giovedì 29 novembre 2012

Fragranze italiane

Narra Nicola Vendola da Terlizzi che inviterà i suoi elettori a convogliare i loro voti su Bersani in occasione del ballottaggio in programma per domenica prossima perché pensa che "stia dicendo parole che profumano di sinistra"; non olet, invece, la pecunia, per il segretario del PD: 98 mila euro ricevuti da Emilio Riva, patron dell'Ilva e che oggi si guarda bene dal restituire, come contributo alla campagna elettorale del 2006, dopo la quale venne nominato ministro dello Sviluppo economico nel secondo, sciagurato governo Prodi. Combinazione, lo stesso dicastero, che forse avrebbe qualche attinenza con l'acciaieria in questi mesi sulla cresta dell'onda, affidato nel governo Monti a Corrado Passera, uno che a sua volta profuma di frode fiscale, per cui è indagato dalla procura di Biella: reati fiscali che sarebbero stati compiuti mentre era amministratore delegato di Banca Intesa e poi consigliere delegato di Intesa Sanpaolo; i medesimi reati per cui è stato rinviato a giudizio quel tale che l'olezzo lo porta incorporato nel cognome, Alessandro,  il Profumo ex amministratore delegato di Unicredit, trombato e riciclato come presidente della banca di riferimento del PD già DS, PDS e PCI, il Monte dei Paschi di Siena (la BNL oggetto della scalata UNIPOL che faceva esclamare a Piero Fassino "abbiamo una banca!" sarebbe stata in realtà il secondo rilevante istituto di credito controllato dai comunistiani); infine non poteva mancare un altro nomen omen nell'attuale compagine governativa, il Profumo Francesco ministro dell'Istruzione, università e ricerca, che nel disastro in cui versa la scuola pubblica non trova di meglio che proporre l'esenzione dal pagamento dell'IMU per quelle "paritare", ossia in stragrande maggioranza cattoliche. Un'ossessione, quella per fragranze ed essenze, che pervade il Paese, dove da oltre un ventennio tutto ruota attorno a un personaggio, già "unto del Signore", tanto convinto di essere in odore di santità da riuscire a persuaderne anche una buona fetta di elettorato. Io li chiamerei miasmi, ma forse ho le narici tarate su parametri diversi, così come il linguaggio, appena classificato come cinichese in un raro quanto apprezzato commento... 

mercoledì 28 novembre 2012

Appunto...

Ossia: "non tutti coloro che parlano dicono qualcosa". In Italia pressoché nessuno. E' tutto un ininterrotto quanto insopportabile cicaleccio inconcludente, un diluvio di parole a vuoto sottolineate da una gestualità compensativa ed esagerata ed espresse con toni perentori, in un profluvio di retorica insopportabile. A tutti i livelli: da quello istituzionale, che ha prodotto due neolingue indigeste, il politichese e il burocratese, che hanno la medesima funzione di mistificare la realtà e creare un linguaggio iniziatico, a quello della vita quotidiana, in cui ci si imbatte nel  sindacalese come nel linguaggio braminico dei medici, in quello economicista ormai dominante come nel gergo modaiolo o calcistico, per finire con quello pubblicitario e giornalistico, in una parola televisivo, ossia trionfo del luogo comune, che li racchiude tutti in una bolla, anzi: cloud, nel mondo 2.0, di vuoto pneumatico  che ha il solo scopo di soffocare il pensiero e di rincoglionire definitivamente per poi  fagocitarlo chi non si adegua all'andazzo.

lunedì 26 novembre 2012

Vogliono morire democristiani

44 e rotti per cento al pettinatore di bambole, 36 al saltimbanco toscano: tra i due interpreti, con intonazioni diverse, dell'Agenda Monti e del Verbo di Sua Maestà Napolitano si svolgerà domenica prossima  il ballottaggio centrosinistrato. Una cosa è certa: lo "zoccolo duro" ex PCI si sta trasformando man mano in una "espadrilla" mentre prende sempre più vigore l'anima più esplicitamente cattolica del partito comunistiano, pur risciacquata in Arno e verniciata di nuovismo da format televisivo. 3,1 milioni (e non 4 come trionfalisticamente sbandierato ieri sera) di burocrati di primo e secondo livello (fantastico il riflesso pavloviano della Camusso segretaria del sindacato che dell'ex PCI è sempre stato la cinghia di trasmissione), garantiti, scalfarioti, indomabili conformisti, smemorati e inguaribili illusi che hanno fatto la fila per dire sì alla rincorsa al fantomatico centro simboleggiato da Casini e alla dissoluzione finale di quello che si autodefiniva il partito della sinistra italiana nella melma democristiana. 65 anni dopo l'approvazione dell'articolo 7 della Costituzione da parte del PCI togliattiano, lì si torna, come volevasi dimostrare. Sono sempre stato favorevole all'eutanasia, più che mai a quella dell'ex PCI-PDS-DS, e il mio auspicio di una vittoria finale di Renzi, che faccia finalmente deflagrare il PD ha, con questi risultati, e il passare dei giorni, sempre più probabilità di trasformarsi in realtà: sarà la fine di un equivoco che dura dal 1945. Nell'attesa, metto in frigorifero lo spumante.

