sabato 3 gennaio 2009

Yogyakarta, l'anima di Giava


Yogyakarta., ingresso al KratonYOGYAKARTA – Capitale di Giava Centrale, a 30 chilometri dalla costa che si affaccia sull'Oceano Indiano, Yogya, come viene più spesso chiamata, è l'anima dell'isola e anche la sua meta turistica più importante; la città dove si parla la lingua giavanese più pura, il centro culturale e il luogo dove si conservano più gelosamente le tradizioni, dall'artigianato batik all'argenteria, alle danze note come “Balletti Ramayana”. Da sempre emblema della resistenza al potere coloniale e culla dell'indipendenza, Yogyakarta è tutt'ora governata dal proprio sultano, avendo ottenuto lo status di regione speciale. Coi suoi 450 mila abitanti, per quanto affollata e percorsa da un traffico delirante come ogni città indonesiana, Yogya è relativamente piccola per gli standard locali, ma anche la più gradevole e meglio conservata di quelle che ho visitato finora. Il centro urbano si sviluppa attorno alla stazione ferroviaria (come dappertutto un  autentico gioiello gioielli, sorprendentemente ben tenuta e di un nitore incredibile), che come spesso accade taglia a metà la città in senso longitudinale, e gravita su Malioboro, questa la traslitterazione in idioma indigeno della strada dedicata al Duca di Marlborough, la via principale, che in senso perpendicolare alla linea ferroviara porta dopo un paio di hilometri dritta al Kraton, l'antico palazzo fortificato del sultano che è la più famosa attrazione di Yogyakarta. Questo, a sua volta, è il cuore di una vera e propria cittadella cinta da mura  (foto in alto a sinistra), abitata a tutt'oggi da circa 25 mila persone, con una pianta ortogonale, perfettamente conservata, pulita, piena di attività ma dove il traffico automobilistico è notevlmente ridotto e la vita stessa prende i ritmi del kampung, villaggio, che è alla fine ancora oggi la struttura base della società e che gli indnesiani tendono a riprodurre anche nelle grandi città, dove non a caso assume grande importanza e anche un rilievo amministrativo il quartiere, che ne è per molti versi la replica. Il kraton risale alla fondazione della città, che è piuttosto recente, daYogyakarta, mercato degli uccelli parte de parte del principe Mangkubumi nel 1755, il quale dopo la disgregazione dei regni di Giava e Mataram che avevano dominavato sulla parte centrale dell'isola  prima dell'arrivo degli olandesi, ritornò all'antica sede di Mataram dando inizio alla costruzione della cittadella. Un suo discendente, Diponegoro, a cui era stata negata la successione, tra il 1825 e il 1830 scatenò senza successo la sanguinosa Guerra di Giava, di cui Yogyakarta fu il fulcro, contro gli olandesi che appoggiavano la corte e l'altro candidato a sultano; più recentemente, nel 1948, quando la città venne nuovamente occupata dagli olandesi, il sultano si asserragliò nel kraton permettendo ai ribelli di usare il palazzo come quartier generale della resistenza. Gli occupanti non osarono attaccarlo, perché il sultano era considerato una specie di divinità dai giavanesi, e proprio l'appoggio della causa da parte del sovrano fu il motivo per cui a Yogyakarta venne concesso lo statuto di regione speciale al raggiungimento dell'indipendenza. Oltre al kraton, fra le mura della cittadella si trovano anche il Pasar Ngasem, lo stupefacente e varipointo mercato degli uccelli (foto in alto a destra) dove sono in vendita anche altri animali oltre, in una zona distinta, prodotti Taman Sariortofrutticoli, e il Castello d'Acqua (Taman Sari, in fianco a sinistra) un complesso costruito in contemporanea col kraton costituito da un bel parco, palazzi, piscine, percorso da canali che, come struttura, mi ha fatto ricordare, in sedicesimo, l'Alhambra di Granada, progettato da un architetto portoghese che si narra fu ucciso perché non rivelasse i segreti delle stanze più inaccessibili dedicate ai trastulli del sovrano con le sue favorite. In città ci sono alcuni musei interessanti, a cominciare dal Sono-Budoio che espone una notevole collezione di arte giavanese, tra cui le tipiche marionette, le maschere, i batik, i coltelli kris e il Benteng Vredeburg, un forte olandese oggi opportunamente sede del museo dedicato al movimento per l'indipendenza. Notevole il Pasar Beringhario, il mercato principale, fendere la cui folla costituisce un esercizio di pazienza e autocontrollo che rasenta il raggiungimento del Nirvana. In città imperversa il batik: negozi e botteghe a decine, e volendo si può partecipare a dei corsi per apprendere i rudimenti della tecnica, mentre  Kota Gede, che fu la prima sede del regno di Mataram e oggi è un sobborgo di Yogyakarta a pochi chilometri dal centro, è famosa per la lavorazione dell'argento. Insomma, la città ha soddisfatto le mie aspettative: una sosta relativamente rilassante nel frenetico attivismo di Giava, strategicamente a due passi da Borobudur e Prambanan, i due siti archeologici più importanti dell'intera Indonesia. Peccato soltanto che il monsone sia particolarmente attivo in questi giorni.

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