venerdì 2 marzo 2012

Tea Land

La tratta ferroviaria fra Ella e Nanu Oya, sulla linea che collega Badulla, estremità Sud-Orientale della Hill Country, a Kandy e Colombo nell'Est dell'isola, non supera gli ottanta chilometri e il treno impiega due ore e mezzo a percorrerla. Il tempo equivalente a un film di spessore. Qui però lo spettacolo è dal vero: credo di avere visto una terra altrettanto fertile, con una tale varietà di tonalità di verde intenso e dei cieli altrettanto vasti e luminosi soltanto nel Brasile meridionale. 

Cresce di tutto, ma è nel tè che la Hill Country ha trovato la sua vocazione. Introdotto dagli inglesi soltanto a partire dal 1867 come sostituto del caffè, le cui coltivazioni erano andate perse a causa di una malattia che ne aveva decimato le piantagioni (tra i pionieri lo scozzese  Thomas Lipton, nome famoso ancor oggi), questo arbusto viene cimato delle foglie e dei germogli quando raggiunge il metro d'altezza esclusivamente da donne tamil (riconoscibili per il pottu, o bindi, che ne decora la fronte, tra le sopracciglia) e ha trovato nell'interno collinare dell'isola le sue condizioni ideali: clima caldo, altezza adeguata (tra i 1000 e i 1500 metri) e terreni inclinati, tant'è vero che lo Sri Lanka a livello quantitativo ne è il secondo produttore mondiale dopo il Kenia, e per qualità supera perfino quella del suo principale concorrente, l'India, dato che il prezzo del "Ceylon Tea" nelle aste internazionali supera del 50% quello indiano. Dall'India, come accennato, proviene il personale che per la quasi totalità se ne occupa: i cosiddetti "tamil delle piantagioni", così chiamati per distinguerli da quelli "indigeni" e che vivono nella parte settentrionale e orientale dell'isola, la più numerosa minoranza dello Sri Lanka, induista, un buon 18% della popolazione, coinvolta sua malgrado in una guerra civile cruenta durata 25 anni e che ha avuto fine 
soltanto nel 2009. 

Non ho mai notato una ostilità etnica o religiosa da parte della maggioranza singalese e buddhista nei confronti degli induisti tamil, anzi: un certo disaccordo di fondo su come è stata gestita la fase finale del conflitto, facendone pagare le conseguenze alla popolazione incolpevole delle zone sottoposte al governo dell'LTTE (le "Tigri Tamil"). Una guerra che ha avuto radici nel "divide et impera" che sempre gli inglesi hanno applicato nei loro possedimenti: favorendo le minoranze (i musulmani e i parsi in India, i cinesi in Malesia, gli arabi in Palestina, i tamil a Ceylon) a scapito di maggioranze recalcitranti al loro dominio. Seminando malcontento e contrasti che sarebbero immancabilmente scoppiati una volta levate le tende e rientrati nelle isole patrie. A differenza dei francesi, che hanno lasciato alle spalle soltanto discredito e miseria ovunque hanno messo piede, i britannici hanno comunque costruito ferrovie e strade adeguate, infrastrutture solide, e lasciato in eredità un idioma che è diventato una lingua franca in cui esprimersi tra popolazioni di idiomi diversi: almeno questo va riconosciuto alla "Perfida Albione", a cui dunque brindiamo with a cup of Ceylon tea.

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