domenica 25 novembre 2012

Farse primarie

Ci mancava solo il "Certificato di elettore del centrosinistra" per ottenere il diritto di votare alle mirabolanti "primarie" organizzate dal PD che si tengono oggi per decidere chi sarà il "conducator" dell'Armata Brancaleone comunistiana alle elezioni della prossima primavera, il cui unico programma è di procedere pervicacemente nell'attuazione dell'Agenda Monti (quella che "ce lo chiede l'Europa"), in prima o per interposta persona. Per ottenere il rilascio di questa autentica DOP, denominazione d'origine protetta (tale è la specie degli zombie: se ne sono già registrati un milione e mezzo a questa pagliacciata) bisogna pure sborsare  2 € e sottoscrivere l'appello "Italia Bene Comune". Altro clamoroso caso di plagio: non contenta di essersi appropriata abusivamente della vittoria ai 4 referendum del giugno scorso (dopo averli osteggiati fino all'ultimo), la dirigenza del PD ha pure inglobato la ragione sociale del comitato promotore. Il tutto per un risultato già scritto: vittoria dell'attuale segretario del partito, poco importa se al primo o al secondo turno. I "Fantastici 5", così si erano presentati due settimane fa al confronto in TV organizzato da SKY nello studio di "X Factor" su cui dai mummificati mezzi di distrazione di massa italioti sono stati spesi fiumi di parole a vanvera: cinque casi umani che si commentano da soli. Molto più efficace di tante analisi questa precisa descrizione antropologica dell'elettore-tipo dei tre zombie più quotati: Bersani, Renzi e Vendola
E siccome non cambieranno mai, a meno di una mutazione genetica, preparatevi a santificare un altro Santo Natale, che ricorre tra un mese esatto, con questa gente, che non si leverà dai coglioni nemmeno se alle primarie dovesse vincere Renzi. Solo una risata potrà seppellire questi morti viventi, e di questi sberleffi va ringraziata la banda del "Terzo segreto di satira"
                                              

