giovedì 13 gennaio 2011

La chiusura del cerchio

HK Central e Admiralty dallo Star FerryHONG KONG - Ancora una volta, si ritorna da dove l'avventura era cominciata, e rieccomi qui, dopo quasi sei settimane. Ad accogliermi, ieri, dopo le temperature tropicali di Bangkok, ma inferiori alla media anche lì, e dopo una giornata, quella di martedì, nuvolosa e terminata con una pioggerellina leggera, 6 gradi alle 10 del mattino che non avrebbero superato i 10 nella'arco della giornata e la città avvolta nella nebbia: per certi versi, una visione suggestiva, e non si tratava di smog. Scarso anche il traffico e molta meno gente in giro del solito, e quella poca, imbacuccata: l'ho notato anche questa mattina sulla MTR, andando a fare il mio pellegrinaggio d'addio (o più probabilmente arrivederci) allo Star Ferry, rimettere piedi sull'isola vera e propria di Hong Kong e verificare ancora una volta la straordinaria vitalità di questa città.MTRUn mese fa il cantiere che vedete nella foto sotto era soltanto un terreno recintato dove stavano ammassando sabbia. Ne sono certo perché ci ero passato almeno tre volte prendendo il traghetto tra Kowloon e Central, e si trova nelle immediate vicinanze dello Star Ferry e il camminamento ci passa a lato, in fianco. Allora non era chiaro cosa stessero facendo, adesso che sono state già scavate le fondamenta e poste le basi di acciaio si può dire che quasi certamente si tratterà di un nuovo grattacielo che modificherà ancora una volta la Skyline della città, a riprova che Hong Kong ha un metabolismo ipertiroideo, a combustione rapida, per cui muta sempre pur non perdendo mai sé stessa. Se i lavori per la Salerno-Reggio Calabria, in corso invano da decenni, venissero affidati ai cinesi, sono certo che a fine anno l'auostrada sarebbe in opera. E che ci penserebbero loro a ridurre a più miti consigli 'ndrangheta e camorra.Cantiere a Central HKMa così non è, le mafie impazzano e i lavori proseguiranno all'infinito, e così, a poche ore dal rientro in Italia sono già rassegnato alla prima incazzatura, che mi arriverà con ogni probabilità dalla sentenza che mi attendo pilatesca o, come si suol dire, "interlocutoria", della Corte Costituzionale su quella legge vergognosa che è stata battezzata "legittimo impedimento", l'ennesima che consente allo squallido, ridicolo ma pericolosissimo personaggio che ci governa di sottarsi alla giustizia. Concludo in proposito che mai come questa volta mi sono vergognato di essere italiano: perché se perfino degli autisti cinesi o vietnamiti, non dei professori o dei giornalisti di politica estera, o degli europei, che ci conoscono bene, ti apostrofano con "Italiano? Bellucconi? Ha! ha!" vuol dire che questo ciarlatano ha fatto ormai dei danni irreparabili. Con queste aspettative, un altro espatrio a breve tempo è più che probabile e la mia mente è già all'opera per trovare nuove mete di viaggio, che non mancano mai a chi le vuol trovare.

