sabato 29 marzo 2008

I tripeiros di Portus Cale



Francisco OliveiraPORTO - 350 mila abitanti il centro storico (riconosciuto nel 1996 Patrimonio dell'Umanità e sotto tutela dell'UNESCO), un milione l'area metropolitana e uno e mezzo il distretto, la seconda città del Portogallo, a cui ha dato il nome (Portus Cale, un villaggio sulla foce del fiume Douro), Oporto (foto a destra di Francisco Oliveira) sta a Lisbona come Milano a Roma, San Paolo a Rio, Manchester a Londra o Córdoba a Buenos Aires. La seconda città del Paese ma la prima per una serie di parametri, in parte stabiliti da sé stessa, a conferma della regola che ogni Paese ha il suo Sud e il suo Nord, con tutti i pregiudizi, i luoghi comuni e le generalizzazioni che ne derivano. Più o meno uguali dappertutto. In Portogallo, Porto è il Nord per definizione. Il regno deitripeiros, i divoratori di trippe, piatto cittadino per antonomasia. Ha una discreta dimensione industriale, ma anche questa rimane appannaggio della capitale e dei suoi sobborghi. La sua dimensione in realtà è agricolo-commerciale, ed è dovuta principalmente all'omonimo vino le cui viti vengono coltivate, raccolte e pigiate nella valle del Douro che è alle spalle, protetta dall'umidità dell'Atlantico, ma il cui prodotto viene poi invecchiato a Vila Nova de Gaia, esattamente di Fronte alla Ribeira di Porto a cui è collegata dal famoso ponte di ferro a due livelli (che non è stato progettato da Gustave Eiffel come comunemente si crede bensì da un suo allievo), sulla riva ombreggiata e fresca del fiume. Città commerciale e sbocco di una regione a vocazione agricola, tradizionalmente conservatrice se non reazionaria e bigotta da sempre, così me la ricordo da quando ci sono stato l'ultima volta, trent'anni fa; il contraltare della progressista, libertaria emeridionale Lisbona. Conservatrice lo è rimasta, ma bigotta non direi, e ho visto invece una città dinamica, bella, dove il danaro fornito per le aree sottosviluppate dalla UE, di cui il Portogallo è membro dal 1986, è stato speso bene. Abbarbicata su di una serie di promontori che danno sul Douro a pochi chilometri dalla sua foce, molto più mossa della capitale, di origini romano-lusitane, Porto, o almeno il suo centro, è una città-mosaico per quanto riguarda stili architettonici, epoche e modi di vita diversi, dai bastioni romani ai vicoli medievali, alle chiese gotico-barocche ai boulevard in stileliberty e alle piazzette che possono ricordare Parigi nonché alle facciate delle case ricoperte di azulejos (foto sotto a sinistra di Lapidim)LapidimUna miscellanea piuttosto sorprendente, stimolante e che non stanca. Anche l'architettura moderna ha i suoi gioielli: a cominciare dal Museu de Arte Contemporanea-Fundação de Serralves (dove chiude oggi una bella mostra su Robert Rauschenberg, periodo anni Settanta), e dal suo delizioso parco-giardino, progetto dell'architetto (Álvaro Siza Vieira, che ha lo studio in città) e laCasa da Música, di Rem Koolhaas, con l'esterno in cemento bianco, che a me ha ricordato la parte emersa di un iceberg, ad altri un cristallo grezzo, e la cui sala da concerti, all'interno, è l'unico spazio dotato di angoli retti, e pare abbia il dono di un'acustica eccezionale per ogni tipo di musica si voglia eseguire (cosa che non ho purtroppo avuto occasione di verificare), mentre tutti gli altri ambienti le si avvolgono intorno in un susseguirsi di forme geometriche irregolari. Fra gli edifici religiosi, a proposito di ibridismo, ho trovato notevoli sia la chiesa-convento di São Francisco sia quella di Santa Clara, gotiche all'esterno ma uno sbalorditivo trionfo di baroco-rococò all'interno del tutto esagerato e perfino malizioso, che mi ha fatto venire in mente immediatamente le chiese di Salvador de Bahía e in particolare proprio São Francisco, con i putti dallo sguardo spermatico in adorazione della madonna e delle varie sante pettorute e adeguatamente scollacciate. Il tutto