venerdì 23 novembre 2012

La sindrome del casalingo frustrato


Sono quasi due settimane che mi trovo in Austria, catapultato in una dimensione a cui non riesco ad adattarmi: quella della convivenza. Cosciente dei miei limiti, l’ho sempre rifuggita salvo che durante il fallimentare esperimento della mia vita matrimoniale, follia durata cinque anni: un incubo che ho rimosso dalla memoria e il cui ricordo, trascorsi 15 anni dal suo inevitabile esito infausto quanto liberatorio, ha assunto una consistenza limbica. Questa volta il motivo non è una demenziale sfida, persa in partenza, con una condizione che, nelle convenzioni sociali appartiene alla normalità e per il mio modo di essere risulta contronatura (quando vedo con quanta energia perfino gli omosessuali combattono per vedere riconosciuta la loro unione sotto uno stesso tetto da parte dello Stato, questo Stato, e magari benedetta da Santa Madre Chiesa mi viene da scuotere sconsolato il capoccione), ma il senso di fraterna solidarietà con un cugino coetaneo a cui mi è venuto spontaneo prestare assistenza in un momento divenuto estremamente critico per motivi di salute. Cinquantenne “splendido-splendente”, in piena crisi d’andropausa, divorziato da qualche anno e uscito di recente scornato dall’ennesima relazione che doveva essere il grande amore della sua vita, si trova a dover affrontare una sfida decisiva che inevitabilmente segnerà una svolta nella sua esistenza. Qualunque sia l’esito. La battaglia si svolge anche sul fronte dell’alimentazione, che è stata rivoluzionata, e qui entro in scena io, che oltre a essere presente in quanto amico e famigliare, offro le mie prestazioni di cambusiere e di cuoco, considerata la sua totale inettitudine in materia, cercando altresì di mettere un minimo di ordine e di regolarità almeno nell’ambito di cui mi sono reso competente, in un quadro di disorganizzazione cronica, incompetenza e improvvisazione che rasenta il caos (e poi dicono degli italiani...): che continua a dominare il resto degli aspetti della vita del personaggio in questione, da cui ho cura di non farmi coinvolgere, ma trova la sua compensazione e viene calmierato quantomeno a tavola da un’alimentazione sana, equilibrata e ad hoc. Sono bastati un paio di giorni per confermarmi quanto già sapevo: se non ci teniamo accuratamente a distanza, riservandoci spazi e tempi di esclusiva titolarità, la convivenza tra noi è impossibile. Non per niente nell’arco di mezzo secolo non abbiamo mai fatto una vacanza insieme né condiviso lo stesso ambiente per più di 24 ore. Ero già preparato. Meno, a vedere emergere prepotentemente in me la classica sindrome della casalinga frustrata, la stessa che aveva colpito inesorabilmente mia madre dopo una decina di anni di matrimonio facendola desistere dall’impresa, e di cui è vittima la stragrande maggioranza delle donne che dividono la stessa casa con un uomo, ma anche alcuni esponenti di sesso maschile che si trovano ad avere a che fare con donne che per indole e comportamento sono simili a mio cugino: un caso del genere era proprio la mia ex moglie. Persone che per svariati motivi (una madre pervasiva che provedeva a tutto; comodità; cialtroneria congenita) riescono a far scattare un meccanismo per cui ottengono di scaricare intere parti della vita quotidiana, quelle che ritengono più sgradevoli, anche a costo di ammettere la propria incapacità o perfino stupidità in materia, sulle spalle di un altro, generalmente il convivente, il quale se ne fa carico dopo essere invariabilmente caduto nella trappola. Forse perché predisposto a esserne la vittima. Quando ce ne si rende conto è già troppo tardi, e alla fine le lusinghe e le lodi entusiastiche per i risultati di quanto viene ammannito non compensano le incazzature per la cronica mancanza di puntualità, il pressappochismo, l’indecisione su quello che si desidera (ossia: non solo “fai tu”, ma “pensa anche tu al posto mio”), la scarsa se non nulla collaborazione (non sono un formalista in questo senso, ma almeno piatti, bicchieri e posate, non dico una tovaglia, a tavola ci vogliono e non dovrei pensarci io mentre sto preparando magari tre pietanze diverse - a proposito trovo detestabili e ingestibili le piastre elettriche che usano a Nord delle Alpi: vanno a puttane tutti i tempi di cottura, e poi le “sicurezze” scattano per un niente e si spengono sul più bello), tutti aspetti che si trasmettono anche ai figli quando sono in visita, due ragazzini peraltro adorabili ma che quando stanno col padre ne imitano il comportamento e si adeguano ai suoi modi da cazzone. E allora mi ritrovo a urlare, uscire dai gangheri, imbestialirmi per le cose lasciate in giro, per la mancanza di serietà, di ordine, di disciplina, di rispetto e riconoscimento per il mio lavoro... No: non sono ancora arrivato a dire per la mia missione: non c’era arrivata neanche mia madre!

martedì 20 novembre 2012

Volver...

Yo adivino el parpadeo 
de las luces que a lo lejos 
van marcando mi retorno. 

Son las mismas que alumbraron 
con sus pálidos reflejos 
hondas horas de dolor. 

Y aunque no quise el regreso 
siempre se vuelve 
al primer amor. 

La vieja calle 
donde me cobijo 
tuya es su vida 
tuyo es su querer. 

Bajo el burlón 
mirar de las estrellas 
que con indiferencia 
hoy me ven volver. 

Volver 
con la frente marchita 
las nieves del tiempo 
platearon mi sien. 

Sentir 
que es un soplo la vida 
que veinte años no es nada 
que febril la mirada 
errante en las sombras 
te busca y te nombra. 

Vivir 
con el alma aferrada 
a un dulce recuerdo 
que lloro otra vez. 

Tengo miedo del encuentro 
con el pasado que vuelve 
a enfrentarse con mi vida. 

Tengo miedo de las noches 
que pobladas de recuerdos 
encadenen mi soñar. 

Pero el viajero que huye 
tarde o temprano 
detiene su andar. 

Y aunque el olvido 
que todo destruye 
haya matado mi vieja ilusión, 

guardo escondida 
una esperanza humilde 
que es toda la fortuna 
de mi corazón. 

Volver 
con la frente marchita 
las nieves del tiempo 
platearon mi sien. 

Sentir 
que es un soplo la vida 
que veinte años no es nada 
que febril la mirada 
errante en las sombras 
te busca y te nombra. 

Vivir 
con el alma aferrada 
a un dulce recuerdo 
que lloro otra vez.

sabato 17 novembre 2012

Indagini Severine

Quando si dice che il braccio destro non sa quel che fa quello sinistro. O fa finta di non saperlo. I ministri "tecnici" del resto Monti li ha scelti per competenza. Sono politicamente e umanamente "scorretto" con l'attuale titolare del ministero di Grazia e Giustizia perché mi riferisco alla sua menomazione fisica? Me ne fotto. Perché lei lo è? Non c'era? E se c'era dormiva?