martedì 11 gennaio 2011

Khao San Road Day & Night

Thanon Khao SanBANGKOK – E’ sempre gradito un ritorno in questa megalopoli che ho trovato sorprendentemente meno caotica di come me la ricordassi: segno che è migliorato il trasporto pubblico insieme a tutto il sistema viabilistico. Bangkok è da sempre un crocevia fondamentale per chi viaggia in Estremo Oriente e nel Sud Est Asiatico, al di là di essere tappa pressoché obbligata per chi si limita a un soggiorno balneare in Thailandia: spesso rappresenta il primo impatto con questo Continente, senza considerare che offre la possibilità di un ottimo e salutare “stop-over” per l’altrimenti interminabile volo verso l’Oceania, grazie anche all’efficienza del suo aeroporto, all’affabilità e all’ottima nonché meritata fama della sua compagnia di bandiera (la Thai, non a caso associata alla Lufthansa), agli ottimi prezzi che si riescono a spuntare sia per arrivare qui sia per i collegamenti nella regione e non ultimo per la possibilità di ottenere rapidamente i visti per i Paesi vicini per cui necessitano.Khao San DayKhao San Road, in quello che si può definire il centro storico cittadino, alquanto defilato rispetto a quello rutilante e modernissimo dominato da grattacieli della Bangkok moderna e plastificata, è una specie di Mecca per il viaggiatore, soprattutto per quello appartenente alla specie “zaino in spalla”, dal budget limitato ma dall’inesauribile capacità di movimento. E’ uno degli “ombelichi del mondo”, dove si trova di tutto e di tutti, senza distinzione alcuna, una babele di gente che sceglie da decenni questa via e quelle adiacenti, il cui nome si tramanda ormai da generazioni di itineranti: è qui che c’è il “movimento”; qui si arriva e da qui si parte, si torna, ci si incontra, si fissano appuntamenti, si aggregano spontaneamente gruppi a composizione variabile, secondo gli itinerari e le simpatie. Il tutto tra decine, se non centinaia, di pensioni e alberghetti che bonariamente si possono definire minimalisti (poco più che cubicoli, ma sempre più spaziosi di quelli dello stesso livello che si trovano a Singapore o Hong Kong, che spesso sono privi pure di finestre), bar (ma quelli delle puttane sono da un’altra parte, a Patpong, zona di alberghi di altro genere, base dei turisti sessuali, che da Khao San girano abbastanza al largo), agenzie di viaggio, centri di massaggi (veri), ristoranti: spesso tutte le attività citate riunite in un unico edificio. Ultimamente va di moda il massaggio ai piedi: per strada, strategicamente, sono piazzate delle comode chaise-longue con morbidi cuscini, seggiolini, tavolini con l’attrezzatura necessaria (asciugamani, oli, essenze), magari un altoparlante da cui esce una colonna sonoraNew Age, preferibilmente costituita suoni naturali uccellini che cantano nel bosci, lo scorrere di un ruscello), e un punteruolo di legno che per uno come me che non sopporta che gli si tocchino i piedi equivale a uno strumento di tortura, ma che premuto nei punti giusti pare provocare una sorta di estasi a chi si sottopone al trattamento, almeno a giudicare dalle espressioni facciali prossime al deliquio.Khao San NightHo notato che sono aumentati i carretti gastronomici semoventi, soprattutto di pad thai, il piatto nazionale di noodles saltati con verdure, riso fritto, spiedini, pancake, frutta, che soprattutto la sera invadono le sedi stradali di tutto il quartiere, e poi un’infinità di negozi e bancarelle di vestiario, dalle magliette divertenti al tarocco d’autore: sembra di essere a Napoli. E poi CD e DVD contraffatti, e taroccate anche le tessere studentesche, le patenti dei Paesi più strani (ho visto anche una patente internazionale dell’UE, di cui ignoravo l’esistenza: devo informarmi se esiste oppure se se la sono inventata di sana pianta), quelle stampa: 250 Bath (poco più di 6 euro), una foto, generalità e firma e il gioco è fatto. Pare sia una specialità degli indiani. Inoltre ninnoli, sete (false), parrucche, cuscini, souvenir e oggetti di ogni genere: una festa per gli “shopaholics” e i collezionisti di puttanate e del kitsch più sfrenato. Vicino, le vie degli argentieri e degli orafi, dove invece la merce è autentica e la produzione anche di valore oltre che di ottima fattura.FurgomatIeri per la prima volta in vita mia ho pure visto il bancomat mobile, attrezzato su un furgone: giusto per non correre il rischio di rimanere a secco di contanti all’improvviso. Insomma il FurgoMat: sono cose che si vedono solo a Khao San Road. Al tramonto compaiono immancabilmente i carretti che vendono insetti fritti: cavallette, larve, coleotteri, scorpioni, per l’orrore dei neofiti, che però ne sono attratti come calamite, e la delizia dei buongustai, tra cui io, che li trovano perfetti, croccanti e salati al punto giusto, per accompagnare l’aperitivo che introduce alla serata e poi alla lunga notte di Khao San Road.

