venerdì 13 luglio 2012

ACAB

"ACAB - All Cops Are Bastards" di Stefano Sollima. Con Pierfarcesco Favino, Domenico Diele, Marco Giallini, Filippo Nigro, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo. Italia, 2011 ★★★★
Molto incoraggiante il debutto sul grande schermo di Stefano Sollima, che per SKY aveva girato in due parti la versione televisiva di Romanzo Criminale, che a sua volta aveva reso ancora meglio la già ottima versione cinematografica di Michele Placido. Incentrato su un manipolo di celerini in servizio presso il Reparto Mobile della PS di Roma, e basato sull'omonimo libro-indagine di Carlo Bonini che ne indaga dall'interno le dinamiche malate, ACAB è ben più di un film "di genere", anche se descrive in modo estremamente efficace la mentalità distorta di questi veri e propri guerrieri, mal pagati, peggio ancora addestrati e istruiti (60 anni di storia di un "repubblica nata dalla Resistenza" non hanno impedito che continuasse a regnarvi quasi incontrastata una mentalità profondamente fascista), mandati allo sbaraglio nelle strade, tra ultras calcistici scatenati, periferie degradate, sfratti da eseguire, sgomberi di campi nomadi e proteste operaie, che sono uniti da un vincolo di "fratellanza" che si traduce in omertà, sostanzialmente tollerata da chi dirige le forze dell'ordine, e che li incoraggia a farsi giustizia da soli. Per essere degli autentici guerrieri, bisogna anche avere una predisposizione innata alla violenza, che spesso trova nella realtà quotidiana, personale e famigliare degli stessi agenti, il carburante necessario per moltiplicarsi e non trovare più limiti, come nel caso del G8 di Genova del 2001, citato un paio di volte a metà e sul finire della pellicola in situazioni quanto mai adeguate. E proprio sulle vicende della Diaz questo film dice, indirettamente e in maniera assai più convincente, molto più dell'omonimo film di Vicari, che pure avevo trovato positvo. Film notturno, cupo, pervasivo, girato con grande sicurezza e interpretato benissimo (Marco Giallini su tutti), ACAB non si limita a descrivere il mondo chiuso delle "guardie", ma lo inserisce in un concreto scenario di precarietà e disagio, nella fattispecie le periferie romane da cui gli stessi celerini provengono, lasciate a sé stesse da un potere politico incapace, menefreghista e corrotto, di cui questi pretoriani del nulla, ossia di uno Stato assente, sono gli unici rappresentanti fisicamente presenti.

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