martedì 28 dicembre 2010

A Da Lat quattro passi nel delirio: dal caffè ai funghi allucinogeni


Tour Eiffel Da LatDA LAT – Da Lat è una di quelle città che si cominciano ad apprezzare pian piano, soprattutto dopo che uno dei motivi per cui ci eri venuto riesce a sorprenderti e a stupire in senso positivo più di quanto ti aspettassi, ma andiamo con ordine. Inventata come centro turistico dai francesi all’inizio del Novecento, grazie alla sua splendida posizione sulle morbide colline dell’Altipiano Centrale e al suo clima straordinariamente mite, che si tratti di un Vietnam diverso rispetto a quello della interminabile fascia costiera ce ne si accorge in fase di avvicinamento alla città quando si cominciano a superare i mille metri (la fatidica “Cota Mil” dei venezuelani di Caracas) e iniziano, mischiandosi prima con i banani e diventando via via preponderanti, i bellissimi e decorativi arbusti della pianta del caffè, fino a creare veri e propri “cafetales”. Sembra di essere in Costarica, Guatemala o Salvador: mancano solo i coni dei vulcani, ma la terra è rossa, ricca di minerali ferrosi e fertilissima anche qui. Avvicinandosi ulteriormente a Da Lat, le piantagioni di caffè vengono sostituite man mano da orti e serre dove si coltivano ogni tipo di ortaggi (anche i carciofi, inconsueti in Asia), frutta (le celeberrime fragole di Da Lat) nonché una straordinaria varietà di fiori e all’improvviso sembra di essere capitati nel Ponente ligure, questa volta però senza il mare. Nonostante ciò, o forse proprio per tutto questo “ben di dio” che la circonda, il primo impatto, ieri nel primo pomeriggio, con la città vera e propria è stato deludente: decantata come raffinato centro turistico, il luogo romantico per eccellenza, dove le coppie di sposi vietnamiti vengono in luna di miele, la prima cosa che ho notato è stato il prosciugamento, mi auguro soltanto  temporaneo, del Lago Xuan Huong, nel pieno centro della città (foto in alto), che sarà anche un bacino artificiale ma ne costituisce una delle principali attrazioni; la seconda, il recentissimo abbattimento di quasi tutto un quartiere di casupole, povere ma dignitose, adiacenti all’area del lago: pareva appena uscito da un bombardamento o da una violenta scossa tellurica.Demolizioni a Da LatIn più, Da Lat si sviluppa su alture con relativi avvallamenti, in un susseguirsi di continui saliscendi che ne rendono in un primo tempo complicata la lettura topografica e stancante il percorso a piedi. Generalmente impiego fra le due e le tre ore per impossessarmi mentalmente della struttura di una città di medie-grandi dimensioni (Da Lat conta circa duecentomila abitanti), fissare i punti di riferimento, capire il "giro del fumo”, per usare una espressione gergale milanese. Il tempo necessario, insomma, per un primo giro esplorativo che faccio sempre partire dal mercato generale (l’Abasto in castigliano da cui il nome del blog): uno degli insegnamenti fondamentali ricevuti da mio padre, da cui ho ereditato per intero, se possibile sviluppandola, la passione per i viaggi e soprattutto le città. Anche questa volta è il tempo che è bastato per orientarmi a dovere e non trovarla poi così male. L’impronta francese è rimasta in molte ville tipo “chalet”, case d’abitazione e alcuni edifici pubblici, prima ancora che nella torre televisiva eretta a somiglianza della Tour Eiffel (e mi piace sempre ricordare come i nostri vicini d’Oltralpe siano debitori del loro simbolo nazionale più caro a un ingegnere tedesco così come della loro supposta e alquanto discutibile grandeur a un generale còrso, e quindi in ultima analisi italiano: Napoleone Bonaparte) e la città si rivela vivace, piacevole, il traffico è relativamente tranquillo (un paradiso se si viene da Hanoi o Saigon), gli abitanti sono piuttosto rilassati e vi si avverte di meno la consueta petulante pressione sul viaggiatore tipica del Vietnam in generale. Insomma ho cominciato a capire il motivo di tanta fama positiva, a parte il clima salubre con temperature da eterna primavera.Tetto della Casa Pazza e panoramaStamattina ne ho avuto la conferma con la visita alla “Casa Pazza di Hang Nga” (qui sopra, uno dei tetti e il panorama sullo sfondo), che da sola vale uno spostamento verso l’interno, ovvero le quattro ore e mezzo necessarie a percorrere i 135 chilometri che separano Nha Trang da Da Lat inerpicandosi sull’altopiano. Si tratta di un’opera geniale, (qui e qui altre immagini) in realtà un vero “work-in-progress”, che pare uscita da un delirio di Gaudí interpretato e tradotto visivamente da Salvador Dalí, inaugurata nel 1990 e di cui mi auguro non si vedrà mai la fine, perché la fantasia, quando è scatenata come quella dell’autrice, la progettista e proprietaria Dang Viet Nga, deve rimanere libera di esprimersi, senza freni. Conosciuta come Hang Nga, laureatasi e specializzatasi a Mosca, forse per reazione ha una visione dell’architettura opposta a quella realsocialista di stampo sovietico che, pur in versione addolcita e corretta, è predominante in Vietnam. Alcuni suoi capolavori ebbero problemi con le autorità, come la “Casa dai cento Tetti”, demolita perché considerata a rischio di incendio ma in realtà perché accusata di essere un'espressione antisocialista, ma la gentile signora non ne ha più avuti dopo la nomina di suo padre, Truong Chinh, alla successione di Ho Chi Minh e alla presidenza del Vietnam (dal 1981 all’anno della morte, nel 1988) e all’ammorbidimento del regime. Si tratta di nove stanze (il complesso funge anche daguesthouse, a prezzi esorbitanti per i locali, ma accessibili per gli occidentali: dai 35 ai 100 U$D a notte) costruite con un impianto tra l’immaginifico e il reale, qualcuno l’ha definita una struttura di tipo organico, perché sembrano far parte di un unico grande albero che si sviluppa ramificandosi da più parti, con effetti da labirinto.Camera della Casa PazzaNon a caso le stanze sono intitolate  a un nome di pianta (inventato) o di animale (altrettanto improbabile: vedi l'orso qui sopra). Anche l’arredo è di conseguenza, e l’intento di Hang Nga era proprio quello di riavvicinare l’uomo a forme e dimensioni simili a quelle di natura, da cui ci siamo allontanati tanto da non saperla riconoscere né "vedere": in questo l’influsso di Gaudí è evidente quanto dichiarato, così come nelle finiture e nelle raffinate soluzioni artigianali studiate con cura maniacale per i più piccoli particolari. L’architettura che si nutre di natura trionfa poi nel piccolo, delizioso giardino popolato da ragnatele gigantesche e sculture di funghi di ogni dimensione: non escludo che siano imperantati ad alcune specie che si trovano in Messico (ma anche nelle zone tropicali dell'Asia) e che quelli veri siano una delle fonti d’ispirazione della simpatica e solo all’apparenza stravagante signora. Qualcuno l’ha definito il trionfo del kitsch: secondo me non ha capito che l’architettura è soprattutto arte e dunque, ai massimi livelli, poesia. Anche questo me l’ ha insegnato mio padre, ma il vecio si riferiva a Mies van der Rohe piuttosto che a Gaudí.

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