giovedì 6 gennaio 2011

Elogio dello zampirone fuori stagione

ZampironeKO CHANG – Pochi per quello che sarebbe lecito attendersi sulla costa di un'isola tropicale dalla vegetazione rigogliosa, gli insetti fastidiosi, dalle zanzare ai pappataci, si incattiviscono con l'abbassarsi della pressione atmosferica e l'aumento del tasso di umidità, soprattutto al tramonto e poi di notte, quelli che sopravvivono. E’ ciò che si è verificato l’altroieri, l’unico giorno di tempo incerto da quando mi trovo a Ko Chang, e stufo di impiastricciarmi di un succedaneo di “Autan”, sono andato in cerca di un’alternativa e quando, al terzo tentativo in uno dei piccoli supermercati (uno dei quali aperto 24 sette giorni alla settimana: cose mai viste da noi) di Kai Bae, il paesello dov’è situato il resort sulla spiaggia in cui alloggio (a 11 € a notte in un bungalow biposto con bagno e veranda), quasi mi sono commosso quando l’occhio mi è caduto su una confezione di zampironi, invenzione o comunque specialità indubbiamente nostrana, anche se nella fattispecie prodotti dalla BAYER. Sconfitti gli insetti locali, probabilmente non ancora assuefatti al piretro della spirale fumigante, e con l’olfatto che richiamava innumerevoli estati marittime italiane, mi sono chiesto ancora una volta il motivo per cui nella Terra dei Cachi non siamo nemmeno lontanamente capaci di sfruttare al meglio il nostro potenziale turistico, diversificandolo e traendo vantaggio della varietà climatica e morfologica della Penisola: anche solo limitandosi a un soggiorno balneare, situazione con cui posso fare il paragone ora, da Roma in giù la nostra stagione può durare sei mesi all’anno; in Calabria e Sicilia anche otto. Con la differenza, rispetto alla Thailandia, ma anche al Brasile, ai Caraibi e pure alla Spagna (non prendo neanche in considerazione "Sharm" o Djerba), che c’è molto più da vedere, con la possibilità di abbinare, o proporre in alternativa, innumerevoli itinerari culturali o anche semplicemente eno-gastronomici che non avrebbero rivali al mondo. Pigrizia? Sicumera, nella presunzione di poter vivere eternamente di rendita partendo da una situazione di vantaggio, anche in considerazione della vicinanza dell’Italia al grosso del mercato turistico? Certo, con il ministero competente affidato ora a un puttanone come la Brambilla e ieri a Cicciobello Ruttelli, e quello della Cultura ai tempi d’oro a Uòlter Cialtroni e adesso al gelatinoso Treme-Bondi, la situazione può solo precipitare, così come la posizione dell’Italia tra le mete di viaggio preferite.Vita da spiaggiaManca da decenni una politica seria, se mai ce n’è stata una, per un settore estremamente sfaccettato e in piena evoluzione (come del resto manca per ogni aspetto della vita del Paese da almeno 40 anni a questa parte, ché si veleggia tra una “emergenza” o crisi e l’altra, almeno dal tramonto del primo centro-sinistra, quello “vero” degli anni Sessanta) così come non ci sono incentivi, nemmeno pensabili del resto con un rapporto deficit/PIL al 