lunedì 12 novembre 2012

Argo

"Argo" di Ben Affleck. Con Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman e altri. USA 2012 ★★★ ¾
Ottimo film di solido impianto nella migliore tradizione "civile" hollywoodiana, che il regista  e protagonista Ben Affleck, alla terza prova come autore, ha coprodotto con George Clooney: una garanzia. Cinema autentico, che racchiude in una sola pellicola documentazione storica, per una volta obiettiva (furono gli USA insieme ai britannici a organizzare nel 1953 in Iran il colpo di stato che depose Mossadeq, laico democraticamente eletto, per elevare al trono di shah il fantoccio Reza Pahlavi, responsabile di una dittatura che portò nel 1979 alla rivoluzione khomeinista e alla repubblica islamica: il film lo dice nelle premesse), azione, spionaggio, intrighi di potere, commedia. Argo è il titolo di un film fasullo ma basato su una sceneggiatura vera, regolarmente acquistata dal sindacato sceneggiatori, che fu utilizzato come escamotage per "esilarare" dei cittadini statunitensi impiegati nella ambasciata USA che sfuggirono all'assalto delle "guardie della rivoluzione" che presero in ostaggio oltre 60 loro colleghi per 440 giorni. Questi sei trovarono rifugio nella residenza privata dell'ambasciatore canadese e Tom Mendez, l'esperto della CIA, escogitò lo stratagemma del sopralluogo di un film di fantascienza ambientato in un paesaggio esotico per ottenere un permesso di entrata dal ministero della Cultura iraniano e far passare i sei come componenti della troupe. La storia è vera e l'azione della CIA fu "declassificata" dal presidente Clinton solo nel 1997, mentre prima negò ogni suo coinvolgimento per evitare eventuali ritorsioni sui cittadini USA e riconoscendo il merito al governo canadese. Lo stesso Affleck interpreta Tom Mendez con grande misura, tutti gli altri attori hanno una grande assomiglianza coi protagonisti in carne e ossa della vicenda di cui, per sua stessa ammissione, il regista ha solo accentuato un po' la drammaticità nella fase finale e dovuto forzatamente ridurre quella relativa all'addestramento dei sei "esfiltrandi", che era stata estremamente difficile,m dati i tempi ristretti, per renderli credibili come cineasti canadesi ed eludere controlli accurati e interrogatori trabocchetto. Molto accurata anche la ricostruzione dell'epoca, il film ha i tempi giusti, è teso e allo stesso tempo credibile e recitato da tutti con grande bravura: mi sono rifatto gli occhi dopo la velleitaria e masturbatoria pellicola di cui scrivevo tre giorni fa.

sabato 10 novembre 2012

Reality

Mezzi di manipolazione e rincoglionimento di massa. E nella Terra dei Cachi abbiamo quelli che ci meritiamo, da RaiSet alla Sette a Sky, dal Corriere della Serva al Geniale, dalla Stampa all'Umidità, da Libero al manifesto e a Ripubblica.

venerdì 9 novembre 2012

Venuto al mondo

"Venuto al mondo" di Sergio Castellitto. Con Penelope Cruz, Emile Hirsch, Adnan Haskovic, Saadet Aksoy, Pietro e Sergio Castellitto, Jane Birkin, Mira Furlan.  Italia, 2012 
Poiché mi sono preso la briga di recensire a futura memoria tutto ciò che vado a vedere sul grande schermo o su un palcoscenico (e non correre, dato il progressivo rincoglionimento, il rischio di rivedere un film che non mi era piaciuto) ci sta anche questo indigesto polpettone che altro non è che una fiction televisiva in versione ridotta e per le sale cinematografiche, un enorme passo indietro rispetto a un precedente film che Castellitto aveva tratto da un altro libro (editore guarda caso Mondadori) della Moglie Margaret Mazzantini, "Non ti muovere" del 2004, che aveva per interpreti sempre Penelope Cruz e Castellitto stesso, e che non mi era affatto dispiaciuto. Avrebbe dovuto insospettirmi che fosse Merdusa, leggi alla voce Merdaset, non solo la distribuzione ma anche la produzione di questo pretenzioso pizzone dove ci sta dentro tutto: la passione e il tradimento, la paranoia della filiazione a tutti i costi, la guerra di Bosnia e i bravi militari italiani degli risibili missioni ONU in terra di Balcani; gli slavi svitati, imprevedibili, artistoidi e ubriaconi e naturalmente i serbi, tutti cetnici, cattivi e stupratori (che non mi risulta circolassero impunemente, ai tempi, nel centro di Sarajevo), il tutto condito da manciate di luoghi comuni e recitato alla carlona, col risultato di in un papocchio melodrammatico che si protrae per 127 interminabili minuti che a metà film mi hanno fatto venire la rara tentazione di lasciare la sala anticipatamente e andare a farmi un tajùt alla vicina osteria "Al Cappello", nella bella città di Udine. Potevano allungare la brodaglia di un altro tot e sarebbe stata una miniserie da prima serata perfetta per il pubblico medio di Canale 5. Io, cretino, ho pure pagato il biglietto. Se volete farvi del male, è il film per voi. 

