venerdì 4 maggio 2012

Giulio Cesare

"Giulio Cesare" di William Shakespeare. Regia di Carmelo Rifici. Traduzione di Agostino Lombardo, ideazione e progetto scenico di Marco Rossi e Carmelo Rifici, luci A.J. Weissbard, costumi Margherita Baldoni, musiche Daniele D’Angeloadattamento drammaturgico Renato Gabrielli. Con (in ordine alfabetico) Ivan Alovisio, Marco Balbi, Giulio Baraldi, Elio D’Alessandro, Leonardo De Colle, Massimo De Francovich, Angelo De Maco, Pasquale Di Filippo, Gabriele Falsetta, Marco Foschi, Tindaro Granata, Sergio Leone, Danilo Nigrelli, Rosario Petix, Francesca Porrini, Federica Rosellini, Giorgia Senesi, Max Speziani, Angelo Tronca. Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa. Al Teatro Strehler di Milano.
Si trattava del primo Shakespeare per il giovane e valido regista, che avevo già avuto modo di apprezzare la scorsa stagione quando, sempre al "Piccolo", aveva messo in scena "Nathan il saggio" di Lessing, e il "Giulio Cesare" che ha adattato in questa occasione risulta uno spettacolo potente, intenso, di grande impatto, che legge le eterne dinamiche che si svolgono nelle segrete stanze del potere su tre livelli diversi: pubblico, personale e magico. Aspetti che si intrecciano in modo magistrale nella vicenda del complotto che porta alla morte di Cesare e racconta il punto di svolta di un sistema nella sua fase di crisi più acuta, quella del passaggio dalla repubblica all'impero. Sacrificio, quello di Cesare, quasi rituale, della cui ineluttabilità necessaria è per prima la vittima stessa ad essere conscia. Violenza, tradimento, intrigo, manipolazione, segretezza, stregoneria: tutti elementi che da sempre accompagnano il potere, in un viluppo tanto più intricato nelle epoche di crisi, aspetti che, lo diceva Shakespeare oltre 400 anni fa, si ripetono in ogni epoca. Gli attori compaiono in scena con abiti di oggi, giacca e cravatta blu o rossa, una divisa del potere, ma per il resto la tragedia è aderente al testo, che più che moderna è eterna nel suo significato, come eterni e immutabili sono i meccanismi del potere. Tutti bravi gli interpreti, con Marco Foschi (Bruto), Sergio Leone (Cassio) e Danilo Negrelli (Antonio) su tutti. E un Cesare, Massimo De Francovich, "imperiale".

2 commenti:

  1. Io ho trovato lo spettacolo talmente costoso ed inutile da essere irritante. Lettura superficiale e piena di incoerenze, senza nessuna utilità perché davvero possa farci scoprire qualcosa dei meccanismi raffinatissimi e sempre attuali che Shakespeare scrive del potere, della retorica, del mestiere dell'attore con questo testo immenso. Consola ci sia in contemporanea la lettura dei Taviani che con raffinatissima semplicità giustificano la scelta del testo e danno un senso al ruolo della regia.

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  2. Io ero perplesso per l'ambientazione moderna ma mi sono ricreduto: la spettacolarità dell'impianto scenico alla fine poteva starci. Sono però d'accordo con te che, nella sua essenzialità, la gestazione del "Giulio Cesare" e la sua scarna rappresentazione da parte della compagnia di detenuti di Rebibbia, proposta dai Taviani hanno onorato il testo di Shakespeare meglio di quanto abbia fatto questo adattamento.

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