119% come quello attuale certificato dall’ISTAT e dalla Banca d’Italia proprio in questi giorni, ma latitano anche iniziativa e idee individuali. Quello che permane e, se possibile aumenta, è il guazzabuglio normativo e burocratico che impedisce la messa in pratica di qualsiasi idea innovativa, e questo in un quadro di infrastrutture carenti e vieppiù fatiscenti (un esempio su tutti: il wi-fi che qui è presente ovunque, anche in spiaggia), trasporti che fanno pena e hanno prezzi da strozzinaggio, vedi una compagnia di bandiera di merda come l’Alitalia e le FS della TAV del "compagno" Moretti, con tariffe che possono permettersi quasi solo coloro che sono rimborsati dalle aziende o enti per cui si spostano, il più delle volte inutilmente nell’era di internet, tipo i "pendolari ministeriali" tra Milano e Roma, o che ne scaricano il costo. Così ci ritroviamo con una stagione ridotta a tre mesi l’anno, da metà giugno a metà settembre, che invece che allungarsi scendendo a Sud si accorcia, per concentrarsi ad agosto, invariabilmente, da mezzo secolo, da quando sono iniziate le vacanze di massa. L’ennesima dimostrazione che siamo un Paese in piena decadenza, che sta chiudendosi al mondo, abbarbicato alle sue stupide, rituali e provinciali abitudini, sempre più marginale. La riprova guardandosi intorno viaggiando: rari gli italiani che si muovono per conto loro; quelli che coraggiosamente lo fanno, spesso con enormi difficoltà di comunicazione grazie alla pessima conoscenza delle lingue; sprovveduti, poco informati e in balia degli eventi.TramontoMe lo faceva notare qualche settimana fa una ragazza russa che è consulente di una grossa azienda tedesca di servizi per il turismo: quando le dicevo che in Vietnam avevo visto vere e proprie colonie di suoi connazionali in località marittime come Nha Trang (e le avrei ritrovate qui a Ko Chang in Thailandia) ma raramente gente in giro per conto proprio, mi spiegava che era dovuto alla scarsa abitudine a viaggiare e trovarsi a contatto con gli stranieri all’estero, anche per problemi linguistici, e che qualcosa di simile l’aveva notato tra italiani, spagnoli e portoghesi. Aveva ragione, benché me lo dicesse, come tutti i russi che hanno studiato le lingue straniere, in un inglese perfettamente oxfordiano: e mi domandavo ancora una volta quali basi reali avesse il mito nazionale di quello italiano come popolo di eroi, navigatori poeti e santi, se non la conferma dell’eccezione che conferma la regola. Come Olga, che viaggiava da sola tra Cina e Vietnam, facendosi anche in quest’ultimo Paese un’esperienza come “Easy Rider” (in sostanza l’affitto di una moto con guida locale per un percorso personalizzato fuori dalle rotte più comuni, a un prezzo attorno ai 40 € al giorno). Intanto, di questo passo ci perdiamo perfino quei russi più tradizionalisti che tipicamente si troverebbero a loro agio nelle pensioni romagnole o della costa veneto-friulana. Nonostante l’intimità del Banana col Satrapo russo e lo scambio di favori. A senso unico.