Il Fornerino: lacrime e balle

"Il meglio deve ancora venire", ha detto il Veltroni a stelle e strisce dopo la sua rielezione. Un altro che ha "visto la luce in fondo al tunnel". Diciamo che è il meno peggio. Questo è quanto esprime quello che si ritiene il Paese faro della democrazia, il modello per tutta l'umanità. Mah!

giovedì 8 novembre 2012

Oltre le colline

"Oltre le colline" (Dupa dealuri) di Cristian Mungiu. Con Cosmina Stratan, Cristina Flutur, Valeriu Andriuta, Dana Tapalaga, Catalina Harabagiu e altri. Romania, 2012 ★★★★+
Al suo terzo lungometraggio, si ripete a ottimi livelli il giovane cineasta rumeno, Cristian Mungiu, che vinse la Palma d'Oro a Cannes con "Quattro mesi, tre settimane, due giorni" cinque anni fa e fu autore dei "Racconti dell'età dell'oro" del 2009: un graditissimo ritorno e una conferma. Come nel suo primo film, affronta sentimenti e lacerazioni personali nel contorno di un Paese in bilico tra un passato da incubo e un presente spesso miserabile e comunque contraddittorio e in mutazione: questa volta, di fondo, è un film sull'amore tra due ragazze, anche se è tratto da una vicenda vera. Alina a 25 anni torna in Romania dalla Germania, dove lavora, a prendere Voichita, con cui è cresciuta in orfanotrofio fino alla maggiore età, e che invece si è rifugiata in un convento, per portarla con sé, ma fin dalle primissime scene è chiaro che l'amore di quest'ultima ormai ha preso un'altra direzione e si è riversato su dio e che non la seguirà. La vicenda è quella dunque di un amore non corrisposto, ma tutto ciò non viene mai completamente esplicitato, affidato agli sguardi e alle timidissima avance di Alina e alla dolce ritrosia ed evasività di Voichita, e rimane sullo sfondo iscrivendosi nella cornice della vita di questo strano monastero diretto da un prete integralista ma che era già stato laico e da uno gruppo di suore che sono tali anche per avere tuttora dei mariti che le vorrebbero indietro. Durante la sua permanenza lì come ospite prima, e poi come aspirante suora, perché vede in questa scelta l'unica possibilità di rimanere accanto all'amata Voichita, Alina viene però vissuta come un corpo estraneo, che crea disarmonia: tale è la sua inquietudine che dà in escandescenze e finisce prima in ospedale, poi viene "curata" con una sorta di esorcismo dal prete "papà" circondato dalle sorelle e dalla superiora, chiamata a sua volta "mamma" (si ha a che fare, in Romania, con intere schiere di ragazzi abbandonati dai genitori, cresciuti in squallidi orfanotrofi e poi affidati a famiglie che magari li sfruttano). Tanto curata da rimanerne vittima, per quanto "in buona fede". Mungiu non giudica mai, lascia parlare una fotografia splendida, delle attrici bravissime, su tutte Cosmina Stratan che interpreta Voichita in maniera semplicemente superba. "Oltre le colline", dopo il monastero... sono in vendita dei terreni, risponde Voichita a due automobilisti di passaggio che le chiedevano informazioni mentre il pope e le sue accolite si producevano in litanie salvifiche su una Alina immobilizzata con stracci e catene su una serie di assi che ricordavano una croce, in un isolamento malato dal mondo esterno, senza nemmeno rendersi conto di quel che stavano facendo. E' tutto molto vero, reale, anche questo fanatismo tanto innocente da apparire normale, così come l'indifferenza e la rassegnazione a una realtà triste e gretta che regna all'esterno, e dove la speranza sembra non esistere. Un film inquietante, ma da vedere. 