abbastanza poco in sintonia con il carattere dei portoghesi, e in particolare quelli del Nord, piuttosto riservati e contegnosi, tanto da sembrare più simili ai popoli nordici (e in effetti il Portogallo ha da sempre avuto legami strettissimi con l'Inghilterra) piuttosto che a quelli mediterranei. In Brasile, quest'esplosione di sensualità, non desta più di tanto stupore. Questo mi ha fatto anche pensare al tipo di relazione particolare che il Brasile ha sempre intrattenuto, e mantiene, con quella che considera tutt'ora la sua "madrepatria", con cui i rapporti non sono mai stati conflittuali, tanto da adottarne perfino i regnanti (complici gli inglesi), trattandoli da imperatori, una volta che la casa reale era fuggita oltreoceano a seguito delle invasioni napoleoniche. Per un periodo, è stato come se il Portogallo fosse divenuto una colonia brasiliana. Nessun Paese latinoamericano che abbia subito la conquista spagnola si sognerebbe di considerare la Spagna come la propria madrepatria. Non che i portoghesi fossero dei santi, tutt'altro: ma mentre gli spagnoli, sostanzialmente agricoltori, burocrati e militari, anche per via della spinta demografica, erano dei veri e propri colonizzatori, avidi di ricchezze immediatamente esigibili e di terreni, i portoghesi, molto minori di numero e prevalentemente commercianti e banchieri, così come gli olandesi (di cui non a caso sono sempre stati la controparte, anche in Oriente) da un punto di vista mercantile erano più interessati a tenere sotto controllo dei porti efficienti e delle teste di ponte per fare affari in prospettiva, piuttosto che sottomettere e dover controllare e amministrare dei territori sconfinati. Porto al tramonto(Qui a destra, sempre il centro di Porto al tramonto in una foto di Francisco Oliveira). Per finire, un paio di annotazioni. Già dicevo all'inizio di come siano stati spesi efficacemente, con il dovuto riscontro, i fondi messi a disposizione dalla UE per adeguare le infrastrutture del Paese ai livelli europei. Cosa che ci sogniamo in Italia. Qui a Porto sono state sviluppate, anche sotto la spinta dei Campionati Europei di Calcio organizzati nel 2004, 5 linee della metropolitana, questo in una città collinare e con un fiume in mezzo. E la nazionale ospitante arrivò seconda. A Milano, una città piatta e senza fiumi, se non vogliamo parlare dei Navigli prosciugati per farne demenziali parcheggi, in occasione dei Mondiali di calcio del 1990, dopo oltre vent'anni dal completamento delle prime due linee, si diede il via alla terza tratta del metrò. Ricordo che all'inaugurazione dei Mondiali, in giugno, erano attive quattro stazioni: dalla Centrale al Duomo. Che non servivano, in sostanza, a un accidente. La nazionale si classificò terza, per la cronaca. Siamo ancora lì, anche se qualcuno blatera di quinta linea mentre la quarta non ha mai visto la luce, a meno che non si parli del passante ferroviario, peraltro incompleto. L'altra sono i prezzi: fino a prova contraria anche il Portogallo è, fin dall'inizio, nell'area dell'euro. A parte un paio di centri commerciali periferici la grande distribuzione è pressoché inesistente. Di MerDonalds ne ho visto solo uno. La città è disseminata di piccoli esercizi commerciali, mercati centrali come il Bolhão (coevo della Boquería di Barcellona e bello come quello di San Lorenzo a Firenze), caffetterie, trattorie a conduzione famigliare e bettole. Distribuzione, a sentire i soloni del mercato, assolutamente arretrata e inefficiente. Come si spiega che i prezzi dei generi alimentari (e non solo) siano da un terzo fino alla metà inferiori che in Italia? Per non parlare di vitto e alloggio, quando con meno di 10 euro si riesce a nutrirsi in maniera assolutamente accettabile e con trenta si trova un alloggio più che dignitoso e con tutte le comodità del caso, a cominciare dal collegamento wi-figratuito? Non viene il dubbio che sia il nostro Paese a non funzionare come sarebbe opportuno?