lunedì 9 luglio 2012

Detachment

"Detachment" di Tony Kaye. Con Adrien Brody, James Caan, Lucy Liu, Marcia Gay Harden, Christina Hendricks, Bryan Cranston. USA 2011 ★★★★
Un film potente, intenso, doloroso, per nulla consolatorio e soprattutto sincero, una delle migliori pellicole della stagione. "Non mi sono mai sentito allo stesso tempo così distaccato da me stesso e così presente nella realtà": questa citazione di Albert Camus apre il film e la fa propria Henry Barthes, giovane insegnante di letteratura alle scuole superiori, supplente per scelta, lucidamente malinconico e sempre presente a sé stesso, e questo distacco emotivo, che è il contrario dell'indifferenza ma consiste in reale pietas umana, che gli consente di conquistare immediatamente il rispetto da parte di una scolaresca senza speranze, svogliata, persa, che trova in un istituto del New Jersey. Siamo nel 1985, in piena era reaganiana, quella che ci ha portato alla dritti alla situazione attuale, in cui anche l'istruzione doveva rispondere a criteri di "efficienza" e dare profitti agli investitori e sponsor, in buona parte immobiliaristi. Un'istruzione che badasse soltanto ai risultati che comportassero una spinta a nuove iscrizioni, indifferente sia alla qualità sia al futuro degli allievi, di cui i primi a fregarsene sono i genitori, totalmente disinteressati e assenti. Ugualmente disperati e demotivati sono gli insegnanti; non Henry, che è consapevole dell'epoca in cui stiamo vivendo, in cui il bombardamento mediatico di ciarpame e il trionfo di un "doppio linguaggio" che mistifica ogni cosa, di stampo orwelliano, travolge ogni senso ma può essere combattuto preservando uno spazio di verità e di coscienza in sé stessi, soprattutto attraverso lettura, che consente di rimanere legati a valori morali ed estetici autentici. La denuncia della situazione educativa americana (un cancro che si sarebbe presto esteso anche nel resto del mondo, come stiamo tristemente sperimentando anche in Italia ai nostri giorni) è soltanto una parte del film, incentrato sul personaggio di Henry Barthes splendidamente reso da un Adrien Brody superbo, almeno all'altezza dell'interpretazione che gli fruttò l'Oscar per "Il pianista" di Roman Polansky nel 2002, che recita a un doppio livello: oltre che come protagonista della vicenda, che si svolge durante alcune settimane della fine dell'anno scolastico, ma anche facendo considerazioni a posteriori sugli avvenimenti ripreso in magnifici primi piani che ne esaltano le qualità interpretative. Il suo personaggio non è visto solo nella sua dimensione scolastica: accudisce anche il nonno, ricoverato in una "casa di riposo" dove, come a scuola, regna l'indifferenza, uscito di senno dopo il suicidio della figlia, di cui si sente (a ragione) responsabile. Responsabilità di cui Henry è cosciente, ma non gli impedisce di assisterlo e di "assolverlo" dalla colpa, anche se questa lo ha reso orfano a nove anni. Questa "cognizione del dolore" lo porta anche a occuparsi una prostituta minorenne che ospita per un periodo a casa sua e avvia al recupero proprio attraverso un altro "distacco", distacco anche dall'infatuazione di una sua talentuosa e sensibile allieva, con animo di artista, derisa dai compagni per la sua obesità e denigrata dal padre, che ne causa il suicidio anche se Henry è l'unico a riconoscerne le qualità e la personalità. Un film che è anche un pugno nello stomaco ma che rimane dentro, girato con grande abilità e con soluzioni visive originali.

1 commento:

  1. Film che colpisce dritto al cuore il nocciolo del disastro economico e sociale del momento attuale.
    Un film politico nel senso più profondo, come ormai non se ne vedono più.

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