martedì 6 novembre 2012

Skyfall

"Skyfall" di Sam Mendes. Con Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes,  Naomi Harris, Berenice Marlohe, Ben Wishaw, Albert Finney, Rory Kinnear. USA, GB 2012 ★★★½
Non c'è niente di meglio di un film d'azione, avvincente, ben girato e recitato per distrarsi da pensieri molesti e scaricarsi un po': questo episodio della interminabile serie tratta dai libri di Ian Fleming cade quando ricorrono 50 anni dalla comparsa del primo James Bond, nei panni di Sean Connery, in versione cinematografica (correva il 1962, anno del primo disco dei Beatles come delle prime esibizioni dei Rolling Stones). Un'altra era: quella della Swinging London, quando la Gran Bretagna, perduto l'impero, dettava però ancora legge nel campo culturale, della moda, della musica e del costume. Anni che quelli della mia generazione hanno percorso per intero, portendosene dietro un ricordo vivido quanto carico di nostalgia: dei tempi e dei miti di allora. Qui l'agente "doppio zero" è interpretato da Daniel Craig, di gran lunga il più efficace fra i successori del Bond originale, legato per sempre al grande Sean Connery. Tantopiù credibile perché non spara più battute caustiche a raffica, ha lasciato quell'aria tra l'ironico e il giocoso: era una specie di Peter Pan, con diversi aspetti infantili; qui e negli ultimi tre film (quelli interpretati in maniera eccellente da Craig) è più sofferto, oltre che acciaccato, indebolito dall'alcol, forse stanco di sesso, anche lui a fare i conti col passato. Tutto il film, affidato alla sapiente regia di Sam Mendes ("American Beauty" un titolo su tutti a fornire ampia garanzia) gioca tra presente e passato: quello di Bond, che ricompare dopo essere stato dichiarato "Missed in Action" e dunque morto; quello di "M", la direttrice dell'MI6 e delle sue scelte, accusata dai nuovi governanti di essere rimasta ancorata a una dimensione e a una realtà superata, ed avere alcuni scheletri nell'armadio; un passato che torna nei panni di Silva, un Javier Bardem quanto mai orrendo e inquietante, ex agente prediletto, insieme a Bond, da M (che in questo caso sta anche, metaforicamente, per madre) che ora si dedica al terrorismo informatico e alla vendetta contro la sua ex capa suprema; ricompare perfino la vecchia "Aston Martin" DB5 armata di Goldfinger, così come gadget apparentemente fuori moda ma sempre più affidabili delle diavolerie moderne. Si spazia tra Istanbul e Londra, Shanghai e Macao, nel tentativo di recuperare un file su cui si trovano i nomi degli agenti infiltrati dall'MI6 nei vari gruppi e strutture sotto sorveglianza e che Silva pubblica a mano a mano in rete, mandandoli a morte sicura, fino al redde rationem nella brughiera scozzese a Skyfall, da qui il nome, nel castello ormai in vendita della famiglia Bond, che James non frequentava più da quando era rimasto orfano durante l'adolescenza, e dove porta M (sulla Aston Martin DB5) per cercare di proteggerla e, al contempo attirare in una trappola Silva. Vivamente consigliato a chi apprezza il genere.

domenica 4 novembre 2012

Tu chiamale se vuoi emozioni / Amala!

Da sempre detesto la Juventus e tutto ciò che rappresenta, e non solo a livello calcistico: le "marchionnate" di oggi, che ricalcano l'arroganza degli Agnelli (non vale la regola dell'omen nomen nel caso di questa casata sabauda) e dei suoi ciambellani, come per anni in epoche diverse furono Vittorio Valletta e Cesare Romiti, non fanno altro che rinfocolare questa avversione che è fisica e morale verso un modo di essere che sta all'opposto del mio, anche se non ho mai mancato di riconoscerne i meriti agonistici nei rari casi in cui li ha avuti in maniera endogena, come in occasione della vittoria dell'ultimo titolo. Da tempo l'ho ribattezzata Fetentus, da quanto mi ripugna perfino nominarne la ragione sociale. Nulla è più sportivamente antitetico alla squadra targata FIAT (e da quest'anno con la sponsorizzazione "Jeep" che campeggia sulle sue orride divise optical) dell'Inter, perfino più di altre avversarie storiche come Torino, Fiorentina e Roma, né di antropologicamente agli antipodi ai sostenitori della "vecchia bagascia" (non a caso la squadra più popolare in Italia, così come lo furono il fascismo e il cattocomunismo: in una parola l'eterno conformismo in salsa italiota e l'asservimento al potente del momento) del tifoso nerazzurro e "benamante". Ieri sera si è compiuta, ancora una volta, la nemesi, la vendetta perfetta. Sconfitta dopo una serie utile di 49 partite, violato per la prima volta l'orrido stadio di latta e cartone di cui i "gobbi" vanno così orgogliosi da parte dei "nemici" più visceralmente odiati dal "popolo" bianconero e sotto gli occhi attoniti di questo nel suo territorio, tutto ciò nonostante un gol palesemente non valido subito dopo 18'' di gioco, uno a favore annullato per fuorigioco dubbio (senza che si sia levata una protesta), una mancata espulsione (Lichtsteiner per un intervento in stile macellaio, che ha costretto la panchina bianconera a sostituirlo prima dello scadere del primo tempo). Un'altra squadra si sarebbe rassegnata, non l'Inter vista in campo ieri sera a Torino, presentata dal suo giovane e bravissimo allenatore Andrea Stramaccioni in versione a tre punte, votata all'attacco, pronta a prendere in mano le redini del gioco e non solo a operare di rimessa, con contropiede fulminanti, caratteristica che pure è nel suo codice genetico. E' finita 3-1, alla faccia della "spensieratezza tattica" su cui ironizzava con arrogante sicumera Giuseppe Marotta, direttore generale della Fetentus, alla lettura della formazione ufficiale nerazzurra (non risulta aver proferito verbo il presidente Andrea Agnelli, altrimenti più loquace, e sempre a sproposito, perfino di Simona Ventura). E ho rivisto una squadra, non eccelsa ma unita, di carattere, di gente conscia dei propri mezzi e soprattutto compatta. Una specie di fratellanza che unisce i tifosi nerazzurri nonostante lo sfrenato individualismo che pure li distingue da tutti gli altri (l'empatia immediata e profonda con personaggi come Lorenzi, Corso, Helenio Herrera, Roberto Boninsegna, Evaristo Beccalossi, Walter Zenga, Nicola Berti, Marco Materazzi e José Mourinho, tanto per fare alcuni esempi, non è casuale) e che fa la differenza. Noi sì siamo una "community", anche senza il sussidio dei "social network". Lo hanno confermato, nel mio caso, le chiamate intercorse dopo la partita con i miei vecchi vicini di posto a San Siro, dove dopo tempo immemore, causa spending review, non ho rinnovato l'abbonamento per la stagione in corso. Mi hanno commosso. Come rivedere gli "occhi di tigre", come direbbe l'amico "Settore", in tutti i "ragazzi", giovani e vecchi, da El Capitán Zanetti (39 anni suonati) al piccolo, grande Nagatomo San, ai nuovi arrivati, per non parlare del "Principe" Diego Alberto Milito, ieri sera el hombre del partido più che mai, come il 22 maggio di due anni fa a Madrid. E nel giovane, intelligente, coraggioso condottiero, Andrea Stramaccioni. Grazie, ragazzi, è stato bellissimo. Siete tutti noi. 