martedì 4 gennaio 2011

Con le palle al sole e in ammollo


Spiaggia Tropicale 1KO CHANG - Quando penso a una spiaggia tropicale immagino qualcosa del genere. Non è poi così difficile arrivarci e viverci spendendo meno di 20 euro al giorno. E senza prendere le pulci. Il posto ideale per dedicarmi a tempo pieno alla mia occupazione preferita: non fare assolutamente un cazzo salvo leggere un buon libro, sorseggiare una birra ghiacciata e sgranocchiare uno spuntino. Abituato al mare "rustego" della Dalmazia, quello che mi è più familiiare (immancabilmente il mio vicino di bungalow è un raguseo di Dubrovnik di nome Gugo, fuggito anche lui ai rigori dell'inverno balcanico, che parla l'italiano meglio della metà dei nostri connazionali), all'Atlantico e al Caribe non in formato cartolina, qui in confronto è il trionfo del pediluvio, la via di mezzo tra l'acquario e la vasca da bagno a temperatura di bagnetto per bebè, il paradiso dei non natanti perché si tocca il fondo, si solito sabbioso, ovunque.Spiaggia tropicale 2

sabato 1 gennaio 2011

Da Phnom Penh, buone notizie per la Cambogia

Wat PhnomPHNOM PENH – Dopo Saigon, un altro ritorno, questa volta nella capitale cambogiana, una sosta di un paio di giorni prima di proseguire verso la Thailandia e l’isola di Ko Chang, per una settimana di ozio assoluto che mi sono prescritto da solo, meritato dopo cinque settimane infaticabilmente on the road. Se Saigon aveva confermato le mie aspettative e l’avevo trovata meno affannosa e più ordinata, in cinque anni Phnom Penh è migliorata moltissimo nel suo complesso. E così immagino il resto del Paese, anche a giudicare dai quasi duecento chilometri che separano la capitale dal confine vietnamita in cui ho potuto vedere una bella campagna coltivata con ordine, utilizzando anche attrezzature che fa erano sconosciute solo cinque anni, quando dominava davvero una miseria infinita. La Cambogia è sempre stata più povera del Vietnam, almeno negli ultimi quarant’anni, e in modo particolare dopo il genocidio perpetrato dal regime dei Khmer Rossi (le realizzazione del comunismo più puro, portato alle estreme conseguenze: un’esperienza che dovrebbe fare riflettere coloro che ancora vaneggiano di ideologie forsennate che periodicamente pretendono di forgiare l’Uomo Nuovo, adattando quello in carne e ossa alla loro teoria folle) e la disastrosa carestia generalizzata che hanno lasciato oltre alla disgregazione di un’intera società quella di tutte le sue sovrastrutture, per usare un termine marxista, ereditate dal sistema capitalista (e con questo l’implosione delle infrastrutture vitali per il Paese), ma si sta nettamente riprendendo.Dal terrazzo del Mercato O RusseyI cambiamenti di cui sono testimone sono spettacolari. Phnom Penh, nota in passato come “La perla dell’Asia”, una città aggraziata dove il tocco francese è ancora più evidente che non a Saigon e Hanoi, sta tornando a essere una delle più belle e piacevoli città di questo continente, cosa che non si poteva dire soltanto cinque anni fa. La principale sorpresa è stata trovare le strade asfaltate: solo nel 2005 anche nel pieno centro non lo era nemmeno la metà, e non parlo della pavimentazione dei marciapiedi né del sistema fognario: polvere e sporco ovunque, immaginarsi quando pioveva. Ora è tutto più pulito, funzionale, meno caotico, parecchi edifici sono stati rimessi a posto o completamente ristrutturati, ed è tornata ad essere una città gradevole da girare sia a piedi sia a bordo dei “tuc-tuc”, tricicli motorizzati con struttura a baldacchino, più comodi dei mototaxi che comunque abbondando. Si notano molte meno prostitute o altri affari loschi, a cominciare dallo spaccio di droga, che avvenivano pressoché alla luce del sole. Circolano ancora più cyclo rispetto a Saigon, ma quelli che si vedono anche molto di più in giro sono gli stramaledetti SUV, di tipo gigantesco e tra i modelli più costosi, in uso agli arroganti rampolli degli arricchiti locali, e una pletora di mendicanti, bambini in stracci, donne, mutilati, deformi che chiedono l’elemosina: uno dei tanti aspetti che la Cambogia ha in comune con l’India, dove l’esibizione da parte di una variegata corte dei