kyle, il cecchino infallibile dell'esercito americano, e' stato trovato morto in Texas. Kyle, che nella sua autobiografia sostiene di aver eliminato in Iraq 255 nemici (mentre il Pentagono ne conferma solo 160) da 'sniper' dei Navy Seals, e' stato ucciso in un poligono di tiro. Il suo corpo e' stato trovato al Rough Creek Lodge accanto al cadavere di un altro uomo. Per il duplice omicidio, che al momento non trova spiegazioni, e' stato arrestato cinque ore piu' tardi un 25enne a 110 chilometri dalla scena del crimine. Il 38enne veterano della guerra in Iraq piu' volte decorato per il suo coraggio, nel 2012 scrisse 'American Sniper', un bestseller sulla psicologia del cecchino. Secondo la ricostruzione dei media Usa, un uomo gli ha sparato intorno alle 15:30, per poi fuggire a bordo di un pick-up appartanente ad una delle due vittime. Kyle era un cecchino implacabile: riusci' a superare i 109 'bersagli' di un suo collega durante la guerra in Vietnam. La prima persona a cadere sotto il suo fuoco fu una donna. Armata di una granata, racconta il soldato nel libro, si e' era avvicinata ad una pattuglia di marines: ma Kyle l'ha fermata con un proiettile del suo M40. Durante una battaglia a Falluja, l'infallibile cecchino avrebbe spazzato via 40 insorti, nascondendosi in una culla rovesciata in una casa abbandonata. Sulla sua testa i ribelli di Ramadi avevano fissato una taglia di 20mila dollari. Nella sua sanguinosa 'carriera', Kyle e' rimasto ferito un paio di volte dal fuoco nemico ed e' uscito indenne da almeno sei esplosioni di bombe rudimentali. 
Quando si dice "chi la fa l'aspetti". E' la legge del contrappasso. E, comunque, un pericoloso figlio di puttana in meno in circolazione.

sabato 2 febbraio 2013

Il preveggente

"Il sistema creditizio che ha come centro le pretese banche nazionali e i potenti prestatori di denaro, e gli usurai che pullulano attorno ad essi, rappresenta un accentramento enorme e assicura a questa classe di parassiti una forza favolosa, tale non solo da decimare periodicamente i capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più pericoloso nella produzione effettiva – e questa banda non sa nulla della produzione e non ha nulla a che fare con essa (...) banditi ai quali si uniscono i finanzieri e gli speculatori". (Karl Marx, Il capitale). Perché il signore sì che se ne intende(va).  E lo scriveva già 150 anni fa. Non per niente veniva chiamato l'oracolo di Treviri.

venerdì 1 febbraio 2013

Romeo e Giulietta

"Romeo e Giulietta" di William Shakespeare. Regia, traduzione e costumi di Ferdinando Bruni; scene di Andrea Taddei; maschere di Giovenni De Francesco; duelli e risse a cura di Beniamino Caldiero. Con Alejandro Bruni Ocaña, Camilla Semino Favro, Ferdinando Bruni, Ida Marinelli, Luca Torraca,  Mercedes Martini, Fabiano Fantini, Nicola Stravalaci, Alessandro Rugnone, Emanuele Turetta, Francesco Folena Comini, Mauro Lamantia, Giacomo Marattelli Priorelli.  Luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli. Produzione Teatro dell'Elfo in collaborazione con Estate Teatrale Veronese e AMAT. Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 24 febbraio
Può anche darsi che nei confronti degli "Elfi" io abbia una prevenzione in senso positivo: a loro devo il mio avvicinamento al teatro e il crescente interesse nella materia, forse perché sono coetaneo dei loro fondatori e sono cresciuto letteralmente a loro fianco. Però ai miei occhi si sono sempre confermati e in quarant'anni non hanno mai smesso di stupirmi, emozionarmi e coinvolgermi. Così è stato anche ieri sera per questa nuova edizione di "Romeo e Giulietta", che già l'aveva presentata quattro anni fa, dove cambia la coppia dei due protagonisti principali e l'ottimo Alessandro Rugnone viene "promosso" a Mercuzio al posto di Edoardo Ribatto, altrettanto efficace nel ruolo. Quest'opera di Shakespeare, forse la più amata dal pubblico e tutta basata su opposizioni: amore e odio, violenza e dolcezza, volontà e fatalità, linguaggio poetico e scurrile, è particolarmente congeniale a Ferdinando Bruni e nelle corde della compagnia che da sempre ha nelle proprie corde il tema del contrasto tra la purezza dei giovani e il rancido e corrotto mondo degli adulti, al centro di "Romeo e Giulietta" come di altre decine di opere messe in scena dall'Elfo fin dalle sue origini. Semplice ma sempre suggestiva la scenografia, come sempre grande impatto delle luci e sapiente uso del commento sonoro, gli attori vestono panni moderni e d'altronde sempre attuale è la arcinota vicenda, più complessa però di quel che sembra. Quel che colpisce sempre è la straordinaria compattezza della compagnia: a fianco di Bruni stesso nei panni del cinico Capuleti, uno straordinario Luca Torraca in quelli del Frate Lorenzo e Ida Marinelli in quelli inconsuetamente comici della balia, fa palestra un gruppo di attori sotto i trent'anni (il "Romeo" Alejandro Bruni Ocaña ne ha 22), che si muovono con la sicurezza dei veterani. N.B.: nessuno che reciti con il microfono attaccato alla bocca, sono sufficienti le tre prese audio sul palco, perché questa gente non ha problemi né di dizione né di volume di voce. Quasi tre ore si spettacolo che volano senza che ce ne sia accorga e come sempre grande riscontro da parte del pubblico. Quando il teatro da essere anche intrattenimento, e spettacolo tout court