sabato 3 novembre 2012

Io e te

"Io e te" di Bernardo Bertolucci. Con Tea Falco, Jacopo Olmo Antinori, Sonia Bergamasco, Veronica Lazar, Pippo Delbono. Italia, 2012 ★★★★
Felice ritorno dietro alla macchina da presa di uno dei grandi del cinema, 9 anni dopo "The Dreamers", dopo essere stato costretto alla carrozzella a causa di un intervento chirurgico sbagliato: e qualcosa di claustrofobico e rabbioso traspare in questo film, che Bertolucci non pensava di riuscire a fare, e il cui risultato è all'altezza della sua fama. Regista delle contraddizioni del tempo in cui ci è toccato vivere, in tutta la sua carriera ha descritto in maniera potente personaggi in crisi, a un punto di svolta davanti a un qualche cambiamento. Tratto dall'omonimo romanzo breve di Niccolò Ammanniti,  il film ha come personaggio centrale Lorenzo, un quattordicenne introverso e solitario, con una madre ansiogena e un padre totalmente assente ed evocato solo indirettamente, che coglie al volo l'occasione di una "settimana bianca" organizzata dalla scuola per intascare i soldi della gita, spenderli in rifornimenti: cibo e bevande varie che altrimenti a casa gli sarebbero vietati, nonché investirli in un terrario con un formicaio ed eclissarsi, senza che nessuno se ne accorga, nella cantina del palazzo in cui abita, in una sorta di prigionia volontaria. Qui irrompe, inaspettata, la sorellastra venticinquenne Olivia, eroinomane che sta tentando di "ripulirsi" e che sta cercando alcuni oggetti rimasti nella cantina. Un'intrusione all'inizio poco gradita, ma la ragazza sta male, è in preda a una vera e propria crisi di astinenza, e tra i due, che praticamente non si conoscono, nasce man mano un legame forte e quasi disperato ma vero, a differenza di quelli che entrambi hanno avuto in famiglia e negli ambienti che frequentano, fatto di affetto, complicità, curiosità, tenerezza, soprattutto comprensione istintiva, per cui riescono a darsi la forza per provare entrambi a uscire dalle gabbie che loro stessi si sono costruiti intorno per proteggersi. I due interpreti riescono a esprimere tutto questo con intensità rara, senza traccia di morbosità, con la sua potenza e aggressività mista a dolcezza Tea Falco e con il suo sguardo curioso e intelligente e la sua mobilità Jacopo Olmo Antinori. Pochi oltre a Bertolucci sarebbero stati in grado di trarre il massimo da due esordienti a assoluti, scelti però accuratamente. Così aveva fatto anche con Eva Green in "The Dreamers" e Maria Schneider  in "Ultimo tango a Parigi", che per una pura combinazione avevo visto ieri pomeriggio prima di decidere di fare il bis di Bertolucci in serata. Corrono 40 anni fra le due pellicole, ma qualcosa hanno in comune, oltre alla perfezione tecnica: suscitano emozioni forti perché parlano a qualcosa di profondo che sta dentro di noi, smuovono corde sensibili che ognuno di noi ha. E per questo il maestro parmigiano è sempre attuale e riesce meglio di altri a parlare dei giovani, che spesso sono al centro della sua attenzione. Un film che merita di essere visto e non può lasciare indifferenti. 