miracoli delle proprie disgrazie per le strade è abituale.Trasporti a Phmom PenhPare che il popolo khmer sia originario dell’attuale Thailandia, ma prima ancora di assurgere alle vette della civiltà che avrebbe prodotto le meraviglie di Angkor, ha avuto fortissime influenze indiane nella cultura, nella religione e nella politica; la lingua stessa le ha avute dal pali e dal sanscrito, come si può notare dalla scrittura. Anche l’aspetto dei cambogiani, spesso più scuri e con occhi più tondi, nonché la stessa lingua parlata, che non è tonale e possiede dei suoni che ci risultano familiari per quanto incomprensibile, li differenziano dai popoli vicini. Altri influssi li ha avuti da Giava mentre alcuni favoleggiavano di un’ipotetica discendenza dei khmer da una delle “tribù perse” d’Israele. Di sicuro c’è che si tratta di un popolo affabile, comunicativo, sincero, affettuoso, sempre pronto al sorriso e alla conversazione, il che stupisce, conoscendo le violenze subite in decenni di conflitti che avevano coinvolto il Paese suo malgrado, come il Laos, utilizzato come via di rifornimento e retroguardia dai Vietcong e bombardato senza pietà, e senza intervenire direttamente, da parte degli USA. Soprattutto nel Laos si trattò di una vera e propria guerra invisibile: qui il Paese era governato da dei fantocci degli USA sul tipo di quelli del Vietnam del Sud, il che scatenò una lunga guerra civile il cui esito fatale fu, appunto, la vittoria dei Khmer Rossi di Pol Pot.Criatura allo Psar ThmeiNon ho visitato nuovamente, in questa mia breve sosta, il bel Palazzo Reale con la sua Pagoda d’Argento, né il Museo Nazionale né quello di Tuol Sleng, la ex scuola superiore che era stata trasformata nello S-21, il principale centro di detenzione e tortura di tutto il Paese, né, infine, i campi di sterminio di Choeung Ek, esperienza che consiglio a chi venisse da queste parti, ma non potevo mancare la salita, si fa per dire, al Wat Phnom, che “domina” la città dall’alto dei suoi 27 metri (curiosamente gli USA, dopo averla menata fino all’inverosimile sulla sicurezza e il pericolo terrorismo, sono andati a costruire la nuova ambasciata proprio ai piedi dell’unica altura della città: geniali!) e soprattutto il pellegrinaggio ai due mercati principali, lo Psar Thmei, detto anche Mercato Centrale, vero cuore della città, che si sviluppa in quattro ali di bancarelle a partire dalla sala centrale dominata da una cupola immensa, altre bancarelle attorno, in un’area che è stata in buona parte coperta, risanata e dotata di servizi: una meraviglia; l’altro lo Psar O Russei, tuttora più popolare, su tre piani terrazzati (sull’ultimo ci sta pure un parcheggio per motociclette). Anche lì ho notato i cambiamenti rispetto a cinque anni fa: nelle merci e nella disponibilità economica della gente oltre che nel suo aspetto. Relativamente poche persone portano la caratteristica kramah, la tipica pezza di stoffa simile alla kefiah palestinese, che i cambogiani usano principalmente per avvolgersi il capo e talvolta il volto per proteggersi dal sole e dalla polvere, ma anche come sarong, come lenzuolo, come imbracatura per i bambini: un oggetto multiuso come un coltellino svizzero, e ho faticato a trovarne una autentica.Il riposo dei guerrieriConstatare tutti questi passi in avanti, che non sono dovuti soltanto a uno sviluppo economico che nei Paesi vicini ha assunto uno sviluppo incontrollato ma ad investimenti graduali e mirati, significa anche che le organizzazioni non governative, particolarmente attive in Cambogia soprattutto per aiutare le donne, incoraggiandone l’attività sotto forma di cooperative, e i bambini, in particolare quelli vittime di traffici e abusi sessuali, qui sono riuscite ad operare con successo. Stasera, d’obbligo una visita con sosta allo FCC, il Foreigner’s Correspondents’ Club, all’ora dell’aperitivo: con vista sul lungofiume (il Mekong che qui diventa Tonlé Sap) dalle terrazze di un bel palazzo in stile coloniale: un rito per un arrivederci! (Nelle foto: dall'alto il Wat Phnom; vista dal terrazzo dello Psar O Russei; trasporti a Phnom Penh; Bimbo nell'amaca allo Psar Thmei; la meritata pennica dei guidatori di cyclo)