martedì 6 marzo 2012

Kandy: una Lugano tropicale


Lungolago

KANDY - Di una cosa sono certo: non sono le città l’asso nella manica dello Sri Lanka, anche se Kandy, ultima capitale del regno singalese prima che cadesse nelle mani inglesi nel 1815, è incomparabilmente meglio di Colombo. A cominciare dalla “location”, a 500 metri d’altezza, e quindi dal clima. La città mi ha immediatamente richiamato alla mente Lugano: molto più popolata, 150 mila abitanti, disseminati sulle colline che dominano un lago molto più piccolo del Ceresio e, a differenza di questo, un bacino artificiale. Uguale la supponenza degli abitanti, l’affollamento di banche e luoghi pseudo-esclusivi, il demenziale su-e-giù per le colline, e la ferma convinzione di trovarsi in un posto speciale. A questo si aggiunge il fatto che Kandy è una città “santa”, in quanto sede del tempio del “Sacro Dente”, che custodisce la più preziosa reliquia buddhista dello Sri Lanka. Dente sottratto alla pira funebre dell’Illuminato nel 483 A.C e trasportata otto secoli dopo dal Nord dell’India sull’isola nascosto tra i capelli di una principessa ad Anuradhapura, ai tempi capitale del regno singalese. Da lì in poi la reliquia fu palleggiata tra i detentori del potere succedutisi sull’isola, compresi i portoghesi che, in preda a delirio da Santa Inquisizione, avevano tentato di polverizzare a martellate il dente in quanto “empio”, per finire qui. Dove divenne alla fine simbolo di sovranità, tanto da ritenere che chiunque custodisse la reliquia avesse diritto di governare l’isola. Come fosse una corona. 
Tempio del "Sacro dente"
Di questo è testimone il tempio attuale, ricostruito in varie fasi a seconda delle dinastie che si sono succedute sul trono: niente di che, da un punto di vista architettonico. Una bomba collocata da appartenenti al LTTE (il Fronte di liberazione delle Tigri Tamil) lo danneggiò in buona parte nel 1998, ma francamente non è che sia andato distrutto qualcosa di imperdibile. Nonostante ciò, il tempio è meta di peregrinazioni non soltanto dei buddhisti dell’isola ma anche di quelli thailandesi, cinesi, perfino giapponesi, che hanno contribuito con donazioni a costruire e dopo l'attentato restaurare parti del tempio. E’ difficile giudicare, ma l’impressione, dopo essere stato per un mese in Birmania, è che qui il buddhismo, almeno nelle città, sia qualcosa che abbia più a che fare con il potere che con qualcosa di realmente sentito. I templi sono rari, scarsamente frequentati; i “vihara”, o monasteri, chiusi in sé stessi: anche fisicamente sembrano dei mondi a parte, con una accessibilità da Grand Hotel. Insomma, distanti dalla gente comune. Per non parlare della banalità architettonica, della nessuna rilevanza artistica dei templi quando non si cada nel kitsch più plateale. 
Kandy Lake
Rassicuro che mi conosce che non sono in preda a crisi mistica, ma l’atmosfera che respiravo in Birmania poche settimane fa, ma anche in passato in Cambogia, Laos, Thailandia, perfino nel Vietnam e nella “miscredente” Cina era un’altra cosa. E’ sufficiente osservare come si comportano le persone che visitano i templi e le modalità della loro frequentazione. Qui, quando va bene, per un namasté e una rapida preghiera, come atto dovuto e in presenza di testimoni, per farsi vedere nelle occasioni sociali. Là perché fa parte della vita di ogni giorno, e perché al tempio ci si va anche, se non soprattutto, per ritrovare sé stessi, chiacchierare con un monaco, con dei conoscenti, mangiare, rilassarsi. Staccare, insomma dalla quotidianità: se non è possibile meditare, almeno ritrovarsi con sé stessi; a al contempo inserire nella propria vita di tutti i giorni la visita al tempio. Eppure il buddhismo theravada ha le sue radici proprio su quest’isola: non si direbbe. Quest’impressione è rafforzata da altri aspetti di Kandy: che sarà una città santa, con le sue brave restrizioni perfino sull'orario di vendita della birra, ma dove tutto ruota attorno al denaro. Tutto costa, anche l’uso dei cessi, e per gli stranieri un prezzo decuplicato per il biglietto di ingresso a qualsiasi cosa. Non essendo un Paese di miserabili, non ce ne sarebbe bisogno, ma va da sé, come fosse scontato. E' l’unico posto, anche nello Sri Lanka, in cui si debba pagare per la custodia delle scarpe lasciate fuori dal tempio, perché, come mi è stato detto “altrimenti non possiamo garantire che le ritrovi”: considerando che per buddhisti e induisti i piedi sono la parte più infima del corpo, l’ultima cosa che verrebbe in mente a chiunque è di rubare sono le scarpe altrui. E’ anche l’unica città in tutto il Paese, insieme Colombo, dove i tassisti fanno da lenoni e ti avvicinano per proporti “massase” con compiacenti signorine e dove, per altro canto, non è sano per le donne in viaggio da sole, avventurarsi in giro dopo il tramonto. Una città vivace, senz’altro, e più omogenea di Colombo: per quanto dispersa sulle colline, ha un suo perché, e il centro urbanisticamente ha una struttura e un senso, e anche dei bei palazzi di epoca coloniale, e rispetto alla capitale Kandy è più ordinata. Ma inquinata e rumorosa quasi uguale. Insomma, non esattamente la perla che viene dipinta. 
Tramonto a Kandy

3 commenti:

  1. La "religiosità" buddhista qui descritta mi ricorda qualcosa, mi suona familiare...
    Sarà mica che il dna portoghese ha qui, più che in altre parti dell'isola, lasciato tracce indelebili?

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  2. Non ci avevo pensato ma può anche darsi... Poi qui c'erano anche olandesi e inglesi, che in quanto a ipocrisia non scherzano. Ti saprò dire da Negombo, una cinquantina di chilometri a Nord di Colombo, vicino all'aeroporto: sono finito nella capitale cattolica dello Sri Lanka e ho già avvistato una decina chiese e un cimitero con le croci. Avessero lasciato anche il vino, i portoghesi...

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    1. eh, va be'...ma per ilvino portoghese è più vicino il Portogallo, no?

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