giovedì 1 novembre 2012

Punto G, il piacere della diretta



Non faccio parte del M5S, per cui i suoi meccanismi decisionali non mi importano più di quelli degli altri partiti, che da quel che mi risulta non sono certo più "democratici", se questa parola ha un senso (anche il centralismo comunista era "democratico", così come la Repubblica della Germania Est). Tanto per cominciare, però, i suoi candidati si presentano in rete e lì vengono scelti. Se c'è una cosa su cui concordo nel modo più assoluto con Grillo, e non ce ne sono molte che mi trovino in sintonia totale, è il divieto di partecipazione ai "talk show" televisivi inserito nel codice di comportamento dei candidati alle elezioni politiche dell'anno prossimo. E il motivo è semplicemente perché sono controproducenti (lo dimostrano i risultati dei referendum "silenziati" dell'anno scorso come quelli del M5S) e un insulto all'intelligenza degli spettatori ed elettori e perché sono stati questi programmi inverecondi a favorire prima, creandone le premesse (ricordate il Maurizio Costanzo Show?) e poi ad accompagnare tutto il ventennio berlusconiano, trasferendo di fatto negli studi TV il dibattito, si fa per dire, parlamentare, trasformandolo in una continua, e concordata, rissa di cortile, né più né meno di quello che accade con le trasmissioni di casi umani alla De Filippi, tanto per capirci, con tanto di personaggi fissi, macchiette e gioco delle parti, che hanno finito per togliere qualsiasi credibilità e dignità alla stessa parola "politica", considerati gli squallidi figuri che ne erano, e sono, gli interpreti. La mia ripulsa per simili miserabili spettacoli (e anche per quelli pseudo satirici, a cominciare da "Striscia la notizia" per finire a "Parla con me") è sempre stata totale, sia che andassero in onda sulle reti Merdaset, sia sulla RAI - e poco importa se a gestire il teatrino dei pupi fossero, o siano, dipendenti di Berlusconi o i comunistiani dell'ex TeleKabul - sia su "La Sete". Che si tratti di Santoro, Costanzo, Vespa o quell'altro inserviente di Giovanni Floris a dirigere le danze non fa alcuna differenza: è proprio la formula, o formache non mi va giù, nemmeno se la trasmissione la conducono persone come Gad Lerner o Lilli Gruber che pure stimo (almeno rispetto a quelle nominate sopra). Perciò sottoscrivo alla lettera il post che Grillo ha pubblicato ieri sul suo blog. E che ha scatenato l'indignazione generalizzata, sui media come in parte sui social network, con l'accusa di sessismo e machismo, per aver nominato Il punto G, quello che ti dà l'orgasmo nei salotti dei talk show. L'atteso quarto d'ora di celebrità di Andy Warhol a proposito della partecipazione, peraltro poco felice (come volevasi dimostrare), di Federica Salsi, consigliera del M5S al Comune di Bologna, alla puntata di "Ballarò" in onda martedì sera. Peraltro mai nominata. Accuse ancora più ipocrite e grottesche quando a ergersi a femministi dell'ultima ora sono i progressisti alle vongole di scuola scalfariana e altri personaggi che gravitano attorno al partito degli zombie, il PD; gli stessi che oscurano, e si guardano bene dal chiamare in televisione, l'unica candidata donna alle primarie centrosinistrate, Laura Puppato: una desaparecida. E che non hanno mai avuto niente in contrario a sedere nei talk show di cui si parla, e per di più "dibattere", con personaggi come Daniela Granero in Santanché, Alessandra Mussolini, Mara Carfagna, Gloria Meloni, Maria Stella Gelmini e frequentare il giro di mignotte portate in Parlamento come nei vari consigli elettivi dalla banda di Arcore. Per quanto mi riguarda, se in primavera avesse la meglio la tentazione di uscire dall'astensionismo praticato alle ultime elezioni politiche o dall'annullamento della scheda, potrei perfino essere tentato di votare per il movimento inventato da Grillo pur di far sparire dalla circolazione la manica di usurpatori e manigoldi che ci ostiniamo a chiamare classe politica. Fosse solo per la posizione che ha sulle TV in generale e italiote in particolare. Io ripeto da anni che come prima misura di una eventuale (e chimerica) riforma del sistema radiotelevisivo dovrebbe essere stabilito un divieto assoluto per gli eletti a cariche elettive di partecipare a qualsivoglia trasmissione che non sia una tribuna politica. Ma sono un blogger isolato e un elettore virtuale e scarsamente appetibile. Che le stesse cose le sostenga uno che può fare la voce grossa mi fa soltanto piacere.